La commissione giustizia della Camera voterà il disegno di legge Alfano, cosiddetto svuota-carceri, che a seguito delle modifiche introdotte con gli emendamenti proposti e votati dal centro destra come dal centro sinistra può essere ribattezzato ex-svuota carceri.
Con la cancellazione della messa in prova per pene sotto i tre anni e dell’automatismo dei domiciliari per chi deve scontare un anno di pena residua il provvedimento legislativo interesserà infatti non più di 2-3mila detenuti, mentre le patrie galere hanno oggi 23.000 detenuti in più della capienza regolamentare. Svuotano un oceano con un cucchiaino.
Per questo motivo lanciamo, insieme ai soggetti riunitisi sabato scorso a Roma (da Antigone a Sant’Egidio, dall’ex Presidente Ciampi a Don Ciotti), un accorato appello a scendere in piazza, come avvenne nel natale del 2005, perché il potere politico si renda conto della tragedia umana che affligge le nostre patrie galere e trovi soluzioni immediate che evitino l’apocalisse che rischiamo di vivere la prossima estate.
In uno stato di diritto non è infatti tollerabile che nelle carceri si viva in uno spazio medio di tre metri quadri a persona o che vi sia la media di un morto (27 i suicidi) ogni due giorni dall’inizio dell’anno. In uno stato di diritto non è concepibile che di fronte ad una sciagura del genere la politica, in nome del consenso elettorale, si continui a trincerare sotto il vessillo della sicurezza.
La mano forte sulla legalità non è sinonimo di sicurezza, avvertiva Pietro Ingrao già nel 1975, esortando a non avere un atteggiamento pan-giustizialista. Perché il numero dei crimini commessi prescinde dalla severità delle leggi ed è più legato allo sviluppo delle politiche sociali e delle politiche di prevenzione che di quelle repressive.
Sappiamo di dire qualcosa di non gradito finanche tra le nostre fila: dissentiamo totalmente non solo dalla fabbrica della paura delle destre, ma anche dal giustizialismo cieco e testardo (spesso populista) delle forze dell’opposizione oggi presenti in Parlamento. Perché il giustizialismo non solo non è efficace come vorrebbero farci credere, ma troppo spesso si accompagna ad una giustizia a due velocità, spietata con i deboli, bonacciona con i forti. Quella giustizia che diventa sinonimo di severità con gli stranieri, i tossicodipendenti e i deviati, per poi diventare lumacona e garantista con i colletti bianchi e le divise blu. E troppo spesso chi come Di Pietro si fa gran cassa dei giustizialisti è lo stesso che poi nella scorsa legislatura ha di fatto impedito il venir alla luce della commissione di inchiesta sui fatti di Genova.
Non ci meravigliamo allora delle parole irrispettose del Ministro Maroni all’indomani della sentenza di appello sulla “macelleria messicana” messa in scena nella scuola Diaz di Genova. Non ci meravigliamo che quello stesso Ministro che si fa passare per nemico giurato delle mafie così come dei clandestini (come se fossero la stessa cosa) poi diventa blando e padre premuroso nei confronti dei vertici della polizia condannati dalla giustizia e promossi (anche dal centro sinistra) dalla politica. Perché ad inseguire le destre sul tema della sicurezza e della paura ci abbiamo perso non solo le ultime elezioni, ma anche quelle del 2001. E nel 2001 prima della mattanza di Genova ci sono stati i preparativi di Piazza Municipio e della Caserma Raniero di Napoli, con il centro sinistra al governo.
E’ arrivata l’ora di decidere a sinistra da che parte stiamo: se vogliamo essere servi imitatori dell’ideale securitario proprio delle destre o se vogliamo realizzare una giustizia più mite con i deboli e meno blanda con chi ha gli strumenti per difendersi.
Con la cancellazione della messa in prova per pene sotto i tre anni e dell’automatismo dei domiciliari per chi deve scontare un anno di pena residua il provvedimento legislativo interesserà infatti non più di 2-3mila detenuti, mentre le patrie galere hanno oggi 23.000 detenuti in più della capienza regolamentare. Svuotano un oceano con un cucchiaino.
Per questo motivo lanciamo, insieme ai soggetti riunitisi sabato scorso a Roma (da Antigone a Sant’Egidio, dall’ex Presidente Ciampi a Don Ciotti), un accorato appello a scendere in piazza, come avvenne nel natale del 2005, perché il potere politico si renda conto della tragedia umana che affligge le nostre patrie galere e trovi soluzioni immediate che evitino l’apocalisse che rischiamo di vivere la prossima estate.
In uno stato di diritto non è infatti tollerabile che nelle carceri si viva in uno spazio medio di tre metri quadri a persona o che vi sia la media di un morto (27 i suicidi) ogni due giorni dall’inizio dell’anno. In uno stato di diritto non è concepibile che di fronte ad una sciagura del genere la politica, in nome del consenso elettorale, si continui a trincerare sotto il vessillo della sicurezza.
La mano forte sulla legalità non è sinonimo di sicurezza, avvertiva Pietro Ingrao già nel 1975, esortando a non avere un atteggiamento pan-giustizialista. Perché il numero dei crimini commessi prescinde dalla severità delle leggi ed è più legato allo sviluppo delle politiche sociali e delle politiche di prevenzione che di quelle repressive.
Sappiamo di dire qualcosa di non gradito finanche tra le nostre fila: dissentiamo totalmente non solo dalla fabbrica della paura delle destre, ma anche dal giustizialismo cieco e testardo (spesso populista) delle forze dell’opposizione oggi presenti in Parlamento. Perché il giustizialismo non solo non è efficace come vorrebbero farci credere, ma troppo spesso si accompagna ad una giustizia a due velocità, spietata con i deboli, bonacciona con i forti. Quella giustizia che diventa sinonimo di severità con gli stranieri, i tossicodipendenti e i deviati, per poi diventare lumacona e garantista con i colletti bianchi e le divise blu. E troppo spesso chi come Di Pietro si fa gran cassa dei giustizialisti è lo stesso che poi nella scorsa legislatura ha di fatto impedito il venir alla luce della commissione di inchiesta sui fatti di Genova.
Non ci meravigliamo allora delle parole irrispettose del Ministro Maroni all’indomani della sentenza di appello sulla “macelleria messicana” messa in scena nella scuola Diaz di Genova. Non ci meravigliamo che quello stesso Ministro che si fa passare per nemico giurato delle mafie così come dei clandestini (come se fossero la stessa cosa) poi diventa blando e padre premuroso nei confronti dei vertici della polizia condannati dalla giustizia e promossi (anche dal centro sinistra) dalla politica. Perché ad inseguire le destre sul tema della sicurezza e della paura ci abbiamo perso non solo le ultime elezioni, ma anche quelle del 2001. E nel 2001 prima della mattanza di Genova ci sono stati i preparativi di Piazza Municipio e della Caserma Raniero di Napoli, con il centro sinistra al governo.
E’ arrivata l’ora di decidere a sinistra da che parte stiamo: se vogliamo essere servi imitatori dell’ideale securitario proprio delle destre o se vogliamo realizzare una giustizia più mite con i deboli e meno blanda con chi ha gli strumenti per difendersi.
Giovanni Russo Spena
Gennaro Santoro
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