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Emergenza salute nelle carceri italiane

Un detenuto su quattro ha l’epatite C e prolificano Hiv e Tbc. Le prigioni del Bel Paese non garantiscono il diritto alla sanità

«Le carceri sono la nostra Africa, il nostro “terzo mondo”». Bando al politically correct dunque, i medici degli istituti penitenziari scelgono la linea della schiettezza per denunciare lo stato di salute dei detenuti nelle carceri del belPaese. Del resto sono i numeri a parlare chiaro e senza possibilità di appello: un detenuto su quattro ha l’Epatite C. Poi ci sono i problemi psichiatrici, l’Hiv, la Tubercolosi, e via dicendo. Una lista nera, una fotografia impietosa sullo stato dei nostri istituti di pena che dovrebbe far riflettere e spingere ad una soluzione immediata. E dobbiamo tenere presente, come ha più volte ricordato Giulio Starnini, infettivologo all’ospedale Belcolle di Viterbo, che le malattie non si fermano certo dietro le sbarre. E considerando che le carceri italiane sono una porta girevole, 10 giorni la durata media di un soggiorno, è evidente che il problema riguarda l’intera comunità. Come se non bastasse, l’effetto indulto sta rapidamente esaurendosi, e le carceri italiane stanno tornando al sovraffollamento dell’anno scorso. «I detenuti aumentano, e con loro le malattie – ha continuato Starnini – L’unica cosa che non aumenta, anzi viene dastricamente ridotta, sono i finanziamenti». Per quanto riguarda l’emergenza Epatite C, si diceva, i numeri sono davvero impressionanti, al limite dell’allarme sanitario: «Il 62% dei detenuti ha una patologia che necessita di intervento medico. Il 28% di questi ha una malattia virale cronica di cui l’Epatite C è largamente la prima». In tutto questo i detenuti, i pazienti, non ricevono cure adeguate alla gravità della loro situazione. Solo la metà di loro viene infatti messo in terapia, e fra questi, un quarto rifiuta la cura o la sospende prima del previsto. Basta infatti un semplice trasferimento per mandare all’aria un percorso terapeutico adeguato e incisivo. Soluzioni? «Bisognerebbe potenziare i reparti di medicina protetta che, oltre a superare il concetto di camera blindata, portano a un risparmio economico per la sicurezza – continua Giulio Starnini – Il nostro è l’unico in Italia ad accogliere detenuti con malattie virali – abbiamo 10 posti letto, un servizio di sorveglianza con 4 agenti a rotazione, sbarre alle finestre e porte blindate. Inoltre il personale è altamente qualificato e formato per trattare con questo tipo di pazienti».Netto il giudizio di Patrizio Gonnella di Antigone: «Nelle carceri italiane il diritto alla salute non è ancora rispettato. La salute in carcere è casuale – spiega Gonnella – e non è assicurata a tutti in maniera adeguata. Bisognerebbe affrontare immediatamente il problema, perchè la situazione rischia di “toccare” non solo i detenuti, ma anche coloro che sono fuori dal carcere». Finiti, come già detto, gli effetti dell’indulto, e passati invano questi mesi – «in quasi un anno e mezzo non si è fatto nulla per questo problema – attacca ancora Gonnella – eppure la legge sull’indulto aveva come obiettivo quello di riformare il nostro sistema penitenziario. L’Italia resta un Paese ondivago – conclude, amaro, il presidente di Antigone – perchè oggi si occupa di un problema, ma domani l’ha già dimenticato». In tutto questo i detenuti dovrebbero poter usufruire deigli stessi identici diritti di chi in carcere non ci sta: «Passare dal sanità peitenziaria al servizio sanitario nazionale – continua Gonnella – Ad oggi la salute del detenuto non è assolutamente garantita».Ma altri numeri danno l’idea della complessità e della drammaticità del pianeta carcere. Intanto la fascia d’età più presente è quella dei trentenni, quella dunque in cui si costruiscono percorsi di vita lavorativa ed affettiva. La fascia dei 30-34enni è la più presente in assoluto, segue quella tra i 35-39enni e infine la fascia compresa tra i 25 ed i 29 anni. Molti, moltissimi gli atti di autolesionismo. Solo nel 2006 sono stati più di 4200. Alto anche il numero di suicidi. 50 nel 2006. Insomma, il dato di fondo che emerge dalla ricerca Eurisko è dato dal fatto che le carceri italiane vivono in una situazione di profonda crisi. Del resto in un istituzione che ha del tutto messo da parte il valore di recupero della persona, in luogo di quello esclusivamente punitivo e repressivo, non c’era da aspettarsi di meglio.Di tutto questo si parlerà nel corso del prossimo congresso della Società di medicina penitenziaria, che avrà luogo il prossimo 4 ottobre a Roma. Il presidente Roberto Monarca spiega infatti che il congresso sarà l’occasione per denunciare con ancora più forza la situazione di difficoltà degli operatori sanitari pressati da una cronica mancanza di personale e risorse. «Il tutto – ha spiegato Monarca – con una domanda di salute in continua e costante crescita. L’indulto ha alleviato solo in parte una situazione tanto grave». Ma accanto alle denunce il congresso proporrà soluzione proposte. Per questo parteciperanno tutti gli attori coinvolti nel sistema carceri: medici penitenziari, operatori del Dap, del Sistema sanitario nazionale e tante altre realtà che vivono in prima persone disagi e drammi quotidiani degli istituti di pena.