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Eneas, “suicida” in carcere. Per il gip il caso non va archiviato

Il gip di Pesaro ha accolto l’opposizione alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero in merito all’indagine per “istigazione al suicidio” sulla morte in carcere del 29enne Anas Zamzami.

Ad annunciare la notizia è l’avvocato difensore Fabio Anselmo. «Si tratta di una morte annunciata di uno dei tanti detenuti delle nostre carceri», spiega l’avvocato.

Infatti molti sono i decessi che non a caso vengono definiti “morti di Stato”. Si entra vivi nella sua istituzione (carcere) e se ne esce morti: quando lo Stato priva la libertà dell’uomo, per qualsivoglia motivo, è obbligato a farsi garante della sua incolumità, fisica e psichica. Se questa garanzia viene meno, lo Stato che non sa tutelare l’uomo com’è suo diritto esigere e suo dovere fare, è colpevole.

E questo vale anche per Anas Zamzami, da tutti conosciuto come Eneas, detenuto per il reato di falsa identità e resistenza a pubblico ufficiale, reati commessi nel 2011, e in relazione ai quali è stato condannato a dodici mesi di reclusione. Una condanna da scontare in carcere nonostante che la legge del 2010, “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi”, preveda appunto la detenzione domiciliare. Per lui non vale: è in cella da cinque mesi. Sette mesi ancora da passare. Ma Anas non ce la fa e secondo la versione ufficiale, la notte tra il 24 e il 25 settembre del 2015 si toglie la vita.

Come mai? L’avvocato Fabio Anselmo spiega perché si tratta di una morte annunciata. Eneas entra in carcere il 15 aprile 2015 e presto le sue condizioni peggiorano rendendo necessari numerosi e continui ricoveri in ospedale.

Finalmente il 31 agosto viene trasferito al centro di osservazione psichiatrica di Ascoli su provvedimento urgente del giudice di sorveglianza del 4 agosto. Infatti lo stesso centro clinico del carcere di Pesaro riconosce “il venir meno della compatibilità con questa casa circondariale”. Inspiegabilmente il centro di osservazione psichiatrica di Ascoli, dopo nemmeno un mese rispedisce indietro al carcere di Pesaro Anas. Sarebbe guarito. Ma Anas non vuole tornare a Pesaro, in un ambiente peraltro riconosciuto incompatibile con le sue condizioni di salute mentale.

Le lettere di Anas con le quali disperatamente chiede invano di non tornarci fanno venire i brividi. Il 25 settembre il “pacco-detenuto” Anas Zenzami – così lo definisce l’avvocato Anselmo che rende l’idea di come vengono trattati i detenuti – viene riconsegnato alla casa circondariale di Pesaro. Il 25 settembre Anas Zenzami, cittadino del Marocco, viene trovato morto impiccato nella sua cella.

Ora grazie all’opposizione, l’indagine continua per altri sei mesi. Il giudice Giacomo Gasparini invita il pm a proseguire le indagini e valutare se ci sia stata effettivamente l’incompatibilità con la permanenza in carcere e, in caso positivo, quali misure non sono state intraprese per scongiurare il suicidio.

Damiano Aliprandi da il dubbio