Ergastolo e 41bis: Sull’onda delle emergenze si continua a violare la Costituzione
I regimi di ergastolo e 41 bis si pongono in contrasto con la nostra Costituzione
di Laura Frattura
DEI DIRITTI E DELLE PENE
Il 29 Maggio presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, all’interno del Corso di Storia dell’Arte Contemporanea, abbiamo parlato di due regimi presenti all’interno del sistema giuridico italiano che sono l’ergastolo e il 41 bis che anche se apparentemente separati dal mondo dell’arte hanno molto su cui confrontarsi in quanto la bellezza è un concetto unito a quello di giustizia.
Ne abbiamo parlato con Laura Longo, magistrata, ex presidente del tribunale di sorveglianza dell’Aquila la quale ci ha spiegato che la campagna per l’abolizione di questi due regimi è una battaglia di civiltà che non può essere ignorata, ne va della tutela e della garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo e deve quindi interessare tutte e tutti noi.
Per i greci la bellezza non era l’ornamento di qualcosa ma la manifestazione delle virtù nascoste del cosmo ovvero l’ordine giusto delle cose.
Attraverso la bellezza l’uomo riusciva, a livello sensoriale, a percepire ciò che altrimenti sarebbe rimasto confinato in una realtà intellegibile del pensiero. La giustizia, come valore universale, era possibile in un contesto sociale di bellezza e benessere, che riuscisse ad esprimere leggi buone, dunque il rispetto della vita. La giustizia, in se, ha quelle virtù nascoste che la bellezza ci vuole esprimere: la bontà, la verità, la mitezza e la clemenza, ed è necessario ed urgente – dice la Longo- ritornare a parlare questo linguaggio.
Considerando questo, il passaggio dalla società arcaica alla società civile avviene nel momento in cui la punizione verso colui che commette l’errore, viene sottratta alla persona offesa e attribuita ad un organo terzo: il tribunale.
Questo perché necessariamente la persona offesa va ad esprimere il sentimento di rabbia, di collera e di vendetta, dunque va a reagire in modo sproporzionato utilizzando la violenza per contrastare la violenza e mettendo dunque in crisi la tenuta sociale oltre che l’incolumità di colui che offende. Società civile vuol dire reazione non sproporzionale ma razionale.
Oggi viviamo in un contesto in cui si enfatizza il carcere non come luogo, come dovrebbe essere, di limitazione della libertà ma come luogo in cui si deve infliggere sofferenza e vendetta in nome della giustizia, distruggendo in tal modo la tenuta e il concetto di società civile.
I regimi di ergastolo e 41 bis si pongono in contrasto con la nostra Costituzione. L’articolo 27 sancisce che la pena non può essere contraria al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato, cosa assolutamente in contrasto con l’idea di una punizione perpetua come è quella dell’ergastolo.
L’educazione non è una coercizione della coscienza, perché allo stato non interessa cosa pensi ma come agisci. È un recupero, nel tempo di reclusione, del senso di legalità, è l’obbligo del cittadino non di conformarsi o di non conformarsi al contesto, ma di approcciarsi alla società con metodi non violenti.
Il carcere e l’ergastolo tutto questo non lo consentono. La Corte Costituzionale ha sempre ritenuto compatibile con la Costituzione l’ergastolo, in quanto è una pena che può venir meno nei casi i cui il condannato abbia dato prova di ravvedimento, di resipiscenza, ma quello che la Corte non ha tenuto in considerazione, colpevolmente, è che la liberazione condizionale che si ha dopo 26 anni per un ergastolo ordinario è solo un’eventualità.
Un tribunale può anche non concederlo e ritenere che il condannato non sia ravveduto e quindi costretto a scontare una pena “perenne” innaturale e contro la cultura, in quanto la vita è permeata dall’impermanenza di tutte le cose e cosa vale educare e risocializzare se non si apre una prospettiva di reinserimento, non vale nulla.
Questo è il primo grande paradosso della Corte Costituzionale che infligge una pena perpetua e quindi rompe ogni possibilità di ravvedimento condannando colui che è sotto la tutela dello Stato ad una pena senza fine.
Il secondo paradosso è che la perennità è una condizione innaturale perché nella vita nulla è perpetuo, la vita è permeata dalla impermanenza, altrimenti che non si parli di vita. Il terzo paradosso della Corte è che la pena perenne può decadere in caso di ravvedimento del condannato quindi non essere più perenne, come dire che qualcosa può esistere in quanto non è. É piuttosto singolare accettare uno stato che vive di condizioni e codici paradossali.
La vita degli ergastolani, con l’esperienza che vi porto, è una vita che si può definire, come loro stessi l’hanno definita in scritti bellissimi che varrebbe la pena diffondere, una morte quotidiana, un vivere morendo, vivere senza futuro ingabbiati in una condizione di morte civile, con un passato che non potendosi evolvere non da alcun senso alla vita.
In Italia sull’onda dell’emergenza si continua a violare il principio di legalità puntando ad una pena perenne di reclusione e privazione della libertà. Dal ’92, all’interno di questo tipo di regime, sono stati introdotti molti altri reati che nulla hanno a che fare con la criminalità organizzata come lo stupro di gruppo, reati di pornografia minorile e tutta una serie di reati che suscitano sdegno sociale.
Questa è stata una frattura tremenda all’interno del nostro ordinamento perché con un colpo di spazzola è stata abolita la centralità della magistratura di sorveglianza che fino a quel momento doveva valutare il percorso della persona, gli effetti che il carcere aveva prodotto sulla persona e in ragione di ciò usufruire dei benefici penitenziari raggiunti. Ma ‘ergastolo ostativo dunque introduce davvero la morte delle persone.
Da quel momento il percorso educativo della persona non ha potuto più avere rete perché l’unica condizione per poter accedere ai benefici della liberazione condizionale è quella della collaborazione con lo Stato, che non è una forma di scelta libera bensì di coercizione morale. Era la forma di coercizione morale, come ha detto la corte europea di giustizia dei diritti dell’uomo, alla quale si voleva dare una valenza di carattere educativo, l’unica prova, senza tenere conto che invece molti detenuti ravveduti non collaborano con la giustizia per non mettere in pericolo i propri familiari all’esterno o perché non ritengono moralmente accettabile come scelta far subire ulteriori conseguenze giuridiche ad altre persone dopo anni e anni.
Questa legge viola il diritto costituzionale al silenzio, diritto di non prestare collaborazione, diritto di non parlare.
La Corte Costituzionale Europea ha definito tale legge una forma di ricatto, un trattamento inumano e degradante che viola il principio sancito nell’articolo 3 della carta costituzionale dei diritti europei. Si può non collaborare dunque non perché si ha ancora un legame con l’organizzazione criminale ma perché si anche per l’incolumità dei propri familiari e questa non è una scelta libera, come sosteneva il governo di difesa, perché il condannato non è affatto libero se sottoposto a ricatto.
Grazie alla legge 1999-2022 si è aperta la porta della libertà condizionale anche a coloro che non collaborano con la giustizia ma solo a condizioni paradossali in quanto il condannato deve dimostrare dopo 26 o 30 anni di reclusione l’assoluta assenza di collegamenti con la criminalità organizzata, e questo è quasi impossibile.
Questa legge viene definita dai giuristi sadismo punitivo. Il sadismo consiste nella lunga attesa del condannato per trovare tali prove, che siano sufficienti da sottoporre al tribunale di sorveglianza, compresa l’istruttoria e gli accertamenti patrimoniali alla famiglia e a terzi, e sottoporli al parere della direzione antimafia. Per questo viene definita una legge subdola e sadica.
Noi dobbiamo indignarci, dirigere lo stupore, quello che un giorno era rivolto alla bellezza, a questo tipo di orrore. Ci dobbiamo meravigliare non possiamo accettare queste cose e dobbiamo dire che la forza dello Stato sta nella asimmetria tra l’atto criminale e la punizione perché deve rimanere rispettosa dei diritti e della dignità.
La forza dello Stato non può essere violenza, non è nella simmetria occhio per occhio. Il 41 bis è l’esempio di questa simmetria, l’esempio di una cultura che vuole che i boss mafiosi marciscano in galera ma senza andare alla radice del problema della cultura mafiosa. Il 41 bis da possibilità a questa classe politica di sfamare questa fame di vendetta e la alimenta perché ormai vogliono tutti o più o meno.
Nasce nel 92 per tutti i reati di mafia e introduce quelli per terrorismo dal 2002 e potrebbe applicarsi a tutti i reati del 4 bis, che sono numerosissimi, qualora vi fossero elementi tali da ritenere che ci siano collegamenti tra l’interno del carcere e l’esterno. Nasce dunque come misura di prevenzione non afflittiva, come viene sbandierato, come misura preventiva per impedire che dall’interno si impartiscano ordini all’esterno. Nasce come Istituto temporaneo e poi si stabilizza come Istituto permanente del nostro ordinamento nel 2009 senza che ricorresse alcuna situazione di emergenza.
La legge viene cambiata e inasprita ponendo delle strettissime limitazioni che nulla hanno a che vedere con quegli obiettivi che si vogliono salvaguardare, ossia la sicurezza pubblica. La limitazione dei colloqui che diventano uno al mese anche se ci sono divisori che vanno dal pavimento al soffitto, al controllo visivo, auditivo e le registrazioni e anche tutte le altre, tantissime restrizioni che sconfinano nella tortura non hanno nulla a che vedere con la sicurezza sociale. La modalità di assoluto controllo dei colloqui impedisce il passaggio di oggetti ed impedisce anche qualunque tipo di veicolazione di messaggi attraverso parole o sguardi ed espressioni facciali. Perché allora limitarne uno al mese?
Il 41 bis non può essere considerato efficace e conforme poiché non mantiene una umanità della pena, può essere conforme, dice la Corte Costituzionale, nei casi in cui le limitazioni siano ragionevolmente funzionali ma tutto il resto è vessazione.
Il sistema sofisticato di violenza morale e fisica che c’è in questi istituti è proibito dall’articolo 13 della Costituzione oltre che dall’articolo 3 dei diritti dell’uomo. Abbiamo relazioni scritte da psichiatri sull’annullamento della persona. I detenuti sono sepolti vivi nel vuoto, nel silenzio, in un luogo dove non c’è niente di umano.
C’è un reparto speciale che si chiama Gom, che ha una forza intimidatoria per il solo fatto di essere un reparto speciale.
A L’Aquila abbiamo l’unico Istituto in Italia con un reparto femminile dove le donne sono pochissime per cui la detenzione diventa ancora più abissale a causa della privazione dei sensi dell’udito, della vista, dell’olfatto e del gusto.
Questo è un sistema di sofisticata violenza morale e psichica, un sistema di tortura volta a sollecitare la collaborazione. Il contrasto alla mafia va portato avanti togliendo la collusione e le infiltrazioni. Queste forme crudeli vessatorie vanno oltre la pena di morte, molti detenuti anzi la chiedono per terminare la tortura. Ma come può uno Stato dirsi civile a tali condizioni?”
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