Expo, licenziamenti preventivi. Viminale nella bufera
- maggio 27, 2015
- in lotte sociali, violenze e soprusi
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Milano. Negato il pass per l’ingresso al sito espositivo a decine di persone già assunte: non hanno superato il filtro di Prefettura e Questura.
«Vorrei semplicemente sapere cosa ho fatto di male per non poter lavorare a Expo 2015». Anna, nome di fantasia, aveva firmato un contratto a tempo determinato per lavorare sei mesi in uno dei padiglioni di Expo. Ad aprile aveva partecipato al periodo di formazione entrando anche nel sito espositivo in costruzione. Il 30 aprile è stata licenziata: «ci dispiace» gli è stato detto dal responsabile personale del padiglione «ma dal primo maggio — inaugurazione di Expo — non può più entrare nel sito espositivo. E quindi dobbiamo licenziarla». Motivo? «La Questura di Milano le ha negato il pass per entrare nel sito». Ma è la Questura a decidere chi può lavorare dentro a Expo e chi no? Chi gli ha affidato questo compito? Quali criteri e procedure utilizza per fare questa preselezione? E quanto è legittimo tutto ciò? Un problema di trasparenza e possibile discriminazione sui luoghi di lavoro, su cui i diretti interessati chiedono chiarezza.
La storia di Anna è simile a quella di altre decine di persone, «un centinaio» dicono dalla Cgil Milano, licenziate o a cui è stato negato il lavoro a Expo perché non hanno superato il filtro di Prefettura e Questura. Ma facciamo un passo indietro: come funziona questo filtro di polizia? Ciascuna azienda o Paese che lavora dentro Expo deve mandare alla Questura e alla Prefettura di Milano i dati anagrafici di chi deve entrare nel sito espositivo per avere il pass che permette di accedere a Expo, il tutto tramite una procedura informatica gestita delle piattaforme di Expo SpA. A questo punto entra in scena il filtro e decine di persone si sono viste rifiutare il pass senza alcuna spiegazione.
«Il parere di Questura e Prefettura non è vincolante» spiegano da Expo SpA, la decisione finale è dunque in capo a Expo. Ma di fronte a un parere negativo, fanno capire da Expo, nessuno si assume la responsabilità di farli entrare. Sembrano dunque esserci ampi margini di discrezionalità. Le risposte arrivate ai lavoratori esclusi, sono quasi tutte un copia-incolla di questo tipo: «le regole d’ingaggio per essere accreditati a Expo 2015 sono differenti da quelle di qualunque altro evento, in quanto l’Expo è stata dichiarata obiettivo sensibile, nonché sito di interesse strategico nazionale». E quindi? La domanda resta: chi decide chi può lavorare a Expo e chi no, e in base a quali criteri? C’è anche chi ha inviato il proprio casellario giudiziario a Expo per provare di essere incensurato, operazione inutile: «allegare visure o altri documenti non serve» è scritto ancora nella risposta standard «i controlli vengono fatti in altra sede ufficiale e sono le autorità di Polizia a gestire queste informazione». Criteri di selezione oscuri sulla base di informazioni riservate. E che devono restare tali, come ha detto il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico a Radio Popolare: «Expo è un sito sensibile, di rilevanza strategica» ha spiegato «ci sono delle attività di prevenzione i cui criteri non possono essere resi noti perché perderebbero di efficacia».
Sempre a Radio Popolare sono andate in onda diverse testimonianze di chi si è visto negare il pass, e che ora tramite la Cgil di Milano, San Precario o propri avvocati, stanno facendo partire cause legali contro Expo e le aziende che li hanno lasciati a casa. Testimonianze che parlano di persone incensurate e che, raccontano, non si sentono di avere nulla a che fare con problemi di «sicurezza nazionale». A meno che non si considerino come tali l’aver lavorato con rifugiati politici, l’aver partecipato a manifestazione contro la riforma Gelmini nel 2008, l’aver frequentato centri sociali o l’essere stato denunciato anni fa per scritte sui muri. Tutte cose venute in mente, guardando al proprio passato, agli esclusi. Ma questo Prefettura e Questura non lo dicono. «Vogliamo sapere perché siamo stati licenziati e perché non possiamo lavorare a Expo». Insomma, se esiste un «Exporeato» che li tiene fuori dall’esposizione. «Chiediamo sia fatta chiarezza, pensiamo di essere di fronte a una violazione dell’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori» dice Antonio Lareno, responsabile Expo per la Cgil di Milano, che ha chiesto un tavolo straordinario dell’Osservatorio Expo per venerdì 29 maggio. Tavolo a cui vorrebbe partecipare anche il Comune di Milano: «abbiamo chiesto di farne eccezionalmente parte» ha detto Cristina Tajani, assessore al lavoro della giunta Pisapia. «Chiediamo a Questura e Prefettura di essere informati su procedure, normative e prassi adottate nei casi segnalati».
La vicenda finirà anche in Parlamento, il deputato di Sel Daniele Farina ha depositato un’interrogazione parlamentare. Ma sarebbe il caso che altri prendessero parola: chi ha perso il posto di lavoro ha il diritto di sapere con la massima trasparenza in base a quale criteri è successo e se tutto ciò sia legittimo o meno.
di Roberto Maggioni (dal manifesto)