Ci sono voluti ben cinque mesi per mettere fine alla carcerazione preventiva di Fabio, arrestato dalla polizia tedesca il 7 luglio scorso, durante le manifestazioni NO-G20 ad Amburgo e ultimo ostaggio della vendetta politica del duo Merkel-Scholz.
Nel corso di quelle che furono ri-battezzate “le tre giornate di Amburgo”, emerse in modo chiaro e netto una larga disponibilità al conflitto dalla composizione eterogenea che si tradusse in pratiche di piazza molto differenti fra loro. È stata proprio la legittimità delle diverse pratiche l’artefice della riuscita del contro-vertice di Amburgo, caratterizzato da forme di conflitto diffuso in grado di mostrare con forza il rifiuto delle politiche neoliberiste, guerrafondaie e (anti)migratorie dei venti “grandi” e di mettere in crisi l’imponente dispositivo di ordine pubblico messo in piedi dalla coppia Merkel-Scholz (sindaco di Amburgo e allora candidato in pectore al Ministero degli Interni, nel caso di una vittoria della SPD alle ultime elezioni..). Il dispositivo di sicurezza fu infatti clamorosamente bucato dai manifestanti: dai blocchi delle arterie del traffico che fecero ritardare l’inizio del vertice, al blocco del Porto commerciale di Amburgo, all’assedio al banchetto dei grandi, alla perdita del controllo della polizia su ampie parti della città, in primis Sankt Pauli (come comunicato via Twitter dalla stessa polizia).
In queste situazioni di fallimento dei dispositivi dell’ordine pubblico, non di rado accade che il potere si vendichi sospendendo le garanzie di uno stato di diritto. E così infatti è stato. Il giorno conclusivo del contro-vertice, dopo che centinaia di migliaia di persone erano scese in piazza per il corteo finale aperto dalla comunità curda, la polizia mise in atto dei veri e propri rastrellamenti. Una caccia all’uomo caratterizzata da un aspetto inquietante: i plotoni della polizia cercavano infatti attivisti/e stranieri/e, meglio ancora se italiani, francesi o greci, noti d’altronde per esseri dei veri e propri tour operators per i professionisti dei riots (anche l’europarlamentare Forenza fu arrestata a margine del corteo e trattenuta ore in stato fermo, nonostante l’inesistenza di alcuna prova riguardo a presunte violazioni della legge). Il motivo di questi arresti selettivi è tanto semplice quanto deplorevole in quanto si cercava di addossare l’intera responsabilità dei disordini ad attivisti ed attiviste arrivati/e dall’estero salvando la faccia alla polizia, alla cancelliera Merkel e al sindaco Scholz. D’altronde le elezioni tedesche distavano meno di tre mesi.
Questa gestione politica discriminatoria della repressione post-vertice è proseguita nei mesi successivi al G20, con gli arrestati di nazionalità tedesca quasi tutti rilasciati nel corso del primo mese (con o senza cauzione), mentre il “pericolo di fuga” condannava gli stranieri (6 italiani, 3 francesi e 2 olandesi il 26 luglio) alla custodia cautelare in carcere. Questa estensione discriminatoria delle misure di restrizione della libertà fra cittadini europei, ha indotto sia Amnesty International che Giuristi Democratici a prendere una forte posizione contro la magistratura tedesca in quanto in contrasto con la legislazione europea sulla libertà provvisoria pre-processuale che prevede la possibilità di trascorrere nel proprio paese di provenienza il periodo in attesa del processo anche con misure alternative alternative al carcere. D’altronde in un contesto come quello dell’UE dove ha validità il mandato di cattura europeo, la giustificazione della carcerazione preventiva col pericolo di fuga, inteso come il ritorno nel paese di residenza, non ha nessun fondamento giuridico. Ecco quindi che comincia a prendere forma l’accanimento giudiziario tedesco nei confronti di tutti/e gli/le stranieri/e arrestati/e al G20.
Prima di entrare nel dettaglio della vicenda di Fabio, che tutt’ora, nonostante la sentenza di scarcerazione di venerdì, resta nelle galere tedesche per cavilli burocratici che dovrebbero essere superati nei prossimi giorni, è molto importante sottolineare la fattispecie di reato per la quale molte persone arrestate sono sotto processo. Un mese prima del G20, una riforma del codice penale tedesco ha inserito negli articoli 113 e 114 un concetto giuridico nuovo per la Germania, il “tätlicher Angriff” (aggressione fisica) de relato, contestuale. Secondo questa ”innovazione”, tutte le persone che partecipano ad un corteo che pratica aggressioni e/o violenze nei confronti della polizia sono potenzialmente responsabili di queste azioni, anche qualora non vi sia nessuna condotta individuale che infrange la legge. Questa compartecipazione morale è punibile con il reato di “attacco portato con altri alle forze dell’ordine”. È ben evidente come questa norma da una parte violi il principio della responsabilità penale individuale e dall’altra si profili come una forte limitazione della libertà di manifestazione del dissenso. Il fine, neanche tanto velato (infatti fu approvato proprio in vista del contro-vertice), consiste nel fare da deterrente alla partecipazione a manifestazioni di piazza, in quanto rende tutti potenzialmente responsabili di tutte le azioni compiute in tali contesti. Le problematicità di tali articoli del codice penale sono state perfino colte dal deputato PD (!) De Menech, il quale in un’interrogazione parlamentare al Ministro degli Esteri Alfano ha duramente criticato questo assetto di norme, esplicitando come fossero lesive del diritto di libera manifestazione del pensiero (è bene ricordare che il Governo italiano, nonostante siano trascorsi quasi cinque mesi dall’arresto di Fabio, on ha mosso alcun passo ufficiale nei confronti della Germania). Non si può certo non apprezzare una tale presa di posizione, ma occorre ricordare al nostro onorevole come anche nel nostro paese la “compartecipazione psichica” (mediante l’art. 110 cp) sia stata utilizzata, guarda caso, per istruire processi econdannare decine di compagne e compagni a partire da Genova, passando per l’11 marzo milanese. Aspettiamo quindi fiduciosi un’imminente campagna del deputato contro l’utilizzo del dispositivo del concorso morale nei processi contro gli attivisti.
L’inserimento nel codice penale tedesco del reato di aggressione violenta derelata è centrale nella vicenda che coinvolge Fabio, ultimo ostaggio post-G20 dello stato tedesco. Il 21 settembre vengono infatti formalizzate le accuse a Fabio e, oltre al disturbo alla quiete pubblica, capo d’imputazione iniziale (e per il quale è stata richiesta la misura cautelare!), gli viene imputato il tentativo di causare danni mediante mezzi pericolosi e la resistenza a pubblico ufficiale. Accuse non sostanziate da nessun indizio, nessuna prova e nessuna testimonianza, come emerse chiaramente già nelle prime udienze del processo. Nessun video ritrae infatti Fabio in atteggiamenti punibili con i capi d’imputazione sopra citati: l’unico elemento certo è la presenza di Fabio in uno dei cortei del venerdì mattina.
Quello che viene da più parti ormai definito un accanimento giudiziario, e per il quale i legali e la famiglia stanno vagliando il ricorso alla Corte Europea di Giustizia, non si limita “soltanto” all’istruzione del processo. I giudici e i magistrati tedeschi si sono infatti distinti in questi mesi per diverse vicende e dichiarazioni poco opportune, per utilizzare un eufemismo. Più volte, nel respingere le istanze di scarcerazione, hanno infatti ribadito l’indiscutibile colpevolezza di Fabio (alla faccia della presunzione di innocenza, vigente anche in Germania, che dimostra come la sentenza sia in realtà già stata scritta prima dell’inizio del processo) ed espresso giudizi arbitrari sulla persona di Fabio (“ispirato da violenza profonda”, “tendenze criminali” frutto di “carenze educative”, “irrispettoso della dignità umana”, “criminale aggressivo”). Tutto questo, ricordiamo, senza lo straccio di una prova. Ma sicuramente l’elemento più preoccupante, dal punto di vista giudiziario, della vicenda che riguarda Fabio è la dichiarazione della giudice Wolkenhauer (presidente del collegio che dovrà emettere la sentenza) nell’accettare l’istanza di scarcerazione (prima che fosse appellata dalla Procura, per poi essere definitivamente accettata dall’Alta Corte). In questo atto giudiziario la giudice mette nero su bianco: “Nella decisione [se scarcerarlo o meno, ndr] occorre tenere conto in misura determinante anche dell’effetto educativo della custodia cautelare”. Parole degne di un regime totalitario più che di una democrazia europea.
A questo punto della vicenda è lecito farsi una, semplice, domanda: perché tanto accanimento, da dove nasce questa sete di vendetta dello stato tedesco? La risposta è molto semplice, quanto inquietante: il processo a Fabio è diventato un processo politico, una ricerca di un capro espiatorio per salvare la faccia della Polizei, di Merkel e Scholz e un chiaro avvertimento per future manifestazioni di piazza. Scrive infatti il quotidiano on line taz.de: “Fabio sta probabilmente pagando il fatto di essere diventato un simbolo, che si merita una risposta dura ed esemplare”. Questa lettura politica della vicenda giudiziaria emerge in modo palese nel momento in cui si rileva che Maria, arrestata insieme a Fabio il 7 luglio ed imputata per gli stessi reati, è stata rilasciata in attesa di processo l’11 agosto in seguito a dichiarazioni in cui si dissociava apertamente dagli episodi di violenza accaduti nella città anseatica nei giorni del contro-vertice. Una dissociazione che il tribunale ha naturalmente richiesto anche a Fabio, il quale invece ha risposto leggendo una dichiarazione alla prima udienza del processo, il 7 novembre.
Una lettera coraggiosa, coinvolgente, a tratti emozionante, di strqordinaria potenza, in cui illustra perché un giovane di 18 anni di Feltre ha deciso di andare ad Amburgo a contestare il G20. Una lettera che parla di disuguaglianze, di guerre per il controllo di risorse naturali, di mancanza di democrazia, di devastazioni ambientali in nome del “progresso”. Una dichiarazione spontanea in cui Fabio afferma chiaramente che nessun tribunale fermerà la “nostra sete di libertà, la nostra volontà di costruire un mondo migliore”. Una lettera quindi che parla di libertà e uguaglianza, contro “venti uomini che decidono della nostra vita e della nostra morte in un banchetto in cui la popolazione non è invitata”.
Una lettera però irricevibile dalla Germania, che si vuole ergere a paladino dell’accoglienza dei migranti e della rettitudine morale per il rispetto dei conti pubblici e dei vincoli comuni UE, ma non è pronta a tollerare nessuna manifestazione moltitudinaria del dissenso verso le politiche neoliberiste di cui è capofila. Che nessuno osi provare a disturbare realmente il manovratore.
Di fronte a questa vendetta infame dello stato tedesco, le uniche armi a nostra disposizione sono la solidarietà e il sostegno attivo a tutt* gli/le imputat*. Per non lasciarli soli di fronte ai processi evidentemente politici cui saranno sottoposti.
Perché la libertà è tutto.
Concludiamo riportando stralci della dichiarazione di Fabio resa all’inizio del processo. Un testo che invitiamo tutti a leggere e a far circolare.
La scelta di venire ad Amburgo è stata una scelta di parte. La scelta di stare dalla parte di chi chiede diritti e contro chi li vuole togliere. La scelta di stare dalla parte di tutti gli oppressi del mondo e contro gli oppressori. La scelta di combattere i potenti grandi e piccoli che usano il mondo come fosse un loro gioco. Incuranti che poi a farne le spese sia sempre la popolazione.[…]
Perché signora giudice, signori giudici popolari, signora procuratrice, signor assistente del tribunale per i minori, perché noi non siamo il gregge di venti signorotti. Siamo donne e uomini che vogliono avere il diritto di disporre delle proprie vite.
E per questo combattiamo e combatteremo.
Fabio, 7 novembre 2017
da DinamoPress