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Nell’Italia di oggi sono quasi sempre i comici, specialmente quelli dotati della finezza analitica di Corrado Guzzanti, ad interpretare i segni che danno concretezza alle cose. La concretezza della vicenda legata alla presenza di un editore fascistissimo (fortunatamente poi scongiurata) al Salone del libro di Torino.
La concretezza dell’orribile, violenta azione squadristica in una borgata romana condotta in prima persona da Casa Pound, l’associazione dei fascisti del terzo millennio di cui è dirigente il suddetto fascistissimo editore. La concretezza di quello che Marco Revelli ha chiamato «il vero scandalo», uno scandalo «enormemente grave e intollerabile», cioè la consapevole, voluta scelta di un ministro che ha giurato fedeltà alla Costituzione antifascista, di far pubblicare un suo scritto proprio da quel fascistissimo.
Segni, che peraltro vanno tutti con chiarezza in una direzione: quella del consolidamento di un intreccio composto da una molteplicità di lineamenti che in vari modi legano il pervasivo neofascismo di oggi al «fascismo storico».
Uno dei filoni caratterizzanti questo intreccio, consiste nel negare le possibilità di un’analogia tra il fascismo storico ed elementi caratterizzanti il momento attuale definiti tramite il termine «fascismo». Filone interessato, soprattutto, alla banalizzazione di tali fenomeni. E la banalizzazione è un modo particolarmente efficace per immetterci in una «notte in cui tutte le vacche sono nere», dove le parole perdono il senso profondo del loro significato, nella storia e soprattutto nella memoria.
La storia del fascismo nei suoi complessi rapporti con la società italiana, quella risultata sconfitta il 25 aprile, è storia finita? «Sono cose di altri tempi», ripetono in coro pressoché tutte le sfumature della destra, sia le «moderate», sia le «estreme». Se ne comprendono perfettamente le ragioni, ma non possiamo consolarci pensando che si tratta semplicemente di volgari forme di propaganda, anche se lo sono.
Persino autorevoli analisi storiche possono portare a tali conclusioni. Analisi che, giustamente, ci mettono in guardia dall’usare il termine «fascismo» come una sorta di passepartout semantico, ma che concentrate sulla irrepetibilità del «fascismo storico», limitato rigorosamente al ventennio, finiscono per immiserire quello che può essere usato fecondamente come concetto interpretativo che va al là del tempo del regime. Ci sono concetti che «non solo sono indispensabili per pensare l’esperienza storica, ma che addirittura la oltrepassano, sopravvivono ad essa e possono essere utilizzati per comprendere nuove realtà» (E. Traverso, Le metamorfosi delle destre radicali nel XXI secolo, 2019, p. 9). Particolarmente in un caso come quello dell’Italia, là dove il fascismo è stato inventato ed ha preso la sua forma primigenia.
Di che cosa siamo realmente contemporanei? Di che cosa è realmente intessuto l’adesso?
La comprensione storica dell’adesso acquista spessore solo se l’adesso non è semplicemente il punto d’arrivo di un continuum storico, bensì il momento essenziale di una correlazione tra uno, o più momenti del passato, che possono mostrarsi particolarmente significativi per dare senso al presente.
Da più di vent’anni, cioè dal primo governo Berlusconi, nel quale gli eredi conclamati del fascismo storico erano parte integrante ed essenziale, il richiamo senza infingimenti al fascismo è diventato aspetto costitutivo di una vasta alleanza. Aspetto costitutivo, quindi, di una fase della storia d’Italia.
Un’ampia e rigorosa letteratura storica, in particolare straniera, ha ricostruito un quadro impressionante delle forme in cui lineamenti di lungo periodo di tali richiami sono diventati, in Italia, del tutto normali nell’ambito di quell’alleanza. Una normalizzazione che ha raggiunto, tramite personaggi ai vertici del governo, anche centralità istituzionale.
L’attuale salvinismo non è semplicemente il frutto di questo contesto, ma di un percorso che questo contesto ha contribuito a creare. Ed il partito di Salvini ne è stato una delle principali forze costituenti in tutte le esperienze di governo, dagli esecutivi Berlusconi, al ruolo chiave esercitato nella direzione di importanti regioni del Nord. Ecco perché, pur con tutte le opportune distinzioni, dobbiamo interrogarci seriamente, con reale preoccupazione, delle caratteristiche di queste «forme». Non possiamo dire che oggi il «fascismo», non esiste visto che non sono presenti aspetti che hanno caratterizzato il «fascismo regime».
Com’è ben noto, il Manzoni scrive che Don Ferrante sosteneva, «con ragionamenti, ai quali nessun potrà dire almeno che mancasse la concatenazione», che la peste non esisteva. Mancavano, infatti «sostanze ed accidenti»; «non è acqua: perché bagnerebbe (…). Non è ignea: perché brucerebbe». E, «su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione contro la peste; gli s’attaccò; andò a letto, a morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle».
Paolo Favilli
da il manifesto