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Ferrara: Processo Aldrovandi. Il pm chiede 3 anni e 8 mesi di condanna per i 4 poliziotti

Tre anni e otto mesi, ha chiesto ieri il pm ferrarese Nicola Proto, per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi. Quando Patrizia Moretti, la madre del diciottenne ucciso in via Ippodromo, ha udito la richiesta di condanna per i quattro autori del violentissimo controllo di polizia del 25 settembre 2005, non ha potuto fare a meno di ripensare al notiziario ascoltato mentre usciva di casa per venire in tribunale. La radio parlava di una maestra condannata a tre anni per uno schiaffo a un suo alunno. Pene a parte – per l’eccesso colposo, il massimo del codice penale è di 5 anni – la requisitoria del pm, che ereditò il caso nella primavera del 2006, ha voluto restituire a Federico Aldrovandi la dignità di un diciottenne, con pregi e limiti. «Senza quell’incontro sarebbe ancora vivo», ha detto il magistrato dopo cinque ore di requisitoria. Sarebbe bastato girarlo su un fianco, farlo respirare anziché tenerlo prono, faccia a terra, venendo meno all’«obbligo di protezione» generato dal «contatto sociale» tra le volanti e un ragazzo. Le ultime parole di Federico sono «pesanti come un macigno», quella mattina chiedeva di smetterla: «Aiutatemi… Basta!».
I testimoni lo hanno ricordato più volte durante le ventisei udienze di un processo che si trascina da quasi due anni ed è stato possibile solo grazie all’ostinazione di una madre e un padre che hanno aperto un blog dopo cento e più giorni di silenzio e hanno avviato una controindagine.
IL RITORNO DA BOLOGNA
Tra le 3.30 e le 4 del mattino Federico e quattro amici tornano dal Link, il locale di Bologna dove avevano trascorso il sabato sera. Prende le mosse da lì la ricostruzione del pubblico ministero che smonterà l’alibi dei quattro imputati. Interrogati immediatamente dopo i fatti, interrogati uno ad uno con metodi a dir poco bruschi, tutti gli amici dell’Aldro sono concordi nel riferire le buone condizioni di Federico. Gli piaceva farsi due passi prima di rientrare, «non era agitato, era normale che tornasse a casa a piedi». Durante il viaggio aveva sonnecchiato. Nessuno di loro nega che fosse «interessato al mondo delle sostanze». Era, a detta di Proto, «un assuntore assolutamente occasionale». E quella notte, a Bologna, aveva preso due “francobolli” di Lsd, due dosi. Di quegli acidi non si troverà traccia alcuna nel sangue del ragazzo. Forse erano un “pacco”. Ma su quei francobolli si reggeranno la versione ufficiale, più volte rettificata, e la difesa dei quattro agenti. Federico è al parchetto dell’Ippodromo subito dopo le 5. Dalle 5.18, per 5 minuti, partiranno una decina di chiamate dal suo cellulare. Tutte a vuoto, tutte verso suoi amici. Forse voleva essere accompagnato a casa, suggerisce Proto, invitando a non avventurarsi nel campo di altre illazioni.
GLI ORARI
Alle 5.48 la prima telefonata al 112, che dirotterà ai colleghi della questura la segnalazione, su un «soggetto che sbatte dappertutto». Quattro minuti dopo la prima volante è sul posto, due minuti dopo la richiesta di ausilio. Alle 5.58 un altro cittadino avverte il 113 di alcune urla (tra cui «polizia di merda») e dirà di aver udito sgommate. Un altro residente testimonierà di aver sentito, prima delle 6, quelle stesse urla. Vedrà arrivare la seconda volante. Ricorderà la stessa frase – «Apri il baule, presto!» – riferita dalla superteste, Annemarie, la donna camerunense che ha deposto due anni fa in sede di incidente probatorio. Alle 6 e un minuto la questura chiede l’intervento dei carabinieri. Sette minuti dopo, quando arrivano i militari, verrà sollecitato l’arrivo dell’ambulanza. Proto divide in tre fasi il misterioso controllo di polizia e scova alcuni «elementi» che lascerebbero pensare a una ricostruzione degli orari, da parte della polizia, tesa a restringere i tempi dell’intervento. I tempi, secondo il pubblico ministero, non tornano. La prima fase (dalle 5.53 alle 5.59) è quella in cui i testi sentono i colpi sulla carrozzeria. Gli agenti diranno che Federico era saltato addosso alla vettura ma Proto ha un dubbio: il cofano della volante è intonso. L’atterramento e l’azione dei manganelli (tra le 5.59 e le 6.03) è stato reso indelebile dalla testimonianza della donna camerunense, che parlerà solo dopo un lungo periodo di riflessione, terrorizzata dalla sua condizione di migrante precaria. Dalle 6.03, l’ultima fase: il ragazzo è a terra, in posizione prona, chiede aiuto. Sei minuti dopo, prima i carabinieri, poi i sanitari, lo troveranno ammanettato, faccia a terra, senza vita. Forse, ipotizza la pubblica accusa, la macchina della polizia si sarebbe potuta trovare già lì prima della chiamata del 113. Diverse testimonianze usano il plurale per indicare i protagonisti delle urla in via Ippodromo, sentono sgommate e vedono lampeggianti. Anche l’unica donna imputata, alle 5.54, dirà al telefono che «erano fermi lì» senza convincere il pm che non si riferisse alla vettura dei suoi colleghi. E spicca nel racconto di Proto, l’inattendibilità delle deposizioni del responsabile delle volanti, lo stesso che farà interrompere la registrazione delle telefonate del centralino. Perché?
LA SUPERTESTE
Annemarie vide Federico passare in mezzo alle due vetture. Lo vide accennare una sforbiciata senza colpire nessuno. In un attimo sono tutti sopra di lui «come le formiche», «con i bastoni». Proto continua a ricordare. Gli occhi di Patrizia e Lino tornano a riempirsi di lacrime. Aldro si dimenava, ma era a terra. Chiedeva aiuto. Prese manganellate e calci ovunque, poi si sedettero su di lui. Si spezzano due manganelli. Si domanda il pm se fossero vecchi o se siano stati usati in modo improprio. E, «dopo un po’ Federico non si muove più». L’azione fu «violenta e rapida», dice Proto rileggendo le frasi ricordate dalla superteste: uno degli agenti si accorse del sangue, la poliziotta rispose che «non siamo stati mica noi, è la roba». Un altro si rese conto delle luci che si accendevano nelle casette di via Ippodromo. Sempre la donna-poliziotto esortò i colleghi a «moderare». Il pm è sicuro: «Fu un’azione smisurata». Incrocia le testimonianze. Quello dei poliziotti «è un altro film», che descrive un ragazzo inferocito che se la prende con l’agente. «Qualcuno – dice Proto – non dice la verità». E le ferite sul corpo della vittima sono compatibili con l’uso degli sfollagente e con la compressione, compatibili con le testimonianze e i riscontri oggettivi di foto e rilievi.
LE PRIME INDAGINI
Alle 6.12 uno degli imputati disse al telefono che l’avevano «bastonato di brutto». Il pm dà conto delle preoccupazioni degli agenti – riscontrate in alcune chiamate – di giustificare le botte in testa al ragazzo. Quelle botte sono l’eccesso colposo. «Il ragazzo era sfigurato. E, se picchi in testa per molto tempo, eccedi, esageri», continua il pm. E prende nota di come le prime indagini, pochi minuti dopo la morte, sembrano tese a capire cosa avessero visto i testimoni per aggiustare il tiro della versione ufficiale. Alla pm di turno fu fornito «un omesso avviso, un imperfetto avviso» così da non farla passare sul luogo del delitto, e fu tenuta all’oscuro delle testimonianze raccolte. La prima versione fu quella della morte per droga. Chi fu interpellato dai poliziotti, quella mattina, disse che gli agenti «volevano pararsi il culo».
LE PERIZIE
Ma che le droghe non ebbero alcun rilievo fu chiaro già pochi giorni dopo la morte. Il sangue di Federico restituì lievi tracce e ininfluenti. Lo stato di eccitazione psicomotoria non avrebbe nulla a che vedere col bad trip ipotizzato nelle perizie della procura e delle difese. Il pm s’è mostrato perplesso dai metodi di queste perizie che hanno evitato di cogliere il nesso tra l’agitazione del ragazzo e la colluttazione, tra la costrizione e la morte. Per enfatizzare il ruolo delle sostanze sarebbero stati minimizzati i segni di asfissia e ignorate le testimonianze sulla prolungata fase di costrizione. Più precise le consulenze delle parti civili che collegheranno l’agitazione psicomotoria, il debito di ossigeno anche ai violenti sforzi di Federico e alla pressione subita una volta a terra. Nella fase finale del processo, inoltre, spunterà la foto del cuore spezzato del ragazzo rimasta fuori dalle documentazioni fornite alle parti. Il suo cuore, diranno gli esperti, fu compresso come un sandwich. All’asfissia posturale si somma l’asfissia meccanica sottolineata dai rantoli e dalle suppliche del ragazzo che moriva. «Questa azione è stata esagerata – dirà il pm puntando l’indice su – un intervento che doveva essere diverso». Federico stava male: andava fermato o aveva bisogno di aiuto? Era necessario picchiarlo con i manganelli quattro contro uno? Uno degli imputati fa sì con la testa. Proto insiste: Era necessario picchiarlo in testa, e quando era a terra? E poi perché tenerlo in quella posizione? Sul corpo del ragazzo ci sono segni di difesa mentre sarebbe evidente la «predisposizione all’offesa» dei quattro imputati che agirono «fuori dai limiti dell’adempimento di un dovere». Per questo e per l’omissione di soccorso chiede per tutti pene uguali, 3 anni e 8 mesi, al termine di una requisitoria che Fabio Anselmo, uno dei legali degli Aldrovandi, definisce «ineccepibile e precisa» e uno degli imputati bolla come scandalosa. Le difese annunciano una ricostruzione alternativa per il 23 e 24 giugno. La sentenza è attesa per il 6 luglio dopo le repliche delle parti civili. Intanto, per i genitori di Aldrovandi, quello che già è emerso è che «il pm ha fatto il suo dovere. Non tutti possono dire lo stesso».
Checchino Antonini