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Fine d’anno in carcere. Una lettera da Perugia

Michele Fabiani, dett «Mec», ha vent’anni e vive a Spoleto. Assieme ad altri quattro ragazzi spoletini è finito in carcere, lo scorso 23 ottobre, dopo una spettacolare azione capitanata da Ganzer il capo dei Ros. È accusato dei reati associativi previsti dagli articoli 270 e 270 bis del codice penale, che riguardano le «associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico». Mec si dichiara anarchico e ha scritto sui muri della sua città qualche slogan anarchico. Per la sua liberazione sta lottando il Comitato 23 ottobre. Al suo fianco si sono schierati il consiglio comunale di Spoleto, alcuni parlamentari, tra i quali l’onorevole Katia Bellillo, i senatori Giovanni Russo Spena, Stefano Zuccherini, Francesco Ferrante e Maria Luisa Boccia, oltre a vari consiglieri comunali dell’Umbria. Questa lettera descrive la sua situazione ed è stata scritta pochi giorni dopo il suo arresto. In un messaggio più recente, Mec [che ha anche partecipato allo sciopero della fame contro l’ergastolo] racconta che le situazioni sono peggiorate: «L’isolamento si fa più rigido, hanno intensificato i controlli e adesso certe guardie [non tutte] vietano pure al lavorante che pulisce di avvicinarsi troppo alla mia cella. Neppure ai parlamentari è stato permesso di incontrarmi. Hanno concesso solo una visita veloce tramite le sbarre con il comandante e il direttore che controllano le nostre conversazioni. Anche questa è una decisione della direzione del carcere, non necessaria per il regime Eiv [‘Elevato indice di vigilanza’], così come non è necessario che io passi l’ora di aria da solo, ma è anche questa una decisione arbitraria dell’amministrazione».
Sono Michele Fabiani, detto «Mec», come direbbero i giudici! Vorrei che questo scritto girasse il più possibile, non so ancora se potrò fotocopiarlo o se dovrò ricopiarlo a mano per cercare di mandarlo il più possibile in giro. Dalla seconda media mi chiamano Mec perché per spirito di contraddizione tifavo la Maclaren. E così ho appena scoperto che di sfortune ne ho avute due in due giorni: la macchina di Montezemolo vince i mondiali ed io finisco in galera. Martedì 23 ottobre 5 brutti uomini [due erano così brutti che si sono messi i passamontagna] irrompevano in casa mia, la mettevano completamente sottosopra e mi arrestavano in base all’articolo 270 bis [scritto dal ministro Rocco per Mussolini]. I reati associativi previsti dall’art. 270 bis e 270 permettono di arrestare qualcuno non perciò che ha fatto, ma per come la pensa, perché fa parte di qualche fantomatica associazione. Basti pensare che uno di noi cinque, rinchiusi in isolamento giudiziario da quasi quattro giorni e da oggi in Elevato indice di vigilanza, è accusato solo di aver fatto una scritta su un muro! Ci pensate? Tre volanti [ a testa], i mitra, i passamontagna, la scorta aerea dell’elicottero, le telecamere, il carcere, l’isolamento, per una scritta su un muro! Sono stato poi portato alla Caserma dei carabinieri di Spoleto e poi a quella di Perugia, infine da quella di Perugia al carcere. Il primo momento propriamente comico è stato quello del trasferimento dalla caserma al carcere: chi guidava la macchina, forse impressionato, ha sbagliato strada ed abbiamo fatto due volte il giro della stazione ferroviaria. In carcere mi stanno trattando bene, non mi hanno mai toccato [in tutti i sensi, neanche per gli spostamenti]. La cella è molto sporca, c’è un tavolo appeso al muro con un armadietto inchiodato ed un letto inchiodato per terra e alla parete. Oggi è caduto l’isolamento e abbiamo anche la televisione: resta il divieto di comunicare tra noi, che è la cosa peggiore. Ho visto le immagini del TG3 Umbria che eravate fuori durante gli interrogatori: eravate tanti! Sono tanto felice, purtroppo da dentro non vi abbiamo sentito… Nessuno tema o si rallegri: io ero , sono e resto un prigioniero, anche prima di martedì: siamo tutti prigionieri, tutti i giorni. Quando ci alziamo la mattina per andare a lavorare, quando sprechiamo gli anni più belli della nostra vita su una macchina, quando facciamo spesa, quando non possiamo farla perché mancano i soldi, quando li buttiamo via i soldi per delle cazzate [ vestiti, aperitivi, sigarette non c’è differenza] quando guardiamo la TV che ci fa il lavaggio del cervello, che cerca continuamente di terrorizzarci con morti, omicidi, rapine [ quando in quindici anni gli omicidi sono diminuiti del 70%] così che noi possiamo chiedere più telecamere, più carceri, pene sicure, quando se c’è una pena davvero sicura a questo mondo, è quella che incatena lo sfruttato alle sue condizioni. Io non ho mai detto «Sono un uomo libero», in pochi possono dirlo senza presunzioni. Se io fossi un uomo libero, andrei tutti i giorni sulla cima del Monte Fionchi, in estate con le mucche e le pecore e in inverno con la neve, e dopo aver raggiunto faticosamente le cime…guardare a nord ovest, la valle Umbra o valle Spoletino come si diceva una volta, poi a Nord Est la Valnerina e il Vettore quasi sempre liscio dietro, e poi via verso est tutti gli Appennini che cominciano da lì, fino a sud dove ci sono quelle meravigliose foreste… E forse ripensandoci neanche lì sarei veramente libero,. perché la valle Umbra è piena di cave, di capannoni, di fabbriche, di mostri che devono essere combattuti .Quindi io non sono un uomo libero… Io sapevo già di essere prigioniero prima che un giudice me lo dicesse. Certo questa prigione è diversa da quella fuori: qui vedi tutti i giorni in maniera limpida, simbolica, e al tempo stesso materiale quali sono i rapporti di forza del dominio; dove c’è chiaramente e distintamente l’uomo, con i suoi sogni, i suoi amori, il suo carattere, e il sistema, le sbarre, le catene, le telecamere, le guardie. Ovviamente l’uomo qui sta peggio. È inutile fare retorica. Dopo qualche giorno la gabbia te la trovi attorno alla tua testa. Con il cervello che ragiona ma non ha gli oggetti su cui ragionare, con la voglia incontenibile di parlare e non c’è nessuno, di correre e non c’è spazio, quando mi affaccio alla finestra vedo un muro con altre sbarre, non si vede un filo d’erba, una collina [ neanche durante l’aria, che passo solo in una stanza più grande], fuori dalla tua gabbia c’è un’altra gabbia… La mia paura è che quando uscirò ci sarà ancora questa gabbia intorno alla testa che mi… e mi dice di non prendere a calci la porta della cella e di mettermi ad urlare. Il rapporto qui è tutto mentale. È di questo che voglio liberarmi, voglio uscire e continuare ad avere una capacità di analisi oggettiva della realtà. Qui questa capacità rischio di perderla. Mentre fuori, magari innaffiando un seme e facendo crescere una pianta, si ha un’interazione fisica col mondo. La realtà è una sintesi in cui l’uomo colloca se stesso tra il mondo e le sue idee. In galera purtroppo questa sintesi è pericolosamente, patologicamente, troppo incentrata sulla mente. Ai compagni che scrivono che non trovano parole dico di trovarle queste parole che ne abbiamo troppo bisogno. Scriveteci a tutti e cinque! E vorrei che qualcuno dicesse ad Erika che le mando un bacio. Mec, Un anarchico in cattività