La Lega non demorde: l’assessore regionale alla Sicurezza e all’Immigrazione (che già il connubio è significativo) ha dichiarato di voler collocare «fototrappole spia» lungo il confine con la Slovenia per contrastare l’afflusso dei migranti. Almeno nella zona di Trieste dove lo sconfinamento è quotidiano.
Dopo aver promesso droni e reticolati, la fantasia dell’assessore Roberti continua a dilagare. Dovrebbe conoscere le proprie competenze, l’assessore leghista, ma evidentemente non è così: non è informato, evidentemente, che la Regione non ha alcuna competenza su questo e mai potrebbe, su proprio bilancio, collocare sistemi di rilevazione e controllo. Dice che così le riammissioni in Slovenia dei migranti sarebbero automatiche, dimostrando di non conoscere la normativa e probabilmente senza rendersi conto che tra Italia e Slovenia da anni esiste soltanto un «confine interno» alla Ue, con tutto quello che ne consegue.
Intanto, coerentemente, la gestione dei migranti in Friuli Venezia Giulia peggiora di giorno in giorno e sta diventando esplosiva. Soprattutto a Gradisca d’Isonzo dove operano affiancate due strutture carcerarie, il Cara e il nuovo Cpr aperto in sordina a fine dicembre: stesso muro perimetrale di cemento alto quattro metri con aguzzi frammenti di vetro e reticolati sulla sommità, nuovo sistema di videosorveglianza, doppia recinzione esterna, gabbie nei cortili interni per tenere isolati i gruppi di persone. Due strutture assieme: un unicum per l’Italia del Nord.
Alcuni operatori dei Centri gradiscani, pochi giorni fa, hanno inviato una lettera aperta al quotidiano il Piccolo descrivendo una realtà intollerabile: «È ora che si venga a sapere che cosa succede in questi posti dimenticati da Dio e dagli uomini» hanno scritto. La cooperativa che gestisce il Cpr è la Edeco di Padova, tra l’altro indagata per precedenti gestioni irregolari e, scrivono ancora i lavoratori: «ogni settimana arrivano da Padova due persone che mangiano, si lavano e dormono dentro il Cpr. Lavorano 12 ore al giorno e fanno anche il turno di notte alternandosi con un solo operatore in servizio. In caso di problemi, uno sveglia l’atro». Gli stessi due operatori fanno anche le pulizie ma non esiste igiene e nessuno degli operatori è vaccinato. I pasti arrivano ogni mattina da Padova e, tenuti dentro contenitori di acciaio, devono bastare sia per il pranzo che per la cena. Non c’è un ambulatorio, un’infermeria, il medico è presente per quattro ore ma solo tre giorni alla settimana. Di mediazione culturale, assistenza legale, o quant’altro, nemmeno l’ombra.
Frutto avvelenato, del tutto prevedibile, del decreto Salvini che fissa in 19 euro il budget giornaliero per ospite del Cpr, a scapito del servizio e degli operatori che, con un gioco al massacro di riduzioni di orario e turnazioni, portano a casa stipendi da 5-600 euro al mese: «Ci chiediamo come lo Stato possa far finta di non sapere nulla di ciò che accade all’interno di questo meccanismo».
«Ci portano da mangiare come ai cagnolini!» è riuscito a dire un migrante rinchiuso nel nuovo Cpr di Gradisca durante una breve drammatica telefonata filtrata all’esterno. Non c’è un refettorio, non c’è nulla, solo celle da sei persone dove chi aspetta il rimpatrio deve restare chiuso per gran parte del tempo con una feritoia sulla porta che fa anche da passavivande.
Carcere di massima sicurezza destinato non a chi ha commesso reati: le «irregolarità» sono puramente amministrative e molte lo sono diventate soltanto in forza dei decreti salviniani. Galera, e di quelle peggiori, dove rinchiudere anche gli stranieri che già avevano avuto un permesso di soggiorno, che lavoravano, che studiavano, che si erano illusi di aver trovato un luogo dove ricostruirsi una vita. E così si moltiplicano gli episodi di autolesionismo ed i tentativi di fuga (già in una decina sono riusciti a scappare).
E cresce anche la conta dei morti annegati nell’Isonzo. La Regione, secondo l’ordinamento giuridico, dovrebbe realizzare progetti di inclusione sociale per gli stranieri, ma alla maggioranza leghista non interessa: meglio le fototrappole per la loro sguaiata propaganda. È il metodo migliore per creare disordine e insicurezza, ma tant’è.
da il manifesto