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Francia: Contro la criminalizzazione e la sorveglianza dei militanti politici

Francia: l’esasperazione della criminalizzazione dei militanti con abusi di ogni sorta di mezzo delle nuove tecnologie: un caso allarmante che mostra la deriva fascista in Europa

di La Quadrature Du Net (traduzione a cura di Salvatore Palidda)

Siamo qui oggi per esprimere il nostro sostegno alle persone convocate, a tutte le persone poste in custodia di polizia. Siamo qui per denunciare lo sfruttamento della giustizia e dei servizi antiterrorismo per reprimere gli attivisti e scoraggiare qualsiasi forma di disobbedienza civile. Infine, per esprimere la nostra indignazione per l’uso sistematico di forme di sorveglianza intrusive e del tutto sproporzionate. Le accuse di oggi, o quelle che le hanno precedute in questo “caso Lafarge”, si inseriscono in un contesto più globale. Fino a un passato non così lontano, molte forme di azione diretta erano tollerate dalle autorità.

Ma, gradualmente, in connessione con la deriva neoliberista iniziata negli anni ’80, lo spazio concesso alla critica a un sistema ingiusto ed ecocida si è sciolto come neve al sole.

Di crisi in crisi, abbiamo assistito al consolidarsi di uno stato di eccezione, all’inflazione dei servizi di intelligence, alla moltiplicazione delle deroghe al diritto liberale – un diritto certamente troppo imperfetto, ma che restava nondimeno un’eredità fondamentale delle lotte passate. Abbiamo anche visto un potere politico ostinatamente testardo al punto da non tollerare più il minimo dissenso, sfruttando il diritto comune attraverso multe, scioglimenti e una polizia iper-violenta. Il tutto per reprimere tutti coloro che hanno la dignità di esprimere il loro rifiuto verso un sistema di violenza disinibita, e il coraggio di mettere in atto questo rifiuto.

In questo processo di criminalizzazione degli attivisti, i servizi di intelligence, la polizia giudiziaria e i pubblici ministeri possono ora contare su mezzi di sorveglianza esorbitanti. Tanti dispositivi che si sono accumulati in 25 anni e che, nel caso Lafarge e in altri giudicati di recente, si combinano per produrre una sorveglianza totale. La sorveglianza è intesa a produrre elementi su cui costruire la narrazione e la repressione della polizia. Questa sorveglianza comincia con l’attività dei servizi segreti. Controlli d’identità che ti mettono nel mirino dei servizi, telecamere e microfoni nascosti nei luoghi dei militanti o nelle librerie, fari GPS, intercettazioni, analisi di metadati, ecc. Tutto è buono per servire le priorità politiche e giustificare i crediti di sostenibilità. L’attività di intelligence dedicata alla sorveglianza degli attivisti – diventata una priorità sin dalla strategia di intelligence nazionale del 2019 – è raddoppiata sotto Macron, passando da almeno il 6% delle misure di sorveglianza totali nel 2017 a oltre il 12% nel 2022.

Dopo il fascicolo amministrativo, dopo le note di intelligence, arriva la fase delle indagini giudiziarie. Anche in questo caso, come illustra il caso Lafarge, la sorveglianza implica l’uso della videosorveglianza – oggi ci sono più di 100.000 telecamere sulle strade pubbliche – e quindi l’identificazione biometrica sistematica, in particolare tramite il riconoscimento facciale e il file TAJ, o quando ciò non è possibile da parte del cartella della carta d’identità e del passaporto.

Ricordiamo che l’uso del riconoscimento facciale tramite il file TAJ non è fantascienza. Anche questa non è un’eccezione. Viene ormai utilizzato almeno 1.600 volte al giorno dalle forze dell’ordine, anche se questo metodo distopico di identificazione non è mai stato autorizzato dalla legge e, infatti, il suo utilizzo non è controllato dall’autorità giudiziaria. Questo riconoscimento facciale viene utilizzato anche per reati banali, in particolare quando si tratta di utilizzare come arma la repressione degli oppositori politici, come illustrato dalle sentenze della scorsa settimana a Niort, un anno dopo Sainte Soline. E questo mentre il diritto europeo impone normalmente un criterio di “assoluta necessità”. La sorveglianza risulta infine dall’intersezione di tutte le tracce digitali lasciate nel corso delle nostre vite e delle nostre attività sociali. In questo e in altri casi, assistiamo ad un aumento delle richieste sui social network come Twitter o Facebook, per spiare conversazioni telefoniche e messaggi di testo, tracciare la corrispondenza e i movimenti di interi gruppi di persone attraverso i loro metadati, monitorare le loro pubblicazioni e letture, requisire le loro storie bancarie o archivi detenuti dai servizi sociali, …

Tutto, spesso sulla sola base di vaghi sospetti. E il risultato è una violazione sistematica della loro privacy, poi denunciata alla polizia, che non esita a usarla per intimidire o tentare di umiliare durante gli interrogatori e per costruire una visione distorta della realtà che possa corroborare le loro fantasie. Sempre più spesso è la logica stessa della resistenza alla deriva autoritaria ad essere criminalizzata. Se sdi utilizza un software gratuito e altri servizi alternativi alle multinazionali che dominano l’industria tecnologica e sono integrati nei sistemi di sorveglianza statale? Basta questo per farti sospettare, come ha rivelato il caso “8 dicembre” giudicato qualche mese fa. Scegli servizi di messaggistica con protocolli di crittografia per tutelare il tuo diritto alla riservatezza delle comunicazioni? Possiamo utilizzare spyware e altri metodi di intrusione informatica per assorbire quanti più dati possibile dai tuoi computer o smartphone. Questo è ciò di cui è stato vittima il fotografo implicato in questo caso. E se ti rifiuti di consegnare i tuoi codici di crittografia mentre sei in custodia di polizia, te lo rinfacciamo e intraprendono azioni legali, anche se il reato che dovrebbe legittimare la tua custodia si rivela del tutto grottesco.

Concludiamo ricordando che, negli anni Trenta, mentre l’Europa cedeva progressivamente al fascismo, un governo francese poteva fare del Paese una terra accogliente per attivisti, artisti e intellettuali. Era poco prima della vergognosa fine della Terza Repubblica, poco prima del regime di Vichy.

Oggi, mentre in Europa e nel mondo gli attivisti per i diritti umani, gli ambientalisti, coloro che denunciano la violenza sistemica degli Stati o i misfatti delle multinazionali, sono sempre più esposti alla repressione, lo Stato francese si pone in prima linea nella deriva postfascista. Resta da vedere se, invece di diventare un complice attivo come suggeriscono le recenti decisioni, l’istituzione giudiziaria avrà ancora la volontà di resistere.

 

 

 

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