A venti giorni dagli attacchi di Parigi dello scorso 13 novembre, rivendicati da Daesh, il sedicente Califfato Islamico, la Francia è un Paese in stato d’emergenza permanente.
Lo stato di emergenza, proclamato nelle ore successive ai 130 morti e alle decine di feriti nelle sparatorie ed esplosioni della capitale transalpina, durerà per i prossimi tre mesi ma il governo del premier Valls e del presidente Hollande, alle prese domenica 13 dicembre con le elezioni regionali, già programmano di estenderlo per altri tre oltre l’attuale scadenza del 26 febbraio. Non solo: la Francia ha anche informato il Consiglio d’Europa “della sua decisione di derogare alla Convenzione europea dei diritti umani”.
Per difendere la “necessità” di questa gigantesca riduzione degli spazi di libertà e dei diritti collettivi e individuali, il ministro degli Interni Bernard Cazeneuve ha sostenuto che “è il terrorismo che limita le nostre libertà, non questa misura”. Cazeneuve ha parlato, finora, di 2.235 perquisizioni, 232 persone arrestate, 334 armi sequestrate e tre moschee chiuse”. A questi dati vanno poi aggiunti gli sgomberi di diversi squat e spazi sociali oltre a oltre 300 persone poste in “domicilio coatto” o sotto stretto controllo poliziesco.
Tra loro, molti dei manifestanti AntiCop21 caricati e gasati domenica 29 novembre a Parigi, nella repressione della manifestazione convocata contro Cop21 e il divieto a tenere qualsiasi corteo pubblico.
Sul fronte legislativo, la “normalizzazione” dello stato di emergenza è contenuta nel testo della riforma costituzionale, che il governo ha trasmesso al Consiglio di stato per un parere preventivo e che il Consiglio dei ministri potrebbe licenziare entro il 23 dicembre, con il successivo voto di deputati e senatori. Nel testo è contenuto il raddoppio dello stato di emergenza, da tre a sei mesi, con il corollario di misure liberticide attuali, oltre alla cancellazione dello ius soli per chi ha la doppia cittadinanza (quasi 4 milioni di persone) nel caso vengano accusati, a qualsiasi titolo, di reati connessi al “terrorismo” e alla minaccia della “sicurezza nazionale”.
L’onda securitaria, con misure che il governo socialista ha attinto a piene mani dall’armamentario ideologico del Front National, non riguarda solo l’agibilità politica e sociale, ma investe direttamente il mondo del lavoro, già colpito da un tasso di disoccupazione tornato a crescere e arrivato, nel terzo trimestre 2015, al 10,6% (era al 10,3%), con il principale sindacato transalpino – la Cgt – fortemente divisa al proprio interno e nel contempo sotto attacco esterno: da un lato, le bandiere sindacali hanno sventolato ieri, mercoledì 2 dicembre, di fronte al tribunale di Bobigny a sostegno dei dipendenti di Air France già licenziati e ora pure sotto processo per aver strappato, lo scorso 5 ottobre, la camicia a due dirigenti che avevano appena annunciato, irridendo i dipendenti, 2900 licenziamenti. Dall’altra, però, il segretario Philippe Martinez ha annunciato 500 espulsioni di propri iscritti, considerati troppo “radicali”.
In questo scenario, che comprende anche l’attivismo guerresco francese in numerosi scenari internazionali, dal Mali alla Siria – i movimenti transalpini cercano di decostruire la narrazione tossica di una Francia “sotto attacco” e quindi chiamata a difendersi. Oltre alle mobilitazioni contro il Cop21 (qui il sito di AntiCop21, qui invece quello di Coalition Climat 21) e quelle, di lungo periodo, della Zad di Nostre Dame des Landes (il mega-aeroporto di Nantes, l’ennesima opera inutile che punta a devastare il vecchio e malandato Continente) un folto gruppo di realtà studentesche ha diffuso un proprio manifesto (qui la traduzione italiana) che si apre con una dichiarazione molto netta: “La generazione della crisi – si legge – non sarà la generazione della guerra”.
Di tutto questo abbiamo parlato con Enrico, compagno e nostro storico collaboratore dalla Francia, in questa lunga intervista.