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Il fronte interno di Salvini: Taser ai poliziotti sgomberi e «tolleranza zero»

Una circolare del ministero dell’Interno, somiglia ad una dichiarazione di guerra contro le occupazioni abitative e di necessità, annunciando una ondata di sgomberi contro centri sociali ed edifici abbandonati occupati da famiglie senza casa o da migranti.

Nel documento che richiama il decreto-legge dello scorso anno (dicastero Minniti, ndr), si afferma che, “nonostante gli sforzi”, alla luce di quanto emerso “in questo primo periodo di applicazione del decreto-legge” varato nel 2017 in materia, “la gestione del tema dell’occupazione arbitraria degli immobili non ha compiuto significativi passi avanti, se non rispetto alla prevenzione di nuove occupazioni”. Il decreto legge in questione, venne emanato dopo lo sgombero durante l’estate del palazzo in via Curtatone a Roma occupato quattro anni prima da decine di rifugiati con diritto d’asilo. Uno sgombero che si rivelò un vero e proprio boomerang per la gestione Minniti e che oggi riverbera sulla gestione Salvini.

In pratica nell’anno trascorso sono state impedite nuove occupazioni ma sono rimasti in sospeso gli sgomberi delle occupazioni già in essere, anche perché sul piano delle soluzioni, né dal governo centrale né dalle amministrazioni locali sono state messe in campo soluzioni alternative per le migliaia di famiglie o per i migranti in emergenza abitativa.

A tutela di soggetti fragili e dei minori, la circolare del 2017 disponeva specifici interventi a carico dei servizi sociali dei Comuni, una volta accertata l’impossibilità di garantire il sostegno attraverso parenti o altre strutture. Ma i parametri per rientrare nell’assistenza pubblica sono talmente restrittivi da non rappresentare una soluzione realistica. Ma, precisa il Ministero degli Interni, gli accertamenti sulla difficoltà dei nuclei familiari o delle persone senza casa, in ogni caso, verrebbero fatti soltanto in un secondo momento rispetto allo sgombero.
Per le famiglie e le persone che “non si trovano in situazioni di fragilità” la circolare invece prevede “forme più generali di assistenza nell’immediatezza dell’evento”. L’obiettivo annunciato è garantire la proprietà privata e tutelare la sicurezza sul territorio. Il Viminale fa sapere che terrà entro fine settembre un primo punto sullo stato delle iniziative avviate. L’aria nelle città comincia a farsi pesante.

Federico Rucco

da contropiano

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Taser, la contestata pistola elettrica, da mercoledì 5 settembre 2018 sarà in dotazione in via sperimentale alle forse di polizia di 12 città italiane.

Ad onor del vero non sarà proprio il modello Taser ad essere fornito a polizia, carabinieri e guardia di finanza, ma la sua evoluzione, prodotta sempre dall’azienda statunitense Axon, chiamata X2.

Dopo un iter partito nel 2014, con il governo Renzi, il decreto per l’ok alla sperimentazione, era stato firmato lo scorso luglio quando erano state elencate le prime città: Milano, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Palermo, Catania, Padova, Caserta, Reggio Emilia e Brindisi.

Le linee guida emesse dal Dipartimento della Pubblica sicurezza definiscono il Taser “un’arma propria”, che fa uso di impulsi elettrici per inibire i movimenti del soggetto colpito.

Definite pure le regole d’ingaggio. Il Viminale consiglia come distanza “ottimale” dai 3 ai 7 metri. Il Taser “va mostrato senza esser impugnato per far desistere il soggetto dalla condotta in atto”. Se il tentativo fallisce si spara il colpo.

Comincia quindi la sperimentazione del taser, questa arma ad impulsi elettrici che in 15 anni, tra Usa e Canada, ha ammazzato oltre mille persone, il 90% delle quali era disarmata. Un’arma che, dal 2007, l’Onu ha catalogato tra quelle “di tortura”, mentre il Viminale la definisce “arma propria”.

Abbiamo ragionato su questa introduzione con molteplici contributi:

Il crimonologo Roberto Cornelli, docente all’università Bicocca di Milano, che mette in guardia sulla sua introduzione e al pericolo di abusi e di sottovalutazione della sua paericolosità. Ascolta o scarica

Vi proponiamo l’opinione di Giulio Vasaturo, docente di criminologia all’università La Sapienza di Roma, che esprime soprattutto valutazioni positive rispetto a questa introduzione, defininendosi fiducioso dell’operato delle forze di polizia italiane. Ascolta o scarica

Nota la posizione di Amnesty International, che ha calcolato più di 800 negli Stati Uniti dal 2001 al 2008 e ricorda come i rischi connessi all’uso del taser non sono solo legati al pericolo di morte, ma sono rappresentati dai danni permanenti causati dalle scariche elettriche. Con noi Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. Ascolta o scarica

Infine  le valutazioni di Italo di Sabato, dell’osservatorio sulla repressione, che parla chiaramente di un processo di militarizzazione delle forze di polizia partito diverso tempo fa e in continua evoluzione. Ascolta o scarica

da Radio Onda d’Urto

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Taser e sgomberi, il bastone e il bastone. Perché dobbiamo difendere i centri sociali

Il bastone e il bastone, questo – come prevedibile – è il metodo di governo dei pur sempre celoduristi della Lega e dei manettari pentastellati. Che fosse un incrocio devastante nella ricerca spasmodica e giustizialista della legalità formale, in fondo, lo sapevamo già. Così, anche stavolta, sul terreno preparato accuratamente dal precedente esecutivo, il governo del cambiamento non cambia niente. Anzi, prosegue dritto sulla strada della repressione. A tutta forza. Centri sociali e occupazioni abitative sono indubbiamente tra i bersagli preferiti. Le “zecche parassite”, in questo lunghissimo autunno, dovranno vedersela con Taser e sgomberi a tutta forza.

Se i reazionari al governo minacciano apertamente ogni spazio di dissidenza e democrazia, che si fa? Certo il perbenismo che ha sedotto non pochi democratici, anno dopo anno, ha permesso la criminalizzazione di una parte. Il tutto motivato solo ed esclusivamente da pregiudizi e forzature. I centri sociali no, non sono covi di terroristi. E no, non sono luoghi pericolosi, non bisognerebbe affatto averne paura. I centro sociali, poi, non sono una parte residuale avanzata dagli anni Novanta. Anche se in qualche caso – e questo è innegabile – hanno finito per esserlo.

La lunga tradizione dei centri sociali in Europa e, in particolare, in Italia coincide con una lenta ma decisa azione di riappropriazione dell’abbandono. A partire dagli anni Settanta, alcuni spazi pubblici ed edifici vuoti diventano luoghi in cui i movimenti trovano “casa”, in cui si cerca la soluzione auto organizzata davanti alle diseguaglianze che la società industriale produce. Davanti alla crisi dei partiti politici, che non è certo cominciata oggi.

Che fossero di ispirazione anarchica o prossimi al movimento dell’autonomia, in questi anni, i centri sociali hanno saputo trasformare l’abbandono in attivismo politico. Riappropriazione, difesa, resistenza e persino fenomeno di massa negli anni Novanta. Fino a giungere ai più vicini Duemila, al movimento no global, e a quello che oggi ci ritroviamo sotto gli occhi: isolamento, ripiegamento su sé, istituzionalizzazione. Nel 1994 la polizia stimava duemila aderenti, nel 2001 – apice del movimento No Global – se ne calcolavano almeno 5 o 6mila per circa 200 centri sociali sparsi per tutta Italia, metà riconosciuti e metà ritenuti abusivi. L’Antiterrorismo – nientemeno sì, l’antiterrorismo – un anno fa stimava in migliaia gli spazi occupati e stilava una black list di 200 “covi”: 11 in Lombardia, 7 in Piemonte, 4 nelle Marche, 12 in Veneto e in Emilia, 10 in Toscana, 4 in Puglia, 8 in Liguria, 4 in Trentino, oltre 20 in Campania, 6 in Calabria e 3 in Sicilia.

«Occupare significa prendere il controllo invece di rimanere in balia di burocrati», scrive Paul Chatterton in  Squatting is Still Legal, Necessary and Free: «Questa è una pratica necessaria e libera che celebra il potere della dimensione locale e dell’immediato». Ecco cos’è un centro sociale, uno spazio liberato dalle logiche capitalistiche, dove il diritto di proprietà è sospeso in favore della riappropriazione collettiva. Occupare, quindi, corrisponde a una denuncia visibile dello spreco di risorse pubbliche, della sottrazione di servizi sociali e della speculazione immobiliare. Ma cosa si fa in questi centri sociali? Solidarietà internazionale, per esempio. Ma anche assistenza legale e sanitaria, ai lavoratori e ai migranti, ricerca per la difesa del territorio e dell’ambiente, pratiche per la sovranità alimentare e il diritto sacrosanto alla conoscenza. E ancora si soffia sulla fiamma che qualcuno tenta sempre di spegnere dell’antifascismo, antirazzismo, la libertà del copyright e dei media indipendenti.

«Anacronistici ma violenti. Devastano le città, le vetrine dei negozi e quelle delle banche. Picchiano duro, infieriscono sui “nemici”, impediscono di parlare. Scendono in piazza rabbiosi, lanciano molotov e bombe-carta. Imbracciano mazze e danno fuoco alle auto. Picchiano i poliziotti nascondendo il volto dietro il passamontagna.Finiscono spesso sotto processo, ma non mollano. Riscendendo per le vie con la loro brutalità. Sono i “centri sociali” più pericolosi sparsi in tutta Italia che negli ultimi anni si sono resi protagonisti di inaudite violenze». Questo capolavoro di denigrazione è opera del quotidiano Il Tempo. Esempio perfetto di quanto in questi anni le mazze chiodate siano state usate – più che daisui centri sociali.

Oltre le campagne mediatiche e diffamatorie che da anni si sono intensificate, occorre adesso difendere gli spazi sociali di questo Paese, e non solo di questo Paese. «Loro li chiamano occupati, noi li chiamiamo liberati», ripete spesso il sindaco di Napoli che, al netto di ogni benaltrismo, su questo tema è riuscito a non trasformarsi in uno sceriffo, nonostante governi una grande città. Napoli è forse l’unica grande città d’Italia in cui gli spazi sociali non hanno subito persecuzione ma riconoscimento.

Rivendicare il diritto di esistenza dei centri sociali significa sì difendere uno o più luoghi fisici, ma anche e soprattutto difendere la possibilità di agire in modo alternativo e non subalterno al sistema dominante. Non subalterno allo stato di cose esistenti. Antagonista al sistema.

Tiziana Barillà

da il salto