G8 Genova 2001: A Bolzaneto fu tortura, nuova condanna di Strasburgo
Ancora una condanna della Corte europea dei diritti umani per le torture alla caserma Bolzaneto.
La mattanza di Bolzaneto nei giorni del G8 del 2001 fu tortura. Lo ha stabilito anche legalmente la Corte europea dei diritti umani che ha condannato l’Italia. I giudici hanno riconosciuto a 48 ricorrenti – manifestanti italiani e non – il diritto a ricevere tra 10mila e 85mila euro a testa per danni morali. Per i giudici europei “le garanzie più elementari a Bolzaneto furono sospese: i membri della polizia presenti, gli agenti, e per estensione, la catena di comando, hanno contravvenuto al loro dovere deontologico primario di proteggere le persone sotto sorveglianza”, oltre al fatto che “nessuno ha passato un solo giorno in carcere per l’impossibilità di identificare gli agenti coinvolti, la mancanza di cooperazione della polizia con la magistratura e le lacune strutturali dell’ordine giuridico italiano”, non colmate dalla cosiddetta legge sulla tortura di ques’estate inapplicabile ai fatti di Bolzaneto”.
A Bolzaneto, come scrissero i giudici della Cassazione, “fu accantonato lo stato di diritto”: furono rinchiuse oltre 200 persone in tre giorni, le quali subirono violenze, sevizie e abusi fisici e psicologici.
«Un canovaccio di soprusi che ricorda quello dei lager nazisti, seppur l’intensità e la gravità non siano paragonabili», ricorda il procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati che condusse l’inchiesta sui fatti di Bolzaneto, insieme alla collega Patrizia Petruzziello. «Le lunghe attese in fila per fare qualsiasi cosa, gli insulti continui, il freddo, la privazione dell’acqua e del sonno non si discostano molto dai ricordi dei sopravvissuti ai campi di sterminio» ha detto Miniati. La sistematicità degli abusi oltre che la loro durata, inoltre, spiega l’entità dei risarcimenti previsti dai giudici di Strasburgo per i 59 ricorrenti, che sono quasi il doppio di quanto stabilito dalla stessa Corte che aveva condannato l’Italia per il pestaggio all’interno della scuola Diaz. «A Bolzaneto i manifestanti rimasero a lungo – ha spiegato il pm – in media uno o due giorni e i trattamenti inumani e degradanti si sono ripetuti in maniera sistematica quasi ci fosse un protocollo, dalle frasi antisemite a quelle che inneggiavano a fascismo e nazismo, dal dover stare in piedi per ore in posizioni scomode agli insulti continui».
Lo scorso 22 giugno 2017 l’Italia era stata nuovamente condannata con una identica motivazione: le forze dell’ordine hanno torturato coloro che furono fermati e portati nella caserma e lo Stato italiano non li ha né protetti né gli ha garantito giustizia. Perché in Italia non esiste una legge sul reato di tortura che sanzioni con pene adeguate questa gravissima violazione, facendo cosi anche da deterrente.
La legge mancante è stata approvata il 5 luglio, ma sono in tanti a dubitare della sua reale efficacia in casi come quelli di Bolzaneto. Ad aprile invece l’Italia aveva patteggiato con sei vittime proprio davanti alla Cedu. Nella sentenza era previsto che fossero predisposti corsi di formazione specifici sul rispetto dei diritti umani per gli appartenenti alle forze dell’ordine. Con quell’accordo il governo affermava di aver “riconosciuto i casi di maltrattamenti simili a quelli subiti dagli interessati a Bolzaneto come anche l‘assenza di leggi adeguate. E si impegnava a adottare tutte le misure necessarie a garantire in futuro il rispetto di quanto stabilito dalla Convenzione europea dei diritti umani, compreso l’obbligo di condurre un’indagine efficace e l’esistenza di sanzioni penali per punire i maltrattamenti e gli atti di tortura”.
La prima condanna per l’Italia era arrivata il 7 aprile 2015 sul blitz della polizia alla scuola Diaz la notte del 21 luglio 2001. Anche in questo caso i giudici europei stabilirono che quello che avvenne “deve essere qualificato come tortura”.
La Corte aveva dichiarato all’unanimità che è stato violato l’articolo 3 della Convenzione: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti“. Il ricorso era stato presentato da Arnaldo Cestaro, 62enne all’epoca del pestaggio, militante vicentino di Rifondazione comunista che dalla Diaz uscì con fratture a braccia, gambe e costole che hanno richiesto numerosi interventi chirurgici negli anni successivi.
Il commento ai microfoni di Radio Onda d’Urto di Italo Di Sabato, dell’Osservatorio Repressione. Ascolta o scarica.