Menu

G8 Genova: È andata meglio in piazza Tahrir

La Grand Chambre della Corte Europea, con una maggioranza tutt’altro che granitica (10 a 7), ha stabilito che non vi sarebbero responsabilità del Governo italiano né nella morte di Carlo Giuliani né nell’inchiesta che ne seguì, che portò all’archiviazione dell’accusa di omicidio per il carabiniere Placanica che sparò a Carlo. Nessuna responsabilità dell’Italia nemmeno per la conduzione dell’ordine pubblico in quei tre giorni del vertice G8 del 2001. Su questo punto la Corte Europea, nel suo massimo grado e ribaltando quanto stabilito della prima istanza, si pone in aperto contrasto con le sentenze dei processi di Genova (3 i maggiori) che pure hanno attentamente analizzato i fatti di quei giorni, li hanno minutamente ricostruiti e sono giunte a stabilire che l’intervento dei carabinieri, poche ore prime dell’omicidio e nella stessa zona, fu illegittimo e ingiustificato: non dimentichiamoci che Carlo subì proprio quell’attacco, poco prima di essere freddato. Ugualmente le sentenze genovesi hanno accertato come sia stato illegittimo, nella decisione e nei metodi seguiti, l’attacco e il macello della Diaz. Infine, come sommamente illegittimo fu il trattamento subito dai fermati nella caserma di Bolzaneto. Se – secondo la Corte Europea – ciò rimanda ad un corretto, attento ed equilibrato mantenimento dell’ordine pubblico in piazza, non capiamo proprio cosa potrebbe definirsi per ingiustificato macello. Sicuramente i militari egiziani in piazza Tahrir hanno fatto meglio di quanto fecero Fini e De Gennaro nel comandare i loro sottoposti a Genova in quelle drammatiche giornate.
La verità è che la Corte Europea, soprattutto nella seconda istanza (la Grand Chambre) sta diventando sempre di più una istanza politica, sensibilissima ai desiderata dei vari governi, non appena le vengono sottoposte questioni politicamente sensibili. E l’ampliamento della Unione (che ovviamente si riflette sulla Corte) non le ha giovato in termini di libertà e autonomia di giudizio. Il verdetto sul crocifisso nelle aule italiane sta a dimostrarlo, tanto quanto questa sentenza sulla morte di Carlo.
D’altro canto, è difficile ergersi a critici della Corte Europea quando da un lato i nostri giudici non hanno nemmeno ritenuto di dover disporre il dibattimento e dall’altro i politici di tutti i partiti (con pochissime eccezioni personali) non hanno inteso disporre nemmeno di una commissione d’inchiesta parlamentare. Forse perché la maggioranza e l’opposizione di allora erano ambedue invischiate nella gestione di quei tre giorni, basti pensare a come l’allora capo della polizia transitò dal governo di centrosinistra a quello di destra.
La pronuncia di ieri pone fine, per il momento, all’iter della vicenda penale. Se col tempo dovessero emergere elementi nuovi sarà sempre possibile riaprirla. Rimane la via civile per chiedere risarcimento a Placanica e alla sua Arma, nonché allo stato stesso: un modo per celebrare comunque un processo (perché anche il giudizio civile implica un processo, sia pure mille miglia difforme da quello che avremmo voluto) e cercare di fare emergere, una volta ancora, delle responsabilità che si vollero occultare quando fu impedito il dibattimento penale (vi ricordate? Il solito proiettile che, sparato in aria impatta con un calcinaccio e va a conficcarsi in un occhio di Carlo uccidendolo in brevissimo tempo e altre panzane) e su cui oggi i giudici (o meglio sarebbe dire i politici?) di Strasburgo hanno inteso mettere una lapide definitiva. Non si illudano questi giudici e chi ne ha manovrato la maggioranza: non ci stancheremo mai di ricercare la verità sulla morte di Carlo. Costi quel che costi.
Ezio Menzione (Legale della famiglia Giuliani)