La nota diffusa dopo che il collega Marco Preve di Repubblica Genova aveva scoperto la “promozione/assegnazione” (lo stesso collega già sindacalista ligure della Fnsi che rivelò per primo la vicenda del carcere speciale di Bolzaneto) rivela anche una notizia: funzionari e poliziotti, “dopo aver scontato interamente le pene inflitte, anche nella forma accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, nonché i provvedimenti disciplinari irrogati, sono stati riammessi in servizio, come previsto dalla legge”. Per norma e procedura non era prevista la destituzione dal servizio ma la notizia è la “rivelazione” dei provvedimenti disciplinari di cui (fatte salve poche eccezioni) non si è mai avuto notizia salvo una generica comunicazione alla Cedu europea dopo la serie di condanne all’Italia proprio per i fatti di Genova.
Sarà possibile conoscerli nel dettaglio tutti? Ma proprio tutti? Scommetto di no. E non ri-cito il commissario (vice questore) Schiavone.
Fatta la breve, ultima (?) cronistoria degli eventi recenti si ritorna punto e a capo. Il capo della polizia che si pente e parla di disastro distanza di 16 anni dai fatti (intervista rilasciata a Carlo Bonini, Repubblica, un poco “pelosa” e nessuno si offenda): certo interessante, ma scusate, facile, nel momento in cui tutti i vertici e influenti dell’epoca non erano più a tiro.
Varie prese di posizione nel corso degli ultimi anni, ma mai delle verità chiare per quanto possibile: le poche e non necessariamente totali ma parziali, le hanno scritte le motivazioni di alcuni processi sui casi Diaz e Bolzaneto e le investigazioni (difficili, molto difficili) giornalistiche. All’interno degli stessi media e della categoria che, peraltro, ha faticato ma ha dato un buon contributo, non è stato facile se si pensa che sino a qualche anno fa c’era una sorta di premio gestito dall’unione cronisti con i gruppi locali nella cui commissione c’erano tutti gli esponenti delle varie forze di polizia e, tra loro, anche in un passaggio Roberto Sgalla, portavoce dei vertici della polizia al G8 di Genova (quello delle macchie di pomodoro sulle scale della Diaz).
Questo, con molta amarezza e immutata voglia di non mollare, la dice lunga sui silenzi, sulle mezze verità e le interviste con pentimenti e scuse tardive. Ovviamente anche sulle ricollocazioni in servizio come quella di Calderozzi. La politica, tutta (rarissime le eccezioni, ma davvero rare e degne di una teca da museo) ha archiviato il giorno dopo i fatti. Genova rimane una brutta pagina e lo rimarrà per sempre.
Chi non dimentica non lo fa per spirito di vendetta, ma per “giustizia e verità”, sembrerà strano e pure perché crede (o vorrebbe credere) nella lealtà delle nostre istituzioni. Ma resta sempre vigente il principio del marchese del Grillo.
Marcello Zinola – cronista del Secolo XIX all’epoca del G8 2001 e dirigente sindacale dei giornalisti in Liguria
da popoff
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Cosa importa allo stato italiano del massacro della Diaz?
Gilberto Caldarozzi e Pietro Troiani sono due dei condannati per i fatti della scuola Diaz che adesso hanno ricevuto incarichi a dir poco prestigiosi
Negli ultimi giorni si sono susseguite due notizie che hanno fatto molto scalpore: Gilberto Caldarozzi è l’uomo che adesso si trova al vertice della Divisione investigativa antimafia (Dia) e Pietro Troiani è diventato dirigente del Centro operativo autostrade di Roma e del Lazio. Perché così tanto clamore? Perché Caldarozzi e Troiani sono due dei poliziotti condannati per la macelleria messicana alla scuola Diaz di Genova, nel luglio 2001. E non sono due nomi tra tanti: all’epoca, il nuovo numero due della Dia (la nomina è stata fatta dal ministro dell’Interno Marco Minniti) si è impegnato con solerzia a fabbricare prove – ovviamente false – che potessero occultare quanto veramente accaduto all’interno della Diaz. Mentre il prode dirigente è il protagonista di un famoso video, passato alla storia, Pietro Troiani è il poliziotto che ha portato le false molotov all’interno dell’istituto, per giustificare l’irruzione e la carneficina avvenuta all’interno di quelle mura. Scontata la condanna e passati i cinque anni d’interdizione dai pubblici uffici, Gilberto Caldarozzi e Pietro Troiani sono rientrati in servizio attivo passando dalla porta principale.
Nessuno dei due ha mai chiesto scusa. Nessuno dei due ha mai avuto una parola per le vittime della macelleria messicana. Nessuno dei due si è mai pentito di quanto accaduto all’interno della scuola Diaz. Non che ci fosse da aspettarselo, ovviamente. Convinti della propria impunità, hanno sempre agito con l’arroganza tipica di chi sa di essere protetto dal potere.
Scatti di carriera? Nulla di nuovo
In realtà non c’è da stupirsi di questi incarichi. Dopotutto sono anni che gli autori della macelleria messicana alla scuola Diaz ricevono promozioni e sono premiati con scatti di carriera. Non c’è nulla di nuovo nelle nomine di Gilberto Caldarozzi e Pietro Troiani, e di certo non saranno gli ultimi di cui sentiremo parlare. Durante il periodo in cui è stato interdetto dai pubblici uffici, il nuovo vicedirettore della Dia è stato consulente della sicurezza a Finmeccanica – l’incarico gli è stato dato direttamente da Gianni De Gennaro, ex capo della polizia durante Genova 2001 e attualmente presidente di Leonardo (ex Finmeccanica) – questo ruolo gli è stato conferito dal governo Letta nel 2013. Vincenzo Canterini – ex capo della celere di Roma – ha lavorato nelle ambasciate di tutta Europa, si è riciclato come scrittore, ha scritto un libro sulla Diaz e ha attaccato il Viminale, accusandolo di aver voluto cercare dei capri espiatori per Genova 2001. Canterini è lo stesso che, durante le manifestazioni contro il G8, ha spruzzato dello spray al peperoncino in faccia a un avvocato.
«Noi, vittime della Diaz, abbiamo vissuto un inferno che non si è fermato solo alla notte della “macelleria messicana”. Abbiamo visto da lontano, e talvolta anche da Genova o da Roma, queste persone condannate venire promosse di volta in volta, fino al punto in cui hanno potuto usare gli strumenti e le risorse del loro lavoro per intimidire, minacciare e mettere sotto sorveglianza le vittime di Diaz. Essi hanno inoltre ostacolato la giustizia, distrutto le prove ed eretto un muro di silenzio che abbiamo dovuto fronteggiare per anni. Non mi risulta che siano mai state pronunciate parole di comprensione o di scuse nei confronti delle loro vittime, né che vi sia stata resipiscenza rispetto ai fatti commessi»
Lettera di Mark Cowell, giornalista inglese, a Giorgio Ricci, giudice del tribunale di sorveglianza di Genova
Altre carriere “eccellenti” dopo Genova 200
Spartaco Mortola, che nel 2001 a Genova dirigeva la Digos, ha avuto una brillante carriera mentre il processo contro di lui e gli altri poliziotti andava avanti. Questore ad Alessandria, poi questore vicario a Torino. Anche Gianni De Gennaro, ex capo della polizia, ha avuto una vita niente male: presidente di Leonardo (durante il mandato ha chiamato a lavorare con sé Gilberto Caldarozzi), commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Campania, direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri del Governo Monti. Ansoino Andreassi (oggi in pensione) è stato vicedirettore del Sisde. E potremmo continuare così per ore, con tutti i nomi degli indagati, dei condannati, dei colpevoli.
La notte del 21 luglio 2001
L’irruzione alla scuola Diaz è avvenuta il 21 luglio 2001, poco prima di mezzanotte. Il giorno prima era stato ucciso Carlo Giuliani, e le violenze delle forze dell’ordine non sembravano volersi arrestare. Dopo aver caricato diverse volte i cortei – organizzati in occasione del G8 – le forze dell’ordine hanno deciso di attaccare la sede del Genoa Social Forum. I reparti mobili di Roma, Genova e Milano sono entrati nella scuola, picchiando selvaggiamente le persone che stavano dormendo all’interno. Le immagini di quei momenti hanno fatto il giro del mondo: attivisti con il volto tumefatto, coperti di sangue, erano portati via privi di sensi sulle barelle. Il giornalista Mark Cowell è finito in coma per i colpi riportati alla testa. Nessuno, tra le forze dell’ordine presenti, ha cercato di fermare la carneficina in atto, anzi. Si sono dati man forte all’interno dell’istituto e una volta fuori si sono spalleggiati a vicenda, costruendo un muro di omertà e ricostruzioni false.
Le nomine di Gilberto Caldarozzi e Pietro Troiani sono l’ennesimo schiaffo in faccia a chi ha subito violenze e torture all’interno della scuola Diaz, per le strade di Genova e all’interno della scuola di Bolzaneto. Non solo perché questi uomini continuano la loro vita meglio di prima dopo averla rovinata per sempre ad altri. Ma perché dimostrano che in Italia, lo stato non ha il minimo rimpianto di quanto accaduto a Genova. Nonostante le scuse formali dei governi e dei suoi rappresentanti, all’Italia non interessa nulla delle torture avvenute alla Diaz nel 2001 né di quanto accaduto a Bolzaneto. Men che meno del fatto che la Corte di Strasburgo abbia emesso una condanna per tortura. Questo è il paese dove Stefano Cucchi può essere pestato a morte in caserma, dove Federico Aldrovandi può essere ucciso per strada e insultato continuamente dal Coisp – che non lascia in pace nemmeno sua madre – dove Stefano Gugliotta è stato attaccato mentre era in motorino con un amico e arrestato senza motivo. Questo è il paese dove le forze dell’ordine sanno di poter agire senza ricevere condanna. Anzi, al massimo ricevono anche la promozione.
da DinamoPress