Non ci si stupisca: 17 mesi di genocidio in diretta sono serviti a dire che si può fare. Si può condurre una guerra contro una popolazione civile, si può tagliare il cibo e ammazzare 50mila persone, forse 70mila. L’Ue ha coperto l’offensiva israeliana e non ha mai avuto intenzione di svolgere un ruolo di difesa di un popolo aggredito
di Chiara Cruciati da il manifesto
E l’inferno sia, per i dannati della terra. Per chi ieri, sfigurato dal dolore, ha trovato lo stesso il modo di celebrare funerali sulla terra nuda e le macerie, in preghiera davanti a sacchi bianchi con i nomi scritti con il pennarello. Per chi l’onda d’urto delle esplosioni ha svegliato in piena notte, per chi non è svegliato più, chi è scomparso sotto altre tonnellate di cemento. Di tanti sono stati ritrovati solo dei pezzi.
Una cintura di fuoco ha tramortito per ore e ore una Gaza in ginocchio, senza più parole o illusioni, da nord a sud. Nessuna comunità risparmiata, né le tende improvvisate tra le rovine del nord né le «zone umanitarie» a sud. Senza preavviso, dicono, come se il preavviso potesse dare scampo a una popolazione sotto assedio totale.
ISRAELE ha mantenuto la promessa: l’offensiva sarebbe ripresa, Netanyahu lo aveva detto quando la tregua non era ancora entrata in vigore. Rassicurava l’ultradestra al governo e un’opinione pubblica schiacciata sulla guerra, rassicurava se stesso.
Non ci si stupisca, dunque, perché 17 mesi di genocidio in diretta sono serviti a questo, a dire che si può fare. Si può condurre una guerra contro una popolazione civile, si può tagliare cibo, acqua ed elettricità, si possono ammazzare 50mila persone, forse 70mila. Si può violare un accordo di tregua e dire che la colpa sta altrove. Si può fare. Gaza è laboratorio del possibile.
Gaza dice che ci si può narrare come presidente talmente «pacifista» da convincere l’alleato israeliano a una tregua quando ancora non si era nemmeno entrati alla Casa bianca. Dopo, è un’altra storia: promesse di pulizia etnica e carta bianca al massacro indistinto. L’amministrazione Trump ha rivendicato ieri «l’inferno» vomitato contro una popolazione terrorizzata e garantito a Israele sostegno «nei suoi prossimi passi».
Una posizione che non nasce dal nulla: Trump il sovranista è in grado di invocare pulizia etnica e sterminio («A tutta la gente di Gaza: un bellissimo futuro vi aspetta, ma non se tratterrete gli ostaggi. Se lo fate, siete MORTI», Truth Social, 6 marzo 2025), perché prima le democrazie cosiddette liberali hanno permesso un genocidio.
Gaza è laboratorio del possibile e cartina di tornasole della retorica militarista europea. Su queste pagine abbiamo criticato l’Unione per non aver mai messo in piedi un’iniziativa negoziale che ponesse fine alla guerra in Ucraina e ai massacri russi e per aver puntato solo sulla reazione militare. A Gaza un ruolo negoziale l’Ue non lo ha mai vagheggiato.
AL CONTRARIO, i paesi membri hanno coperto l’offensiva israeliana, garantendo immunità a un ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità (Netanyahu), fornendo le armi necessarie e tagliando fondi all’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, l’Unrwa. Così l’Europa ha fatto la sua parte nelle stragi della popolazione civile.
Per Gaza l’Europa non ha mai avuto alcuna intenzione di svolgere un ruolo di difesa di una popolazione aggredita (o per lo meno di peacekeeping come dice di voler fare in Ucraina), abbandonando lo storico ruolo di ponte con il Mediterraneo, perché ha fatto proprio quell’assunto di diseguaglianza razziale che fino al termine delle lotte di liberazione dal colonialismo ha definito gli equilibri globali e l’applicazione della legge internazionale.
Il diritto di autodeterminazione non è universale, ma segue – ancora – la linea del colore. Tanto potente è ormai l’idea di una malata superiorità valoriale traslata sul piano razziale che anche nelle piazze che difendono un’idea confusa di Europa la Palestina non ha spazio. I palestinesi sono soli, una solitudine mortifera mai tanto devastante dal 1948.
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