
Solo «un collega alzò la voce». E “altri” «spruzzarono gas urticante nelle celle»«Ricordo un episodio in cui un collega stava alzando la voce contro un fermato e sono intervenuto per dirgli di calmarsi – ha ricostruito. – Non ricordo il nome del fermato. Doveva fare una inalazione per l’asma e dissi che non c’erano problemi. Mi chiesero l’autorizzazione e la diedi» ha spiegato. Anzi, quando poteva dava una mano. Ricorda di aver soccorso un manifestante telefonando al padre col proprio cellulare, di essere intervenuto quando furono spruzzati gas urticanti in una delle celle dall’esterno. Anche se poi «non ho fatto nessun nota perchè nell’immediatezza c’erano tante cose da fare, ma informai la mia collega Anna Poggi».Lui intanto acquistava di tasca propria bottigliette di acqua minerale per i fermati: «Ho fatto arrivare del cibo e dell’acqua per i nostri e ho fatto distribuire una cassa d’acqua, erano bottigliette da mezzo litro, anche ai detenuti nelle celle. Ho valutato da solo che ce ne fosse bisogno perchè faceva caldo».
Le identificazioni e i cittadini stranieriQuanto alle denunce di tanti ragazzi stranieri che (come gli italiani) non hanno potuto chiamare il loro consolato, un avvocato o semplicemente a casa, Perugini precisa: «Se gli stranieri lo richiedevano venivano sempre avvisati i consolati con moduli plurilingue». Però ammette che ci furono dei ritardi protratti nell’identificazione, tant’è che per due giorni alcuni reclusi denunciano di essersi sentiti tagliati fuori dal mondo senza poter dare notizie di se all’esterno della caserma: «I tempi di identificazione dei fermati si allungarono in modo esponenziale rispetto alle nostre previsioni», ha detto e conclude: «Il clima era caldo».
«Ricordo solo Marco Mattana. Per motivi personali»«La situazione era difficile ma conservavo la mia lucidità. Le persone venivano accompagnate sotto braccio. Ricordo di aver visto una persona ammanettata e di aver detto di togliergli le manette. Eravamo dentro la caserma e non c’era alcun pericolo di fuga – ha ripetuto Perugini. – Non ho mai visto neanche minorenni dentro la caserma, ricordo soltanto Mattana. Mi è rimasto impresso per motivi personali». Marco Mattana aveva 15 anni nel 2001, era uno studente di Ostia arrivato nel capoluogo ligure per manifestare. Le sue immagini hanno fatto il giro delle tv perché tra i pestaggi della polizia per le strade di Genova fu uno dei più agghiaccianti: il minorenne venne preso a calci da Perugini e da altri poliziotti il 21 luglio. Il ragazzo, con il volto tumefatto, alla fine riuscì ad uscire dal cerchio e si avvicinò supplicante alla videocamera che lo riprendeva. Per qual pestaggio ingiustificato, documentato in più di un video, Perugini insieme ai colleghi è indagato anche in un altro procedimento.
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