Più difficile di un processo a uno stupratore, più ancora di quando alla sbarra c’è un capo cosca. Così spiegò i rischi di omertà e le altre rogne di un processo alla polizia il pm Zucca, nel luglio scorso, iniziando la lunga requisitoria contro i 29 funzionari di ps imputati per i falsi, le violenze, le calunnie avvenute la notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 nella scuola Diaz di Genova. Oggi le ultime due repliche delle difese, poi la corte, presieduta da Gabrio Barone, si ritirerà in camera di consiglio per decidere sui 108 anni complessivi (l’unico imputato per il quale s’è proposta l’assoluzione è Alfredo Fabbrocini) chiesti da Zucca e dal suo collega Francesco Cardona Albini, i due pm che avevano chiesto il rinvio a giudizio il 4 marzo del 2004, a tre anni dai fatti. Richiesta accolta il 26 giugno. L’ultima delle oltre duecento udienze, inizierà alle 10 nell’aula bunker del Palazzo di giustizia.Nulla della versione ufficiale è stato salvato nelle 560 pagine di memoria che la pubblica accusa ha prodotto dopo la requisitoria. Non ci fu alcuna aggressione al convoglio di volanti, blindati e autocivetta che transitò sotto le scuole – uno di fronte all’altro c’erano il media centre e il dormitorio dei manifestanti – al termine dell’ultimo dei cortei del Genoa social forum. Sempre stando alle accuse non ci fu resistenza all’irruzione di oltre duecento agenti travisati che, ufficialmente, avrebbero divuto stanare i cosiddetti black bloc autori delle violenze dei giorni precedenti e, in ultimo, dell’aggressione alle macchine di un paio d’ore prima. Né ci fu la coltellata riferita da un’agente e le molotov – esibite dall’allora portavoce di De Gennaro in conferenza stampa, assieme a badili e picconi trafugati da un cantiere vicino e a coltellini svizzeri prelevati dagli zaini dei no global campeggianti – furono portate apposta dalla questura per giustificare la mattanza. Per mesi, la stampa e la politica si affanneranno a cercare la catena di comando di quella notte evitando di citare che l’allora portavoce di De Gennaro, il capo della polizia, era in via Battisti a sbarrare la strada a parlamentari, cronisti e, soprattutto a legali nominati. Né fu un errore il blitz nella scuola di fronte dove furono trafugati documenti di legali e cronisti, con appena un po’ meno brutalità di quanto avveniva a pochi metri.No, secondo i pm, non fu la «normale perquisizione» che il governo – anche allora regnava Berlusconi – cercò di far credere. E dei 93 arresti per devastazione e saccheggio di quella notte cilena nemmeno uno fu avallato dal giudice. Fu un’operazione di guerra sporca, una «macelleria messicana» frase coniata da uno degli imputati, il vice di Canterini al tristemente noto primo reparto celere di Roma. Amnesty international definirà l’operato delle polizie nelle tre giornate del G8 come la più grave sospensione del diritto e delle garanzie democratiche in Occidente dalla II guerra mondiale.Tra i 29 imputati spiccano nomi di grande prestigio per le forze dell’ordine: Francesco Gratteri, allora dirigente del Servizio centrale operativo oggi a capo dell’ Anticrimine; Giovanni Luperi, ex vicedirettore dell’Ucigos attuale capo dipartimento analisi dell’Aisi (l’Agenzia di informazioni e sicurezza interna, l’ex Sisde), Gilberto Calderozzi, ex vicedirettore dello Sco, oggi capo del Servizio centrale operativo. Tutti promossi da tutti i governi succedutisi da allora, dunque, e anche questo tardivo primo grado sarà sepolto dalla vicinissima prescrizione per la gran parte dei reati. Non sfugge, tuttavia, il senso politico di un’eventuale condanna dopo le mezze verità del processo parallelo per le torture nella caserma della celere trasformata in prigione provvisoria per le retate del G8. Il Genoa legal forum, con una lettera firmata dal sociologo Salvatore Pallìda e dall’avvocato Massimo Pastore, chiede alla stampa democratica di farsi promotrice di una campagna per la rimozione degli eventuali colpevoli dai ranghi. In aula ci sarà, tra gli altri Vittorio Agnoletto, eurodeputato del Prc, all’epoca portavoce del Gsf. Certo che ci saranno, oltre alle parti civili, i genitori di Carlo Giuliani, ucciso da un carabiniere negli scontri innescati senza ragione dalle guardie contro un corteo regolarmente autorizzato. Un video, a disposizione del tribunale, mostra che imbracciò l’estintore solo dopo aver visto la pistola. Ma nessun giudice chiederà mai un processo pubblico. La Bbc, invece, mostra, oltre ai volti noti di imputati, le immagini Rai finora inedite di un fantomatico ispettore della Digos di Napoli, in borghese ma col casco – non identificato, cui una collega fiorentina avrebbe consegnato la busta delle molotov, la regina della prove fasulle.
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