«Siamo più di cinquantamila», dicevano a un certo punto gli organizzatori guardando il fiume di persone in cui erano immersi costeggiando il lungomare prima di risalire Carignano e dirigersi a Piazza De Ferrari. Quanto di più? «Centomila!». Più i genovesi che sono scesi a guardare la manifestazione, più quelli che hanno rinunciato perché scoraggiati da Trenitalia oppure colpiti dalla strategia della tensione, orchestrata da un importante giornale locale, con la collaborazione di un impresario di vigilanza privata attendibile quanto un collaboratore della commissione Mitrokin. Dicevano che sarebbero calate le orde di ultras, che ogni negozio chic avrebbe dovuto munirsi di body guard. Ora lo dovranno spiegare a chi, come la signora Gianna ha chiuso la sua trattoria per dare retta ai professionisti della paura. O a qualsiasi “sciur Parodi” che la mattina legge il giornale. Ma non tutti hanno ascoltato le Cassandre, e se qualche saracinesca è restata abbassata è stato per lo sciopero dei lavoratori del commercio dopo la rottura delle trattative. A voler essere coerenti dovrebbero titolare a nove colonne “Non è successo niente”. Invece è successo molto. E’ successo che centomila persone, la più grande manifestazione all’ombra della Lanterna dopo il 2002, hanno manifestato contro il ribaltamento su 25 manifestanti dell’accusa di devastazione e saccheggio che invece, 300mila persone, erano venute a formulare nel luglio 2001 agli Otto grandi: devastazione e saccheggio ma del pianeta. Con l’aggravante della sospensione della democrazia, la più grave dalla fine della Seconda guerra mondiale, avrebbe detto Amnesty international, nei tre giorni di lugubre kermesse del G8 culminata con l’omicidio di un ventitreenne che aveva visto spuntare da un defender dei carabinieri la pistola che lo avrebbe ammazzato. Nello stesso momento gli 8G stavano ascoltando il premier giapponese che suonava uno Stradivari fatto venire apposta in zona rossa. E il ministro degli Esteri e un parlamentare-sottufficiale dei cc, tutti e due di An, erano in una caserma dell’Arma mentre i carabinieri sferravano la carica illegittima, anche con armi improprie, contro un corteo autorizzato, dando il via a tre ore di scontri feroci. Chiunque, nel corteo, sa che non è vero quello che ha detto il pm Canciani quando ha chiesto 225 anni e un milione di risarcimento ai 25 manifestanti: che non ci sarebbe un legame tra le cariche e la difesa di una parte dei manifestanti, tra le cariche e l’omicidio di un ragazzo.Dal camion della comunità di S.Benedetto al Porto, che guida lo sfilamento, prende la parola Andrea Gallo, splendida figura di prete di strada, fondatore della comunità, orgoglioso dei suoi ragazzi che tengono lo striscione: “La storia siamo noi”. «Vi parla don Gallo – avverte dal microfono come se parlasse a Radio Londra, quella che ascoltava da partigiano – non lasciatevi provocare, ‘fanculo ai profeti di sventura!». E, ancora: «Sono stato incaricato di leggervi un messaggio di Alex Zanotelli». “Anarchico cristiano”, definizione di don Gallo, anche il comboniano che interroga la piazza: «Ma se 25 persone diventano i capri espiatori mentre i responsabili delle violenze vengono promossi ad alte cariche dello Stato, che democrazia è questa?». E che cos’è la democrazia? «Questa manifestazione offre alla sinistra l’opportunità di ridurre la frattura tra istituzioni e pezzi di giovani generazioni. Punti dirimenti la commissione d’inchiesta, cambio dei vertici della polizia, evitare la prescrizione dei reati commessi alla Diaz e Bolzaneto. Oggi è la prima volta dalla vittoria dell’Unione che siamo in piazza insieme fuori dal dilemma con Prodi o contro, con una piattaforma autonoma». «Vedo una straordinaria dinamica di movimento, è come rivedere via Tolemaide – sembra rispondere a don Gallo, Luca Casarini, ex tuta bianca del Nordest facendo notare la composizione del corteo: in testa le moltitudini, in fondo gli spezzoni dei partiti – è una risposta che rimette in gioco la riflessione a sinistra: l’unità è per il movimento o per il governo?». «E’ un segnale forte – commenta Piero Bernocchi, portavoce Cobas – tantissimi sono venuti per conto proprio, c’è voglia di movimento e nessuna fiducia per una commissione d’inchiesta che sarebbe gestita da chi ha avallato la deriva sicuritaria». «Non abbiamo governi amici, né un amico al governo», insiste dal camion palco anche Luchino, cantante degli Assalti frontali, che suoneranno a De Ferrari con Roy Paci, Zulu, Bisca. «Penso che il 9 giugno è mancata una parte della sinistra, il 20 ottobre, invece, ne è mancata un’altra. Questa manifestazione segna una discontinuità e la possibile riapertura di un percorso che rimetta al centro il metodo che costruì il Gsf e quindi la contaminazione. Ho visto una manifestazione carica di emozione, come non succedeva da tempo», spiega Federico Tomasello, coordinatore nazionale dei Giovani comunisti.«Ma la commissione è necessaria per far luce sulla strage del diritto di quei giorni – dice Giuliano Pisapia, può servire a chiedere ad un Amato sotto giuramento perché De Gennaro è diventato il suo capo di gabinetto, perché i suoi sono stati tutti promossi». E passano No Tav, No Tir, No Dal Molin, dinamiche rese possibili da Genova 2001, altrimenti impensabili. Sfilano i comitati di memoria, verità e giustizia, il supporto legale, i mediattivisti. Parlano di Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Renato Biagetti, Carlo Giuliani, con gli occhi e le voci dei loro compagni, genitori, amici. Parlano delle vittime della Diaz e di Bolzaneto. E’ contenta e sdegnata Enrica Bartesaghi, la mamma di Sara, desaparecida a Bolzaneto dov’era stata portata dalla Diaz. Contenta della piazza, «tutti insieme, oltre ogni aspettativa», non certo del processo «indegno» ai 25, e del «silenzio delle istituzioni». Intanto il sole tramonta, anzi «si uccide tra le onde» per citare De André, poeta e genovese, che citerà anche don Gallo alla fine di tutto, scegliendo i versi della Storia di un impiegato e di una bomba: «E se credete che tutto sia come prima, perché avete votato ancora la sicurezza e la disciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare, verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte: per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti». Versi dedicati alla sua città. Giulia, che studiava alla Diaz sei anni fa, dice che «hanno vinto loro», «che è un mortorio». Il lillipuziano Alberto Zoratti dice che è «una città difficile dopo la fine del movimento operaio, la società civile fatica a costruire reti, come se il 2001 non fosse accaduto». «Città spaventata ad arte – ammette Simone Leoncini, dirigente locale del Prc – ma pezzi importanti hanno risposto: è la più grande manifestazione dal 2002».Arci, Attac, antifascisti, antagonisti, anarchici, ambientalisti, lillipuziani, comunisti rifondati o italiani, critici o ortodossi, cattolici, cobas, centri sociali, redskin della Sharp con le sciarpe del tifo. Ci sono tutte le anime del social forum e tutti i portavoce di quei giorni e gran parte dei manifestanti sono reduci, recidivi. E ci sono anche delle new entry: Sinistra democratica, ad esempio, e pezzi di Cgil che disobbediscono agli ordini e scendono in piazza col simbolo della confederazione, come la Rete 28 aprile di Cremaschi. Più tardi don Gallo dirà dal palco che avrebbe dovuto esserci Epifani a concludere la manifestazione e non «due poveri preti» (don Vitaliano e lui) nella stessa piazza dove, a soli 17 anni, festeggiò la liberazione dal nazifascismo e 15 anni dopo vide i ragazzi con le magliette a strisce scontrarsi con la polizia per impedire il congresso dei neofascisti del Msi.Ciascuno rinarra la sua Genova mentre ripercorre i passi del corteo dei migranti che aprì quei giorni di sei anni fa e riuscì a non essere violentato dal “blue bloc”. Ironia della sorte, il 90% di quei migranti rischia l’espulsione «se dovesse tramutarsi in legge il decreto sulla sicurezza che attribuisce ai prefetti, sulla base di valutazioni discrezionali, la facoltà di espellere anche i parenti di chi commette un crimine», ha avvertito Giuliano Pisapia, ex presidente della commissione Giustizia della Camera al convegno del mattino in un auditorium del centro storico. Perché da Genova 2001 in poi, segnala Pisapia, ogni decreto contro il terrorismo o contro la violenza negli stadi, è diretto in realtà anche contro i movimenti sociali limitandone l’agibilità, la possibilità stessa di azioni di disobbedienza civile non violenta.Ma molti, nel 2001, nemmeno c’erano. Perché troppo giovani. Come Greta, diciottenne, liceale di Voltri, attiva nell’Uds che ieri ha manifestato anche al mattino nella giornata mondiale per il diritto allo studio, una sorta di primo maggio studentesco. Come Giorgio, romano dei collettivi della Sapienza, 16 anni nel 2001- La politica, nella sua vita, sarebbe arrivata l’anno dopo. Per loro Genova furono tre giorni in cui si cercò di spezzare le gambe a un movimento appena nato a Seattle. «Per chi è venuto dopo quella cicatrice era ben presente, del social forum Firenze – dice Giorgio – mi ricordo anche la tensione e la paura».
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