Genova: Processo per lo sgombero dello spazio sociale occupato in via dei Giustiniani. Pm chiede condanne per 15 compagni
- gennaio 27, 2016
- in centri sociali, misure repressive, sgombero
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Il 20 gennaio 2016 si è celebrata presso il tribunale di Genova l’ultima udienza in vista della sentenza per il processo per resistenza allo sgombero della Casa Occupata di Via dei Giustiniani,19 avvenuto il 7 agosto 2012.
Non ci interessa entrare nello specifico del dibattimento processuale e del suo iter tecnico-legale. I nostri avvocati si occupano già di questo.
Quel giorno eravamo lì, insieme ad altre decine di persone, perché riteniamo sempre necessario esprimere la nostra solidarietà a chi viene colpito dall’azione repressiva dello Stato mirata al mantenimento del suo sistema di sfruttamento. Rispondere, ogni qualvolta lo riteniamo opportuno, ai soprusi quotidianamente perpetrati nelle strade della città è qualcosa al quale la nostra coscienza non si può sottrarre.
Non vediamo come ci possa venire chiesto di assistere passivamente al perpetuarsi di una società in cui decine di migliaia di uomini e donne vivono in condizioni di fame ed indigenza, trovandosi costretti a cercare di sopravvivere nelle maniere più disparate. Le città in cui viviamo sono colme di persone il cui rapporto con la Legge è obbligato dal Potere stesso. Senza occupare le case sfitte, rubare il cibo nei supermercati, sfuggire ai controlli di Polizia (qualora privi di documenti regolari) molte persone non potrebbero nemmeno sopravvivere. E molti di loro infatti non ci riescono nemmeno. Sono gli stessi media che ogni giorno ci raccontano di esseri umani affogati nel Mediterraneo, morti di freddo o di fame nelle metropoli, incarcerati, picchiati e violentati perché “fuorilegge” o più semplicemente poveri.
E nel contempo cosa ci verrebbe proposto? Un mondo basato su rapporti sociali sempre più mediati da assurde tecnologie, alienazione a basso costo, desertificazione affettiva, lavori regolamentati da contratti salariali sempre più miserabili, una militarizzazione capillare dell’esistenza, la totale distruzione dell’ecosistema.
Non è casuale, quindi, che in questo processo, come nella maggioranza dei casi, l’accanimento su chi è accusato o sospettato di commettere reati sia teso a ignorare completamente l’oggetto del contendere decontestualizzando del tutto i singoli gesti degli imputati dalle loro motivazioni e dalle dinamiche in cui avvengono.
Subiamo ed assistiamo ad un processo in cui di fatto siamo già stati condannati per quello che “siamo” e/o per come veniamo considerati dalla Polizia e dagli inquirenti. Le misure repressive e preventive alle quali siamo stati sottoposti dal dicembre 2012 (alcune delle quali durate anche 1 anno e mezzo), arresti domiciliari e obbligo di firma due volte al giorno, sono anche il frutto di mirabolanti dossier preparati ad hoc dalla Digos nel tentativo di stilare un nostro profilo personale più funzionale possibile a delegittimare e inibire le nostre scelte.
Significative a tal proposito furono le dichiarazioni dell’allora P.M. incaricato del caso che, pur riconoscendo la non esagerata gravità dei presunti reati commessi, asseriva la necessità che tali imputati fossero sottoposti a misure restrittive sia per la loro “incapacità di trattenersi dal delinquere”, insinuata dalla Digos nei dossier sopracitati, sia in previsione di un’eventuale recrudescenza del conflitto sociale.
Non sappiamo se e quando un contesto del genere si verificherà realmente e quale direzione potrebbe prendere.
Quello che sappiamo per certo è che una società all’interno della quale i bisogni primari delle persone non hanno rilevanza risulta totalmente incompatibile con una qualsiasi forma di accondiscendenza da parte nostra.
Qualsiasi invito nei nostri confronti a essere indifferenti alla violenza delle forze dell’Ordine, sempre più diffusa ed indiscriminata, cadrà nel vuoto.
Qualsiasi pretesa nei nostri confronti di prestare gratuitamente le nostre esistenze alla mercé delle mafie immobiliari, pagando affitti esorbitanti e mutui capestro, umiliandosi per ottenere alloggi popolari che viste le garanzie richieste di popolare hanno ben poco, non avrà esito.
Fino a quando il mondo che ci viene prospettato sarà questo, non ci sarà nessuna condanna che potrà prevenire il bisogno di esprimere il proprio diniego. Se oggi siamo qua imputati è proprio per questo.
E mentre le varie eventuali condanne prima o poi si estingueranno, ci sarà sempre qualcuno che, in piccolo o in grande, individualmente o in massa, non chinerà la testa e combatterà, non solo per la propria e altrui sopravvivenza, ma per un posta in gioco ancora maggiore, la dignità e la libertà.
A tal proposito, cogliamo l’occasione per esprimere la nostra solidarietà agli occupanti della Nave Assillo a Trento sgomberata nei giorni scorsi dalle Forze dell’Ordine.
Seguono le firme dei 6 imputati