Mercoledì 17 febbraio, probabilmente, ci sarà la sentenza di primo grado per i manifestanti che tentarono l’occupazione della stazione, con richieste di pena che arrivano addirittura a superare i sette anni“
Il 6 maggio 2011 uno sciopero generale, chiesto da mesi dai movimenti sociali e convocato dalla CGIL, bloccò l’Italia. A Genova vari cortei paralizzarono il centro cittadino, nelle strade si intrecciavano differenti lotte: quella degli studenti medi e universitari, che ormai da più di due anni si battevano contro il definanziamento e lo smantellamento dell’istruzione pubblica perpetrato dal ministro Gelmini; quella dei metalmeccanici che lottavano contro il modello Marchionne di un lavoro senza diritti; quella degli operatori sociali contro la dismissione del Welfare State; quella dei precari per il reddito e un futuro degno.
Arrivati nella piazza del comizio sindacale, centinaia di persone decisero di continuare il corteo, convinti che le quattro ore di sciopero proclamate dal sindacato fossero insufficienti e quella giornata non dovesse essere solo simbolica, ma concretamente dovesse paralizzare il paese. Il corteo, composto soprattutto da studenti, operatori sociali e precari, bloccò prima la sopraelevata e poi si diresse verso la Stazione Principe. Qui, il tentativo di entrare in stazione venne violentemente represso dalle forze dell’ordine: Polizia e Guardia di Finanza caricarono senza alcun preavviso su due lati il corteo, provocando lesioni e ferite che alcuni portano ancora addosso.
Adesso, a quasi cinque anni dai fatti, la Procura di Genova vorrebbe condannare chi quel giorno scese in piazza e provò a difendersi dalla violenza delle Forze dell’Ordine. Mercoledì 17 febbraio, probabilmente, ci sarà la sentenza di primo grado per i manifestanti che tentarono l’occupazione della stazione, con richieste di pena che arrivano addirittura a superare i sette anni.
Appare evidente la sproporzione delle pene richieste; seguendo il copione ormai classico della criminalizzazione di qualunque critica al sistema di sfruttamento contemporaneo, ogni infrazione all’ordine della precarietà e dei consumi viene sanzionata con pene sproporzionate. Resistere a una carica di polizia è punito più severamente che torturare giovani in una caserma, chiedere diritti è più grave che inneggiare al fascismo, manifestare comporta pene più gravi che massacrare persone inermi: dal g8 ben poco è cambiato.
Questo processo non è che la punta dell’iceberg di un più ampio tentativo di criminalizzazione delle lotte sociali: solo a Genova dal 2009 ad oggi sono stati aperti decine di procedimenti contro chi ha lottato per la difesa della scuola pubblica, il diritto all’abitare, la difesa dei diritti sul posto di lavoro, contro le speculazioni ambientali, per i diritti di tutti e tutte.
A posteriori, non possiamo che rivendicare la nostra scelta di manifestare quel giorno, convinti che ciò che accade oggi non possa che confermare che avevamo ragione! La buona scuola di Renzi, altro non è che un ulteriore passo in avanti dello smantellamento della scuola pubblica portato avanti dalla Gelmini. Il Jobs Act è la trascrizione in legge del modello Marchionne di un lavoro dove è semplice licenziare e i lavoratori hanno sempre meno diritti. Quotidianamente vediamo erodere lo Stato Sociale in nome di un mercato sempre più aggressivo e competitivo.
Alla Procura di Genova diciamo che sette anni sono una vita e non si gioca con la vita delle persone! La storia non si può scrivere nelle aule di un tribunale, non saranno certo le condanne a fermare le lotte, sempre dalla stessa parte ci troverete!
Aut Aut 357
LSOA Buridda
Ex Latteria Occupata
CSOA Terra di Nessuno
CSOA Emiliano Zapata