Menu

Giovani palestinesi sotto tiro

Uno stillicidio pressoché quotidiano. Quello dei giovani palestinesi uccisi, feriti, arrestati… dall’esercito israeliano.

Jamil Abu Ayyash veniva colpito a morte venerdì 10 dicembre durante gli scontri scoppiati ai margini di una delle manifestazioni (inizialmente settimanali, ma ormai quasi quotidiane) contro la colonizzazione della Cisgiordania e in particolare contro l’insediamento di Jabal-Shabi sorto su terreni espropriati ai palestinesi..

Originario (come molte delle ultime vittime) del villaggio di Beita, il trentunenne palestinese ha ricevuto una pallottola in testa ed è deceduto appena giunto all’ospedale Rafidia di Nablus.

Nelle stesse circostanze altri quattro manifestanti palestinesi sono rimasti feriti per le pallottole di acciaio rivestite sparate dagli israeliani. Un’altra decina quelli feriti per altre ragioni (anche contusioni dovute a cadute) e oltre una cinquantina gli intossicati dai gas lacrimogeni. Ovviamente si tratta di coloro che hanno scelto di farsi curare in loco dalla Croce Rossa palestinese. Non si esclude che altri abbiano preferito curarsi a casa loro.

Anche perché, come ha denunciato un responsabile della Croce Rossa palestinese, le strade erano state bloccate e i militari impedivano l’accesso anche alle autoambulanze. Per cui gli interventi sono risultati tardivi dato molti feriti hanno dovuto percorrere un paio di chilometri a piedi per raggiungere le postazioni sanitarie ed essere curati.

Neanche tre giorni dopo, nella notte del 13 dicembre, un altro giovane palestinese perdeva la vita nel nord della Cisgiordania, nella regione di Ras Al-Ain.

Anche Jamil Al-Kayyal veniva ucciso per un colpo di arma da fuoco (sparato dai soldati israeliani) alla testa mentre altri due manifestanti risultavano feriti per essere stati investiti da un mezzo militare.

In precedenza, il 9 dicembre, le forze di sicurezza israeliane avevano arrestato otto studenti dell’università di An-Najah. Contemporaneamente vari studenti della stessa università venivano minacciati preventivamente di arresto – tramite SMS – qualora avessero partecipato alle riunioni e iniziative dei vari Blocchi studenteschi.

Altri arresti di universitari politicamente attivi si erano registrati in precedenza (soprattutto tra gli aderenti al Blocco studentesco islamico). Qualche centinaio soltanto durante l’anno scolastico 2019-2020 e ben 74 solo all’università di Bir Zeit. Accusati in genere di “appartenenza a un’organizzazione proibita” (nonostante molti di loro si siano limitati a organizzare conferenze e mostre di libri, oltre ad aver partecipato alle elezioni interne) vanno ad aggiungersi ai circa cinquemila prigionieri politici palestinesi attualmente incarcerati.

Anche tra gli studenti arrestati vi sono state denunce di maltrattamenti e torture durante gli interrogatori

Per qualche osservatore questa repressione mirata potrebbe costituire“una violazione diretta e collettiva del diritto all’istruzione, una violazione dell’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e una violazione del Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali”.

Gianni Sartori