«Sappiamo, grazie anche al lavoro straordinario della magistratura, che Giulio Regeni è stato rapito, torturato e ucciso dai servizi di sicurezza egiziani, in particolare da funzionari della National Security Agency».
Riassume così, al manifesto, il punto centrale della relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento, le torture e l’omicidio di Giulio Regeni il suo presidente, l’onorevole Erasmo Palazzotto (Leu).
Una relazione pesantissima, votata all’unanimità dopo due anni di «lavoro straordinario» (da qui sono passati presidenti del Consiglio, ministri ed ex ministri, ricercatori, ong, esperti), che puntella l’incessante attività di indagine della Procura di Roma, giunta a incriminare quattro dei presunti aguzzini del ricercatore italiano (processo al momento «sospeso» per la mancata elezione del domicilio degli imputati, prossima udienza davanti al gup di Roma il 10 gennaio prossimo).
Tre gli elementi chiave: la responsabilità diretta dei servizi egiziani e quella materiale e politica del regime dell’ex generale al-Sisi; la necessità da parte dell’Italia di interrompere l’inefficace strategia della normalizzazione per (non) avere indietro brandelli di verità; «il sostanziale isolamento dell’Italia», con i paesi Ue che alle pressioni congiunte sul Cairo hanno preferito l’occupazione di eventuali spazi – economici e politici – lasciati liberi da Roma.
«È necessaria e urgente – ci spiega Palazzotto – un’attivazione concreta dei nostri più alti livelli istituzionali, del governo in particolare, per pretendere e ottenere giustizia da parte di un regime che finora ha in tutti i modi ostacolato la verità, depistando le indagini e coprendo le responsabilità dei propri apparati. Il nostro Paese deve far sentire la propria voce in Europa e ricorrere a tutti gli strumenti della diplomazia e del diritto internazionale per esercitare pressione su un regime che nega qualsiasi collaborazione».
Per questo la relazione appena approvata sarà portata in parlamento, per dargli efficacia concreta oltre che forza politica: «Sul piano politico una mozione approvata all’unanimità ha un peso molto rilevante – conclude Palazzotto – Inoltre la Commissione mi ha dato mandato perché la relazione sia discussa dall’aula. Nel caso ci fosse un voto, si tratterebbe di un impegno del parlamento, dunque vincolante per il governo».
I vertici del nostro paese tornano così a essere investiti in pieno da un evento terribile, che in quasi sei anni non ha condotto ancora a verità. La Commissione non lesina critiche sottese nel ricostruire il business as usual figlio di una normalizzazione dei rapporti che ha fatto pensare all’Egitto che, dopotutto, quella relazione speciale non era stata incrinata da giorni di torture e il collo spezzato di un giovane ricercatore: «Nella controparte si è ingenerata l’opinione che la questione fosse chiusa o almeno confinata a una dimensione laterale».
Un’idea derivante dall’opacità italiana che ha condotto a definire «ineludibile» il rapporto con Il Cairo come fatto dall’attuale ministro degli Esteri Di Maio e ribadito dalla vendita di due fregate Fremm e di armi leggere a favore della polizia (responsabile di aver cementato l’attuale regime sulla repressione strutturale del dissenso).
Succede ancora in queste ore: il primo sponsor dell’Expo militare in corso in Egitto dal 29 novembre è Fincantieri; due le aziende italiane al padiglione H2, Iveco e Intermarine.
Il Cairo sapeva cosa stava facendo e poteva salvare Giulio: l’immediata mobilitazione italiana, a ogni livello, fin dalla scomparsa, il 25 gennaio 2016, dava all’Egitto «il tempo per intervenire e per salvare la vita a Regeni. La responsabilità di questa inerzia grava tutta sulla leadership egiziana».
Che ha poi giocato le sue carte alla luce delle reazioni dell’alleato, come il 3 febbraio, giorno del ritrovamento del corpo di Giulio: «È da rilevare la reazione molto stupita e negativa della parte egiziana. Ne potrebbe derivare l’impressione che per gli egiziani aver fatto ritrovare Giulio Regeni fosse da considerarsi sufficiente a chiudere il caso e a riprendere il normale andamento delle relazioni bilaterali».
Da questo momento inizia la capillare opera di depistaggio, impossibile da realizzarsi senza il coinvolgimento dei vertici politici. Sei anni dopo è ancora possibile giungere a verità, la Commissione ne è convinta, «in presenza di un’autentica collaborazione da parte egiziana», ottenibile solo con «un atto deciso e consequenziale da parte del governo» e che ponga la giustizia per Giulio «al pari delle questioni di natura geopolitica e strategica».
Spinta ulteriore potrebbe arrivare da un’effettiva solidarietà internazionale, verso l’Italia quanto verso il popolo egiziano, da parte della Ue e dell’Onu. Attraverso embarghi di armi, l’apertura di una controversia internazionale o magari smettendo di fare affari con un regime brutale.
Proprio come ha fatto di nuovo ieri il primo ministro spagnolo Sanchez, che ha rinnovato con Il Cairo il protocollo di cooperazione finanziaria: 400 milioni di euro.
da il manifesto