Cavalcare la paura è una scelta politica. Alimenta spinte emotive moltiplicate dai social, dai giornali di destra, dalle tv modello Retequattro. Per trasformarle in consenso politico, sempre promettendo di spazzare via l’insicurezza con il bastone legislativo. Infischiandosene delle conseguenze.
di Pino Corrias da Vanity Fair
Diceva un vecchio giurista che tutti i magistrati, prima di prendere servizio, dovrebbero passare qualche giorno (e qualche notte) nella cella di un carcere. Sperimentare cosa vuol dire avere le sbarre addosso al punto da respirarle. Dormire in sei in una cella da due. Avere un lavandino di acqua fredda e un cesso alla turca di fianco al cibo, con le blatte che escono dal buco nero. Ascoltare di giorno e di notte il rumore delle serrature, le urla nei reparti, la puzza del rancio che ristagna. Imparerebbero quanto brucia il fuoco di una condanna. E quanta responsabilità occorre nel comminarla.
Dovrebbero farlo anche i politici. Specialmente ora, viste le nuove norme del Decreto Sicurezza, il terzo in un solo anno di governo, scritte con il fil di ferro a prevedere più reati, più pene, più carcere, più poteri alla polizia. Hanno cominciato giusto un anno fa con il famoso decreto anti rave, i party che sembravano una delle emergenze nazionali. Poi il decreto contro i salvataggi in mare delle ong. La stretta sui centri di prima accoglienza. Il daspo per i membri delle baby gang. L’omicidio stradale. L’omicidio nautico. Quindi il decreto Caivano, che promette il carcere per le famiglie che non mandano i figli minori a scuola: il carcere, non un assistente sociale. Norme più dure e più galera per i borseggiatori, comprese le donne in gravidanza, specialmente le donne Rom, come strillano da mesi i nuovi titolari del giornalismo da caccia, quelli guidati da Mario Giordano, Paolo Del Debbio, Alessandro Sallusti.
Si chiama populismo penale, o anche panpenalismo. Vuol dire moltiplicare i reati, moltiplicare le pene già previste, promettere sempre più carcere per assecondare una idea di ordine inflessibile che non vuole interventi e contromisure sociali, ma pretende punizioni esemplari contro un’emergenza sicurezza ingigantita, laddove il disordine percepito è sempre più mediatico che reale.
Cavalcare la paura è una scelta politica. Alimenta spinte emotive moltiplicate dai social, dai giornali di destra, dalle tv modello Retequattro. Per trasformarle in consenso politico, sempre promettendo di spazzare via l’insicurezza con il bastone legislativo. Infischiandosene delle conseguenze. Ogni poliziotto, ogni carabiniere, dice il nuovo decreto, potrà girare armato anche fuori servizio, in abiti borghesi con una pistola diversa da quella di ordinanza, comprata a piacere. Vuol dire 300 mila pistole in più in un Paese dove il numero degli omicidi è in diminuzione da vent’anni. E senza tenere conto che maggiore è il numero di armi da fuoco in circolazione, più devastante sarà il numero delle armi da fuoco in azione.
L’America dei mass murder ricorrenti e dei 30 mila morti ammazzati l’anno, dovrebbe insegnarci qualcosa. Ma fanno tutti finta di nulla, a cominciare dal ministro di Giustizia Carlo Nordio che da opinionista si vantava di essere garantista – meno reati, più pene alternative – e che da ministro fa l’esatto opposto. Prescrive il carcere per tutti, naturalmente senza esserci mai stato.
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