«Gli innocenti stiano tranquilli? Lo diceva anche il Mein Kampf»
Parla un attivista della tutela della privacy: «Sbagliato accettare i controlli con noncuranza. In Gran Bretagna i dati archiviati sono stati rubati e rivenduti ad aziende private»
«Limitare i controlli forzosi dovrebbe essere un diritto esercitato da ciascuno di noi». Marco Calamari è un informatico che ha fatto della lotta per la tutela della privacy una ragione di battaglia quotidiana. E’ tra i fondatori del progetto Winston Smith, una rete informatica che, prendendo in prestito il nome del protagonista del romanzo di Orwell «1984», mette a disposizione gratuitamente tecnologie «anti-spionaggio». Ed è tra gli autori del progetto di legge presentato dal radicale Maurizio Turco sull’obbligo di cancellazione dei dati informatici. Sembra che il progetto di legge di banca dati del dna, in arrivo al consiglio dei ministri, si basi sul modello inglese, così come chiedeva Francesco Rutelli. Come funzionano le cose in Gran Bretagna?Il database inglese è quello nato per primo, le sue informazioni vengono messe a disposizione di qualunque organizzazione, in sostanza i dati raccolti per il terrorismo si usano per combattere l’evasione fiscale. Recentemente qualcuno aveva proposto di estenderne l’uso alla generalità della popolazione, ma al momento l’idea è bloccata, un po’ perché il progetto è costoso, un po’ per le polemiche legate alla vulnerabilità di questo archivio, che ha già subito una serie di furti e violazioni. Già oggi quel database riguarda un numero consistente di cittadini, anche perché chi ci finisce non può esserne cancellato. C’è modo di tutelare la propria privacy da questa costante acquisizione di dati? Tutelarsi da archivi previsti per legge è molto difficile. Ma lo è soprattutto perché i cittadini accettano di sottoporsi a questi controlli con noncuranza. Il «chi non ha niente da nascondere non ha nulla da temere» non sta in piedi. E’ la base della società totalitaria, e infatti ne parlava anche il Mein Kampf. Negli ultimi anni noi estremisti della privacy ci siamo accorti che il problema non è la tecnologia, perché l’evoluzione delle macchine apre nuovi spazi anche a chi cerca di prendersi delle garanzie. Piuttosto sono le macchine legali ad essere preoccupanti, perché non sono né perfette né garantiste, ma erratiche anche quando non pilotate. La nostra associazione ha cercato di impegnarsi nel dare servizi a tutti, nel fornire la possibilità di usare sistemi come Anonymous remailer e Pgp. Ci sembrava una cosa meritoria per i cittadini e invece siamo stati guardati con sospetto. Le Br hanno archiviato i loro computer in Pgp…Ma hanno usato anche una Renault 4 per metterci il cadavere di Moro eppure nessuno ha vietato l’uso delle Renault 4.Quella italiana è una società molto controllata o poco? Dal punto di vista tecnico e pratico i rischi del controllo sono più o meno gli stessi qui come negli Stati uniti. Dal punto di vista legale saremmo più tutelati, sia dalla legge sulla privacy sia dalla Costituzione. Abbiamo una base legalmente garantista che viene però stiracchiata di volta in volta.E se queste norme servissero davvero a far diminuire i reati? Fino ad ora non mi risulta che questo genere di controlli abbia fatto la differenza. Anzi, vorrei vedere un controesempio, qualcuno che mi dicesse «abbiamo fatto questo solo grazie al dna». E capire comunque le conseguenze.
«Limitare i controlli forzosi dovrebbe essere un diritto esercitato da ciascuno di noi». Marco Calamari è un informatico che ha fatto della lotta per la tutela della privacy una ragione di battaglia quotidiana. E’ tra i fondatori del progetto Winston Smith, una rete informatica che, prendendo in prestito il nome del protagonista del romanzo di Orwell «1984», mette a disposizione gratuitamente tecnologie «anti-spionaggio». Ed è tra gli autori del progetto di legge presentato dal radicale Maurizio Turco sull’obbligo di cancellazione dei dati informatici. Sembra che il progetto di legge di banca dati del dna, in arrivo al consiglio dei ministri, si basi sul modello inglese, così come chiedeva Francesco Rutelli. Come funzionano le cose in Gran Bretagna?Il database inglese è quello nato per primo, le sue informazioni vengono messe a disposizione di qualunque organizzazione, in sostanza i dati raccolti per il terrorismo si usano per combattere l’evasione fiscale. Recentemente qualcuno aveva proposto di estenderne l’uso alla generalità della popolazione, ma al momento l’idea è bloccata, un po’ perché il progetto è costoso, un po’ per le polemiche legate alla vulnerabilità di questo archivio, che ha già subito una serie di furti e violazioni. Già oggi quel database riguarda un numero consistente di cittadini, anche perché chi ci finisce non può esserne cancellato. C’è modo di tutelare la propria privacy da questa costante acquisizione di dati? Tutelarsi da archivi previsti per legge è molto difficile. Ma lo è soprattutto perché i cittadini accettano di sottoporsi a questi controlli con noncuranza. Il «chi non ha niente da nascondere non ha nulla da temere» non sta in piedi. E’ la base della società totalitaria, e infatti ne parlava anche il Mein Kampf. Negli ultimi anni noi estremisti della privacy ci siamo accorti che il problema non è la tecnologia, perché l’evoluzione delle macchine apre nuovi spazi anche a chi cerca di prendersi delle garanzie. Piuttosto sono le macchine legali ad essere preoccupanti, perché non sono né perfette né garantiste, ma erratiche anche quando non pilotate. La nostra associazione ha cercato di impegnarsi nel dare servizi a tutti, nel fornire la possibilità di usare sistemi come Anonymous remailer e Pgp. Ci sembrava una cosa meritoria per i cittadini e invece siamo stati guardati con sospetto. Le Br hanno archiviato i loro computer in Pgp…Ma hanno usato anche una Renault 4 per metterci il cadavere di Moro eppure nessuno ha vietato l’uso delle Renault 4.Quella italiana è una società molto controllata o poco? Dal punto di vista tecnico e pratico i rischi del controllo sono più o meno gli stessi qui come negli Stati uniti. Dal punto di vista legale saremmo più tutelati, sia dalla legge sulla privacy sia dalla Costituzione. Abbiamo una base legalmente garantista che viene però stiracchiata di volta in volta.E se queste norme servissero davvero a far diminuire i reati? Fino ad ora non mi risulta che questo genere di controlli abbia fatto la differenza. Anzi, vorrei vedere un controesempio, qualcuno che mi dicesse «abbiamo fatto questo solo grazie al dna». E capire comunque le conseguenze.
fonte: il manifesto
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