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Il governo Meloni vuole militarizzare le università contro le proteste

Il governo Meloni è pronto a varare  un giro di vite repressivo nelle università che prevede accessi “limitati e controllati” agli atenei e di porre le forze dell’ordine all’ingresso delle aule dove si tengono convegni e appuntamenti per bloccare le contestazioni

di Valeria Casolaro da L’Indipendente

Dopo la cacciata del direttore del quotidiano La Repubblica, Maurizio Molinari, da parte degli studenti dell’Università di Napoli, che hanno voluto impedire un suo convegno accusandolo di essere complice del genocidio israeliano su Gaza, nel governo Meloni si levano le voci di chi vorrebbe usare l’occasione per imporre un giro di vite repressivo anche all’interno degli atenei. Il ministro dell’Interno Piantedosi avrebbe infatti elaborato un piano che prevede accessi “limitati e controllati” agli atenei e di porre le forze dell’ordine all’ingresso delle aule dove si tengono convegni e appuntamenti per bloccare le contestazioni. L’indiscrezione segue le durissime dichiarazioni del ministro dell’Agricoltura, nonché cognato di Giorgia Meloni, Francesco Lollobrigida, che ha dichiarato nientemeno che un «eccesso di tolleranza» verso le contestazioni potrebbe portare a rischi terroristici nel Paese.

Non prendere provvedimenti contro episodi come quello di Napoli, ha infatti dichiarato Lollobrigida, «in passato ha poi portato al terrorismo e al suo rafforzamento fino all’episodio di Aldo Moro, che, con il suo sacrificio, creò un allarme democratico talmente ampio che ci permise di sconfiggere quel fenomeno brutale che è l’eversione». Nonostante l’accostamento tra gli eventi sembri a dir poco fantasioso, il Viminale starebbe già correndo ai ripari. A scatenare la preoccupazione del governo sarebbero infatti una serie di incontri che dovrebbero tenersi nelle Università italiane nei prossimi giorni e che potrebbero essere fortemente contestati dal “fronte pro Palestina” e contro Israele. Per tale motivo, secondo le indiscrezioni rese pubbliche dal Corriere della Sera, il governo starebbe ipotizzando misure di sicurezza più stringenti sugli ingressi nelle aule dove si dovranno svolgere gli incontri, che da ora in poi potrebbero anche essere posti sotto la lente dei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica in Prefettura, oltre che dei Questori e dei tavoli tecnici relativi. Dato il carattere non prevedibile di tali tipi di proteste, poi, potrebbe essere aumentata la sorveglianza prima dei convegni, ipotesi che preannuncia la presenza di contingenti delle forze dell’ordine a presidiare le aule. Dal canto suo, la ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha frenato l’ipotesi avanzata dal Viminale, ma ha convocato un incontro con i rettori per il prossimo giovedì, per concordare con loro le modalità di repressione delle proteste.

Se le misure dovessero essere messe in pratica, ci si ritroverebbe di fronte all’ennesimo tentativo di questo governo di banalizzare le proteste e le rivendicazioni sociali. Il “fronte pro Palestina” diventa così un’etichetta che trasforma in un mero problema di ordine pubblico una battaglia sociale dalla forte dimensione politica, che chiede la fine dell’aggressione militare israeliana nella Striscia di Gaza (che ha causato la morte di oltre 30 mila civili, la maggior parte dei quali donne e bambini) e del supporto italiano e occidentale a Israele. E ad aderire a questa richiesta non sono solamente gli studenti: sono oltre 1300 gli accademici che hanno sottoscritto una lettera indirizzata al ministero degli Affari Esteri, nella quale si chiede un completo stop agli accordi di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica in vigore con Israele. Un documento che segue quello siglato da quasi 5 mila docenti universitari che, per le stesse ragioni, chiedevano già a novembre scorso il boicottaggio di Israele.

È quantomeno curioso, poi, che l’allarme in merito a un attacco alla democrazia e alla libertà di parola provenga proprio da quelle istituzioni che non hanno trovato nulla da ridire quanto nelle Università venivano vietati i testi di Dostoevskij perchè “filorussi” o per il boicottaggio degli incontri di confronto sul Covid.

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