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Grecia: La polizia contro i profughi di Moria

Lacrimogeni contro i migranti che chiedevano di essere trasferiti sulla terraferma

Sono giorni tragici a Lesvos. 13 mila persone sono ancora per strada in seguito agi incendi, di cui 4 mila bambini, la polizia impedisce l’accesso dei migranti al principale centro dell’isola, Mytilini, dove c’è l’ospedale.
Servono urgenti aiuti umanitari, ma il governo invece di inviare medici invia le MAT, le unità per il ristabilimento dell’ordine. Le forze di polizia antisommossa con i gruppi di estrema destra hanno chiuso i migranti in un’area limitata, impedendo anche l’accesso alle Ong. Nella mattina di sabato 12 settembre, dopo una protesta delle persone migranti, la polizia ha attaccato le famiglie con i gas lacrimogeni.

Nonostante la contrarietà degli abitanti e del sindaco di Mytilini, la linea del governo è chiara: ricostruiranno un nuovo Moria. Non sono consentiti trasferimenti sulla terraferma, e più di 3.000 tende stanno arrivando nell’isola. Con gli elicotteri dell’esercito sarà trasferito tutto il materiale per costruire in fretta e furia nuovi campi, con i soldati al lavoro, che saranno campi chiusi e militarizzati.

Essenzialmente il governo sembra voler utilizzare la distruzione di Moria per costruire centri di prigionia.

Questa è la strategia che si sta ora delineando in modo chiaro anche nei campi sulla terraferma, dove con l’espediente dell’emergenza virus molti campi sono stati chiusi per periodi spropositati, l’entrata e l’uscita per i residenti è sempre più burocratizzata e gli accessi delle Ong sono sempre più limitati attraverso il nuovo regolamento di registrazione per le organizzazioni che lavorano con rifugiati e richiedenti asilo. È la strategia della militarizzazione.

L’eco dell’incendio di Lesvos è arrivato ad Atene. Venerdì 11 settembre, c’è stata una grande manifestazione, con circa 5 mila persone, per chiedere l’evacuazione immediata di Lesvos e un posto sicuro per tutti e tutte. La manifestazione è partita da Piazza Victoria, perché nella notte di tre giorni fa quando Moria andava in fiamme, in questa piazza venivano sgomberate più di 100 persone, e portate al detention center di Amygdaleza. E’ da ormai 3 mesi che si susseguono gli sgomberi a Victoria ma è un tunnel senza fine, perché la gente continua ad arrivare e arriverà:

non si può sgomberare la fame e la necessità di avere un tetto sopra la testa

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Questo è il risultato del taglio dei finanziamenti per i progetti di housing e della riforma del processo d’asilo, che ora prevede la fine di ogni tipo di aiuto dopo un mese dall’ottenimento dello status. Questo ha riversato per le strade circa 12mila persone, e ha contribuito alla ripresa dei flussi nei Balcani degli scorsi mesi. A Victoria, dopo l’escalation di violenza ad inizio luglio, quella che sembrava un’emergenza è diventata normalità. Rimane sempre lo stesso problema: vengono sgomberate persone che hanno già l’asilo, quindi non c’è ragione perché siano portate in centri di detenzione o campi, peraltro sovraffollati. La polizia ha tolto le panchine dalla piazza, per impedire alla gente di sedersi, ed è una presenza fissa. La normalizzazione delle deportazioni è avvenuta principalmente attraverso bugie sistematiche: promettono alle famiglie di portarle in campi aperti e di dare loro i documenti necessari per lavorare e prendere una casa in affitto, ma poi nulla di tutto ciò avviene.

Ieri sera, durante la manifestazione, una cinquantina di persone, che si erano disperse nelle vie circostanti durante l’ultimo sgombero, sono ritornate ad accamparsi in piazza dato che Victoria era affollata e quindi più al sicuro dalle violenze arbitrarie della polizia. Mentre il corteo si dirigeva verso Syntagma, la piazza del parlamento, la polizia è arrivata ed ha iniziato a importunare le famiglie, dicendo che non è permesso stare nella piazza e che li avrebbero portati via. I blindati per la deportazione erano già pronti. Al circolare della notizia siamo ritornati verso Victoria, dove ci siamo riuniti in assemblea per capire cosa fare. Le famiglie chiedevano di restare lì la notte, per evitare il possibile sgombero. In più, ci sono alcune persone in fase di richiesta d’asilo che sono arrivate da Moria due mesi fa, mandati ad Atene per problemi di salute, che ancora non hanno visto un medico. Alcuni attivisti hanno contattato il sindacato dei medici per capire come avere cure, dato che non hanno accesso all’ospedale. In questi mesi molte Ong e gruppi di diversa estrazione hanno portato aiuti umanitari nella piazza: coperte, cibo, vestiti, giochi… ma non basta per risolvere la situazione. Servono case, serve supporto economico, o quantomeno serve far capire al governo che l’ordine e il decoro non lo ristabiliranno mai con gli abusi di polizia né nascondendo tutti in campi dispersi in mezzo al nulla.

Stando in piazza la sensazione era di grande impotenza. Sappiamo che quando vogliono sgomberare lo fanno violentemente, e l’unico modo per evitarlo è essere lì in centinaia, non tanto per fare opposizione fisica ma per dissuadere la polizia dal compiere un’azione importante che avrebbe un grosso impatto mediatico. Ma se occupiamo la piazza oggi, sgombereranno domani, o dopo domani, o la prossima settimana. E comunque la gente rimane in strada. Tantissimi sono bambini, la maggior parte, che ora giocano sempre con i bambini di Acharnon e del vicinato, quelli che vivono con le loro famiglie nei basement, in 20 in due stanze. Sono tutti afghani. Sabato 12 settembre si è tenuta un’altra manifestazione davanti al campo di Eleonas, qui ad Atene.

da Melting Pot Europa