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Grecia: l’estrema destra sbarca a Chios e brucia le scorte per i rifugiati

Intervista a Musli Alievski, il fondatore della onlus nel campo di Vial: «A fronte di una capienza di 1.500 persone, il campo ne ospita oltre 6mila. Qui non ci sono grandi Ong. Non c’è Msf, l’Unhcr non opera direttamente, tutto è amministrato dai militari»

«Questo è solo l’inizio». A Chios non fanno che ripeterlo dopo l’incendio della scorsa notte. Doveva essere pirotecnico lo sbarco dei neonazisti sull’isola di Chios e così è stato, la notte del 3 marzo, intorno alle due, qualcuno ha appiccato il fuoco al deposito di Stay Human Odv, la Onlus che da aprile 2018 dà servizi e beni di prima necessità ai profughi del campo di Vial. A fronte di una capienza di 1.500 persone, il campo ne ospita oltre 6mila. Quattordici bagni in tutto, 7 per sesso. Come quasi tutti gli hotspot greci, sta in mezzo a un uliveto in rovina, per 30 km tutt’intorno il nulla. Gli episodi di autolesionismo e di tentato suicidio non mancano, specie tra i minori non accompagnati.

«Ieri stavamo smistando le scarpe» dice Musli Alievski, il fondatore della Onlus nata nel 2016. È un giovane macedone di origini rom, suo padre, in odore di pulizia etnica, prese la famiglia e scappò in Italia prima della guerra. Dopo la minaccia di Erdogan di «aprire i rubinetti», da circa una settimana sull’isola sono arrivati «quelli di Alba Dorata e i celerini». «Questo era il posto di partenza di tutto, dove portavamo le donazioni, dove prendevamo quello che serviva da portare al centro, sopra c’erano gli appartamenti dei volontari, tutto distrutto». L’incendio è doloso a detta della stessa polizia, che però ora ha altri problemi: gli isolani sono esasperati, la settimana scorsa hanno aggredito i militari che trasportavano i materiali per allestire un altro hotspot, più grande, in vista di un esodo dato ormai per imminente.

Sporgerete denuncia per l’incendio?

Per ora no, il clima è teso e vogliamo evitare ritorsioni e vendette sugli isolani che ci aiutano. In più sull’isola sono arrivati squadroni di celerini e di cosiddetti «volontari a difesa delle isole». Hanno già aggredito la polizia.

Come mai la destra aggredisce la polizia?

Perché a differenza di Lesbo, qui non ci sono grandi Ong. Non c’è Msf, l’Unhcr non opera direttamente, tutto è amministrato dai militari. E il malcontento degli isolani, eccitati dall’arrivo degli squadroni da fuori, si riversa anche su di loro. Ma non mi sento di incolpare la gente di qui, non è che si sono svegliati all’improvviso neonazisti, sono solo esasperati. Il problema è della politica europea, non della popolazione greca.

Perché c’è bisogno di voi volontari?

Tanto per cominciare i migranti non hanno più accesso gratuito alle visite mediche specialistiche. Un bambino iracheno ha scoperto di essere praticamente cieco solo dopo che lo abbiamo fatto visitare da un oculista. I bambini qui hanno tutti i denti neri per carenza di vitamine. Nei centri viene dato cibo precotto scaduto, senza tracciabilità, né lista di ingredienti. La stessa aggressività degli adulti spesso è causata banalmente dall’assenza di vitamine nel loro organismo.

Avete paura?

Più che impauriti dall’aggressione della destra, siamo delusi dalla reazione dell’Europa ai ricatti di Erdogan. L’Europa deve agire non perché impaurita o minacciata, ma perché consapevole che chi sbarca a Lampedusa non sbarca in Italia, chi sbarca a Chios non sbarca in Grecia: sbarca in Europa.

Si parla molto degli scafisti libici, poco di quelli turchi.

Sono criminali quanto i libici. C’è un disegno chiaro: quelli che scappano dal Medio Oriente prima finiscono nelle mani degli imprenditori turchi del tessile, lavorano nelle fabbriche, anche delle catene di abbigliamento low cost, poi raggiungono il distretto di Çeşme. Lì, chi non ha soldi per la traversata, lascia i familiari in pegno ai trafficanti. Una traversata di 15 minuti in motoscafo costa circa 2mila euro, i ricatti durano anni.

E dall’Africa i migranti come finiscono nella rete dei trafficanti turchi?

Gli africani che arrivano in Grecia sono per lo più nigeriani e somali. Quelli che non passano dalla Libia di solito sono quelli con più disponibilità economica. Una volta arrivati in Tunisia, Algeria e Marocco, prendono un visto di 70 euro, poi un volo per Istanbul, si trasferiscono a Çeşme o a Smirne, e da lì partono insieme agli altri che scappano dal Medio Oriente, chi da guerre, chi da persecuzioni. Selezionare i rifugiati, distinguere tra chi ha diritto a migrare e chi no, non può ridursi a una mera questione di leggi.

Come racimolano il denaro necessario?

Spesso dietro la traversata di un giovane c’è l’investimento dell’intero villaggio, una sorta di crowdfunding, si investe sul ragazzo più giovane e robusto, sperando che arrivi, trovi lavoro, e mandi soldi con MoneyGram o Western Union. Come nelle corse dei cavalli, si punta su quello che può farcela.

*Qui il link per le donazioni all’associazione

Stela Xhunga

da il manifesto