Guidò il massacro a Napoli nel marzo 2001…..e adesso è numero 2 della polizia
- febbraio 28, 2008
- in emergenza, G8 Genova, lotte sociali
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Nicola Izzo, 58 anni, prefetto ed ex-questore di Napoli dove il 17 marzo del 2001 guidò la prova generale della repressione al G8 di GenovaUna nomina decisa da Giuliano Amato su indicazione del capo della Polizia, Antonio Manganelli per sostituire De Sena (candidatosi col Pd)
Sarà un caso, certo. Sarà di sicuro una distrazione di tutti i media, con gli occhi comprensibilmente rivolti alla campagna elettorale. Sarà come si vuole, venerdì scorso la notizia della nomina di Nicola Izzo a nuovo vicecapo della Polizia è stata, per tutti, la tipica non notizia. Cui non dedicare un solo titolo visibile nelle pagine nazionali dei quotidiani. Eppure, è strano. Perché di Nicola Izzo si parlò moltissimo, sei anni fa: prima che fosse trasferito dall’incarico di Questore di Napoli. Come lui stesso aveva pubblicamente invocato quale suo «maggiore desiderio». Non fu trasferito, in realtà: fu promosso, a quel vago incarico di “direzione interregionale”, dall’allora governo Berlusconi. Dall’allora – e sino all’anno passato, dopo il primo anno di governo Prodi – capo della polizia: Antonio De Gennaro. Lui, Izzo, per la verità “sognava” Milano, per ricongiungersi alla famiglia: almeno questa era stata la motivazione che aveva dato pubblicamente. Nelle settimane di aprile e maggio, le più dure per lui: quando cioè la Procura di Napoli aveva indagato cento fra dirigenti e poliziotti, persino arrestandone otto. Tra i quali, appunto, due dirigenti: uno era il famoso Ciccimarra, inquisito poi anche a Genova per i fatti della scuola Diaz, la «macelleria messicana» – parola del vicecapo dei “celerini” del primo reparto mobile, Michelangelo Fournier.L’azione della Procura napoletana era stata lanciata con una serie impressionante di reati contestati: fra i quali uno solo era il sequestro di persona, l’unico poi derubricato nelle vicissitudini dell’indagine. Gli altri, gravi reati erano l’anticipazione di quanto, precisamente, anche a Genova sarebbe stato contestato ad altri poliziotti e ben altri dirigenti: per l’irruzione-massacro della notte del 21 luglio 2001. E per le sevizie di Bolzaneto.L’indagine napoletana era, invece, per qualcosa che aveva preceduto l’insanguinato G8 genovese. Anzi, che l’aveva anticipato. Ossia quel 17 marzo 2001: giorno del “Global Forum” contestato dal simmetrico forum “NoGlobal”. Un tratto percorso dal fiume, allora in piena, di quello che, in seguito, sarebbe stato definito il movimento altermondialista; e che aveva fatto già il suo exploit planetario a Seattle, bloccando il vertice dell’organizzazione mondiale per il commercio, il Wto. Un movimento che col primo Foro sociale mondiale a Porto Alegre, in Brasile, stava costituendo quella “potenza globale” alternativa che avrebbe preso anche la forma del movimento contro la guerra. Un movimento che si preparava, da ogni città italiana e da mezzo mondo, a contestare gli Otto Grandi convocatisi per il successivo luglio a Genova. E vi si preparava contando su esperienze ancora fresche di pochi anni. Esperienze che non avevano ancora conosciuto una repressione frontale. Quel giorno, il 17 marzo, nell’occasione di un appuntamento “minore”, al termine d’una manifestazione relativamente “piccola”, la conobbero.La repressione si abbatté su Piazza Municipio, in un crescendo di violenza rapidissimo, appena la “testa” del variopinto corteo NoGlobal, fornita di improvvisate “autoprotezioni”, inscenò un’altrettanto improvvisata “sfida”, un contatto fisico, con lo schieramento di forze dell’ordine in assetto antisommossa che presidiava un’invenzione inedita: la zona proibita a “difesa” del Forum ufficiale, la “zona rossa”.Ci furono incidenti, una manciata di secondi di baruffa. Poi, fu nient’altro che una serie ininterrotta di cariche senza distinzione di manifestanti e passanti, senza risparmio di gas lagrimogeni, manganellate, costizione di “sacche” di contestatori e non massacrati sui marciapiedi, sui recinti dei cantieri intorno al Castello Angioino e poi, via via, per ore, in tutto il centro storico di Napoli. Il peggio, però, doveva ancora venire: arrivò a sera, di notte e dove nessuno avrebbe potuto crederlo possibile.Il peggio di una repressione che annunciava quella ancora peggiore nella quale a Genova ci sarebbe anche “scappato il morto”, Carlo Giuliani ucciso in Piazza Alimonda da un proiettile di Stato (deviato da un sasso metafisico, come da sentenza d’archiviazione per quell’omicidio senza giustizia), a Napoli il 17 marzo arrivò nelle sale di pronto soccorso degli ospedali. Dov’erano ricoverati tanti dei feriti nella caccia all’uomo della giornata. Erano stati 200, i feriti. E decine, un centinaio anzi, la stessa polizia andò a prenderli nei letti, nelle brandine delle corsie ospedaliere. Per tradurli nel designato «centro di raccolta» dei «fermati» perché «individuati tra i violenti» cui l’autorità pubblica addossò, sul momento, la responsabilità degli scontri. Quel centro era la caserma Raniero.Queste due parole, caserma Raniero, compongono uno dei nomi della vergogna che pesa sullo Stato italiano, come ancora ieri ha ricordato su il Manifesto nel suo editoriale Mariuccia Ciotta, riferendosi al “lager” genovese di Bolzaneto e invitando il candidato premier democratico Walter Veltroni ad un gesto di «scuse» alle «vittime dell’orrore» repressivo per anticipare e sollecitare quelle dello Stato stesso. Ebbene, quanto avvenuto dentro Bolzaneto e che anche i pm genovesi hanno nei giorni appena scorsi ripercorso con la loro requisitoria (altrettanto relegata a non notizia, o quasi: ben diversamente dalla “salomonica” condanna nei confronti dei manifestanti anti-G8, l’unica finora emessa), avvenne già a Napoli, in quel marzo di sette anni fa. Nella caserma Raniero fu sperimentato per intero tutto il repertorio di abusi innominabili che poi colpì l’opinione pubblica internazionale con Bolzaneto, dove vittime furono anche tante e tanti manifestanti non italiani. Nella caserma Raniero la gente “fermata” fu pestata ulteriormente, minacciata di morte, umiliata fisicamente e psicologicamente, costretta a subire intimidazioni sessuali, obbligata ad assistere a inneggiamenti al fascismo o persino ad inscenarle forzosamente. Tutto questo avvenne, nella caserma Raniero. E lo fece la forza pubblica.Il problema è che la Questura stessa mise agli atti, in quella primavera del 2002, che operare i fermi negli ospedali e tradurre i fermati alla Raniero fu un’operazione frutto d’un ordine. D’una disposizione della Questura stessa. Sulla quale, d’altra parte, non si è mai ottenuto l’indicazione d’un responsabile ultimo. Tanto meno in sede giudiziaria. Resta, al di là anzi al di qua dell’ambito penale – e d’ogni formalità – che la Questura c’era. E il questore era, fu Nicola Izzo. Che sei anni fa fu difeso a spada tratta, anche con l’appoggio a incredibili presidi della Questura da parte dei poliziotti “in rivolta”, anche fra minacce pubbliche di morte ai pm dell’inchiesta, dalla destra: da Alleanza Nazionale. E peraltro lui stesso, Izzo, affiliato al sindacato Sap, aveva pubblicamente evidenziato la sua professione politica «di destra».Adesso Izzo è il numero 2 della Polizia di Stato. Appunto, non è questione formale. La domanda è un’altra: qual è l’opportunità politica d’una simile nomina? Sono forse iniziate al Viminale le prove della Grande Coalizione che tutti negano? Comunque, è una non notizia.
fonte: Liberazione
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