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I dati sugli stranieri nelle carceri raccontano una storia diversa da quella che pensiamo

Dietro i numeri si celano complesse dinamiche sociali, economiche e legali che distorcono la realtà

di Anna Toniolo da Facta news

Negli ultimi anni, il dibattito sulla criminalità e sull’immigrazione è stato spesso alimentato da quella che sembra un’equazione fin troppo semplice: più stranieri in carcere significa più crimini commessi dagli stranieri. Un elemento che viene spesso interpretato come una prova generica rispetto alla natura criminale delle persone di origine straniera, alimentando discorsi d’odio e narrazioni razziste. E ciò che accade frequentemente nell’arena pubblica è delineare un’associazione diretta tra immigrazione e criminalità.

In realtà, per comprendere davvero il fenomeno, è necessario andare oltre i numeri assoluti e analizzare il contesto. Dietro i numeri si celano complesse dinamiche sociali, economiche e legali che distorcono la realtà. Infatti, fattori come le condizioni socio-economiche, la maggiore incidenza di misure cautelari per chi non ha una rete familiare stabile e le differenze nei percorsi giudiziari incidono profondamente sulla composizione della popolazione carceraria.

Dati, numeri e percentuali 

Secondo i dati del ministero della Giustizia, aggiornati al 31 gennaio 2025, su una popolazione carceraria di 61.916 persone, i detenuti stranieri nelle carceri italiane sono 19.622, circa il 31,6 per cento del totale. Secondo quanto riportato nel “Dossier statistico immigrazione 2024”, redatto dal Centro studi e ricerche IDOS, si tratta di una percentuale che negli ultimi anni è sempre in lieve calo e «sensibilmente più bassa rispetto a 15 anni fa, quando superava il 37 per cento». Il rapporto spiega che, oltre a essere diminuita l’incidenza degli stranieri sulla popolazione carceraria, nello stesso periodo di tempo è calato anche il loro tasso di detenzione.

Associazione Antigone, che si occupa di garantire diritti e garanzie nel sistema penale e penitenziario, ha riportato nel suo “Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione” che negli anni 2008-2013 gli stranieri detenuti non sono mai scesi al di sotto delle 20 mila unità, mentre dal 2014 il numero totale si attesta sempre sotto questa cifra.

Inoltre, nello stesso rapporto, Antigone mostra come pur crescendo la popolazione straniera libera, è diminuito il numero di stranieri in carcere. Alla crescita della popolazione straniera residente in Italia, infatti – che è passata dal 6,5 per cento di tutti i residenti nel Paese nel 2009 all’8,2 per cento nel 2014 – ha corrisposto una significativa riduzione del numero di stranieri in carcere, con un calo del loro tasso di detenzione dallo 0,61 per cento allo 0,35 per cento (il tasso di detenzione è calcolato dividendo il numero totale dei detenuti stranieri per il numero totale di stranieri residenti in Italia e moltiplicando per 100). E all’inizio del 2024, benché gli stranieri rappresentassero il 9 per cento della popolazione residente, il loro tasso di detenzione è rimasto allo 0,35 per cento. Guardando a questo dato negli ultimi 15 anni si può notare che è calato di 0,26 punti percentuali, nonostante l’aumento di persone di origine straniera presenti Italia, decostruendo l’equazione di natura razzista che associa in modo indissolubile le persone straniere alla criminalità.

Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio nazionale sulle condizioni di detenzione degli adulti di Antigone, ha spiegato a Facta che «posto che la presenza in carcere sia indicativa del tasso di criminalità delle persone straniere, quest’ultimo nel tempo è calato tanto» perché se gli stranieri in carcere sono più o meno sempre gli stessi, il numero degli stranieri fuori dal carcere è aumentato, e questo «significa che la proporzione è scesa». Secondo Scandurra questo, entro certi limiti, è un fatto normale in quanto mano a mano che i processi migratori si consolidano e quindi le persone che vivono in Italia hanno sempre più famiglie e reti di riferimento, «tendono a comportarsi come il resto della popolazione, quindi i tassi di delittuosità calano».

Equazioni fuorvianti e fattori di distorsione

Eppure, nonostante i dati mostrino come non esista un’emergenza criminalità legata alle persone immigrate, ci sono ancora molti contenuti che circolano sui social network che mettono a confronto il numero di persone di origine straniera in carcere e la loro percentuale rispetto al totale della popolazione residente in Italia, provando a dimostrare la loro elevata incidenza. In realtà si tratta di un’equazione fuorviante per diversi motivi.

Secondo Marcello Maneri, professore di sociologia dei processi comunicativi all’università degli Studi Milano-Bicocca, sentito da Facta, ci sono una serie di fattori di distorsione che fanno in modo che gli stranieri siano molto sovra rappresentati nella popolazione carceraria, ma questo in realtà non dice niente rispetto a un loro eventuale comportamento criminale intrinseco.

Maneri ha raccontato a Facta, infatti, che questa narrazione circola da molto tempo e ci sono una serie di fattori che spiegano perché, in realtà, si tratti di un parallelismo scorretto e discriminatorio. Per misurare la criminalità «il dato del carcere è il più sbagliato da utilizzare» ha chiarito Maneri.«Se venissero considerati i dati sulle condanne, ad esempio, avremmo già un iter giudiziario e l’accertamento della commissione del reato», mentre quando si guardano ai dati delle presenze in carcere si fa riferimento anche a una serie di persone che sono detenute in attesa di giudizio, «persone pescate dalla rete del controllo penale di cui, però, non è comprovato alcun tipo di reato» ha aggiunto il professore.

Infatti, nonostante il numero di detenuti in attesa di giudizio sia diminuito negli anni, secondo i dati del ministero della Giustizia, al 28 febbraio 2025 i detenuti che avevano ricevuto una condanna non ancora definitiva erano 5.802, di cui 2.029 stranieri, cioè circa il 10 per cento del totale dei detenuti stranieri (ovvero 19.622). I detenuti in attesa del primo giudizio erano, invece, 9.395, di cui 3.469 stranieri, cioè quasi il 18 per cento del totale di questo gruppo di persone recluse.

Inoltre, secondo Marcello Maneri, un altro dei fattori che influenza i numeri sugli stranieri in carcere riguarda il fatto che esiste un numero non quantificabile di stranieri che si trovano sul territorio senza una regolare posizione amministrativa e che, di conseguenza, non risultano censiti. «Nelle carceri sono presenti molte persone in condizioni di irregolarità» ha chiarito Maneri, «ma le persone in condizioni di irregolarità non sono conteggiate nella percentuale straniera della popolazione italiana». Questo, secondo il professore, altera i numeri utilizzati per giustificare la narrazione secondo cui gli stranieri sarebbero più criminali degli italiani, in quanto «c’è un numeratore che considera tutte le persone in carcere, includendo anche coloro che sono in condizione di irregolarità, e un denominatore che invece non include le persone in queste condizioni nel totale delle persone straniere in Italia» e questo dà inevitabilmente un rapporto sproporzionato rispetto alla realtà. Secondo il “Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione” di associazione Antigone, si tratta di una percentuale intorno al 10 per cento rispetto al totale delle presenze regolari.

Tipologia di reati e accesso alle misure alternative alla detenzione

Un altro elemento da tenere in considerazione, quando si guarda alle persone straniere in carcere, è la tipologia di reato per cui si trovano detenute. «Se si guarda i reati per cui le persone straniere sono in carcere» ha chiarito Alessio Scandurra di associazione Antigone, «si vede che mediamente queste persone sono in carcere per reati meno gravi e per pene più brevi».

Secondo i dati del ministero della Giustizia datati al 31 dicembre 2024, infatti, gli stranieri rappresentano il 28,6 per cento dei detenuti detenuti per violazione della normativa sulle droghe, il 18,7 per cento di quelle detenute per delitti contro l’ordine pubblico, il 31,7 per delitti contro la persona e il 29,3 per delitti contro il patrimonio, cioè quei crimini che danneggiano o violano il diritto di proprietà di una persona, sottraendo, distruggendo o compromettendo beni materiali o economici come furto, rapina o estorsione. La percentuale di stranieri, invece, è molto bassa quando si parla di reati più gravi come l’associazione di stampo mafioso in cui rappresentano circa il 2,4 per cento.

Secondo Marcello Maneri, per decostruire la dicotomia secondo cui le persone straniere sarebbero intrinsecamente più criminali, è importante considerare anche che «gli stranieri possono essere incarcerati per reati che le persone con cittadinanza italiana generalmente non commettono, i cosiddetti crimini legati all’immigrazione». Al 31 dicembre 2024, infatti, più del 91 per cento dei detenuti condannati per reati legati alla “legge stranieri” erano, appunto, di origine straniera. Con questi reati si fa riferimento a violazioni delle normative italiane che regolano la presenza, il soggiorno e i diritti degli stranieri sul territorio nazionale. In particolare, fanno riferimento al “Testo Unico sull’Immigrazione” (D.lgs. 286/1998) e ad altre leggi connesse e includono, ad esempio, ingresso e soggiorno illegale nel Paese, favoreggiamento all’immigrazione clandestina, falsa dichiarazione o uso di documenti falsi.

Inoltre, sempre guardando ai dati forniti dal ministero della Giustizia datati al 31 dicembre 2024, si può notare come i detenuti stranieri siano generalmente condannati per pene più brevi e solo una minima parte riceva condanne che vanno oltre i 20 anni o addirittura l’ergastolo. Solo il 7,5 per cento degli ergastolani è di origine straniera, e al contrario lo è quasi la metà dei detenuti condannati a meno di un anno, cioè il 45,5 per cento del totale e il 42,6 per cento dei detenuti condannati a un periodo di detenzione che va da uno a due anni.

La tipologia di reati per cui sono accusate la maggior parte delle persone straniere e la durata delle pene a loro comminate apre un altro tema importante che riguarda il minore accesso di questa categoria di persone alle misure alternative al carcere. Elemento che aumenta la loro presenza in carcere rispetto a persone con cittadinanza italiana e influenza i dati sulle presenze in carcere. Come ha chiarito associazione Antigone nel suo “Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione”, il fatto che la percentuale di persone straniere tra i detenuti condannati a pene brevi è un segno del loro minore accesso alle misure alternative alla detenzione, rispetto agli italiani. Con il termine “misure alternative o di comunità” si intendono sanzioni e misure che permettono alla persona condannata di restare nella società, ma con alcune limitazioni alla sua libertà come, ad esempio, l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà.

Secondo i dati più aggiornati del ministero di Giustizia, nel 2024 i soggetti in carico agli Uffici di esecuzione penale esterna erano per il 76,9 per cento italiani e solo per il 20,4 per cento stranieri, nonostante questi ultimi fossero il il 45,5 per cento del totale dei detenuti condannati a meno di un anno di carcere. Questi dati, comparati con l’incidenza dei detenuti stranieri (31,6 per cento), sono indice di un loro minore accesso alle misure alternative alla detenzione rispetto agli italiani.

Si tratta di un aspetto cruciale che influenza la presenza di detenuti stranieri in carcere e che, se non preso in considerazione, può essere fuorviante nella lettura dei numeri sulle presenze negli istituti penitenziari italiani.

Ornella Fiore, avvocata e socia dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) ha spiegato a Facta che per le persone straniere «c’è un problema enorme legato all’esistenza di posti in cui stare in misura alternativa alla detenzione per i detenuti definitivi e per chi è in misura cautelare». In poche parole «è chiaro che se una persona non ha una casa, questo riduce di molto le alternative». In più, ha chiarito ancora Fiore, se una persona non ha il permesso di soggiorno, le opzioni sono ancora meno e anche un dormitorio diventa difficile come scelta per le misure alternative. «Ci sono cittadini italiani che commettono reati che determinano un allarme sociale significativo», ha continuato l’avvocata, «ma che in carcere non vanno, anche solo perché hanno una casa» e possono, di conseguenza, scontare la pena in un luogo diverso dal carcere.

Questo significa che a prescindere dalla gravità del reato, più si adottano misure contenitive, più cresce la sovrarappresentazione degli stranieri, visto che per gli italiani resta più facile accedere a percorsi alternativi alle restrizioni del sistema penale.

Oltre a questo, secondo Marcello Maneri, un altro fattore che influenza l’accesso alle misure alternative al carcere è la valutazione del livello di «pericolosità sociale». Secondo il professore, in Italia si vive da circa trent’anni in un clima di allarme sulla criminalità straniera e questo influenza la percezione rispetto al livello di pericolosità sociale delle persone di origine straniera, a cui viene, dunque, consentito meno l’accesso a questo tipo di misure.

Anche l’aspetto demografico è importante 

Un aspetto cruciale da considerare nei dati sulla popolazione straniera in carcere è la questione demografica. Come ha spiegato Alessio Scandurra di Antigone, «la popolazione detenuta in Italia è composta in larghissima maggioranza da uomini, giovani ma non giovanissimi, provenienti soprattutto dalle aree più povere del Paese».

La popolazione carceraria è formata principalmente da giovani uomini in condizioni di povertà, un profilo più comune tra i migranti rispetto alla popolazione generale. Di conseguenza, il tasso di criminalità degli stranieri con queste caratteristiche potrebbe non essere molto diverso da quello degli italiani con lo stesso profilo. Tuttavia, il confronto con la popolazione italiana è distorto: mentre quest’ultima è più variegata per età e condizioni economiche, la popolazione straniera residente in Italia è composta in gran parte da giovani uomini, la categoria più rappresentata nelle carceri. «Stiamo confrontando due popolazioni con profili demografici diversi», ha sottolineato Marcello Maneri, «e quindi con una diversa probabilità di commettere reati e finire in carcere».

La situazione dei minori stranieri

Se la sovrarappresentazione in carcere degli stranieri adulti è elevata, la situazione è ancora più accentuata quando si parla di minori stranieri detenuti negli Istituti penali per minorenni (IPM). Come ha riportato il “Dossier Statistico Immigrazione” redatto dal Centro studi e ricerche IDOS, sebbene tra tutte le persone con meno di 25 anni residenti in Italia gli stranieri rappresentino l’8 per cento, al 15 giugno 2024 quelli in carico dei servizi di giustizia minorile rappresentavano il 23 per cento del totale e, dei 555 ragazzi detenuti negli IPM, quelli di origine straniera erano 266, cioè il 48 per cento.

Questo succede in particolare perché, come ha spiegato l’avvocata Ornella Fiore, «se sei un minore straniero non accompagnato spesso non hai una famiglia o una casa di riferimento, allora vieni messo in carcere o in comunità». Su questo punto, però, l’avvocata ha sottolineato come il numero delle comunità nell’ambito penale non siano molto numerose in Italia e «anche quando viene disposta la scarcerazione, molto spesso i ragazzi si trovano a dover aspettare settimane o addirittura mesi prima che il trasferimento sia possibile». Anche se si ha un provvedimento in tasca che ne dispone la scarcerazione, questa non può avvenire perché non c’è spazio nella comunità di accoglienza.

Secondo Alessio Scandurra «il paradosso del sistema della giustizia minorile riguarda proprio il fatto che in carcere non va necessariamente chi ha commesso il reato più grave, ma chi ha la situazione sociale di provenienza più fragile, per cui è più difficile inserirlo nei percorsi alternativi alla detenzione».

Secondo quanto riportato in un rapporto di associazione Antigone, al 1° gennaio 2023, in Italia c’erano circa 1 milione di minori e giovani adulti stranieri regolarmente soggiornanti (fino ai 24 anni), pari all’8 per cento della popolazione totale in quella fascia d’età, a fronte di 12 milioni di italiani. Tuttavia, i dati della giustizia minorile mostrano una loro sovrarappresentazione: nel 2022, gli Uffici di servizio sociale per i minorenni (Usmm) hanno preso in carico 21.551 giovani, di cui 4.737 stranieri, cioè il 22 per cento.

Nei carceri minorili, questa sproporzione è ancora più evidente: all’inizio del 2023, su 385 giovani detenuti, 193 erano stranieri, oltre la metà. Nel 2023, il totale di giovani stranieri seguiti dagli Usmm è stato 1.627 (21,5 per cento delle 7.556 prese in carico). Al 31 dicembre 2023, la percentuale di stranieri in carico agli Usmm era del 22,4 per cento, confermando un trend costante negli ultimi 15 anni, che diventa più marcato nelle misure detentive.

Sempre secondo Antigone, analizzando i provvedimenti di messa alla prova, una misura aperta e di successo nel sistema minorile, nel 2023 ne sono stati adottati 6.592, ma solo il 20 per cento ha riguardato giovani stranieri. Per le misure cautelari meno afflittive, cioè permanenza in casa e prescrizioni, la quota di stranieri è stata del 28,4 per cento, mentre sono stati più frequentemente destinatari della custodia cautelare in carcere.

Nei Centri di Prima Accoglienza (CPA), strutture di primo ingresso per minori fermati o arrestati, nel 2023 ci sono stati 852 ingressi, di cui 407 di stranieri (47,8 per cento). Anche nelle dimissioni dai CPA emerge una differenza significativa: gli stranieri erano il 25,6 per cento di chi è stato posto in permanenza in casa, il 41,3 per cento di chi è stato collocato in comunità e ben il 66,7 per cento di chi è stato inviato in carcere in custodia cautelare. In sintesi, più la misura è restrittiva, maggiore è la percentuale di giovani stranieri coinvolti.

Oltre i numeri: i fattori sociali che influenzano le statistiche 

Oltre a dati, numeri e percentuali, comunque, alla presenza delle persone straniere in carcere contribuiscono anche alcuni fattori sociali. Secondo l’avvocata Ornella Fiore a livello politico in Italia si è investito nell’irregolarità delle persone, il che significa investire sull’insicurezza di quelle stesse persone, nel contesto in cui vivono. A livello pratico questo significa che «se vengono messi dei limiti al riconoscimento delle protezioni internazionali, o all’accesso alla questura per fare la richiesta d’asilo, per esempio» molte persone non riescono ad accedere a condizioni di regolarità e sono sicuramente più vulnerabili rispetto alla possibilità che qualcuno possa approfittare della loro situazione e coinvolgerle in comportamenti illegali. Al contrario «se si investisse sulla regolarità delle persone, potrebbero cambiare  molte dinamiche» ha continuato Fiore, «perché per esempio se una persona ha un permesso di soggiorno e può lavorare, può avere un contratto d’affitto, e può avere in modo regolare una serie di cose, allora probabilmente sarà meno esposta a determinati comportamenti illegali».

Inoltre, quando si guarda ai numeri delle persone straniere in carcere, non si può non considerare la dinamica della profilazione razziale, che consiste nel prendere di mira individui o gruppi specifici di persone in base alle loro caratteristiche e senza un motivo giustificato, come avevamo spiegato anche in questo articolo pubblicato su Facta. In Italia, il 71 per cento della popolazione immigrata o afrodiscendente ritiene di esserne stata vittima almeno una volta.

Nel luglio 2023, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) aveva chiesto al Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione delle discriminazioni razziali (Cerd) di raccomandare all’Italia misure efficaci contro la profilazione razziale. Il 31 agosto, il Cerd aveva accolto questa richiesta, invitando il governo italiano ad adottare interventi necessari per rispettare la Convenzione contro le discriminazioni razziali.

Il 22 ottobre 2024, la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri) ha pubblicato il suo sesto rapporto sulle raccomandazioni all’Italia in materia di diritti umani. Nel documento si denuncia la persistenza di violenza sistemica e profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine, che colpiscono soprattutto persone di etnia Rom e persone nere di origine africana. L’Ecri ha invitato l’Italia a svolgere un’indagine indipendente per esaminare e contrastare queste pratiche discriminatorie.

A causa della diffusione di questa pratica «le persone appartenenti a minoranze che sono visivamente riconoscibili, sono più facilmente profilate dalle polizie» ha commentato Marcello Maneri, aggiungendo che «i reati commessi in strada, legati principalmente ai mercati illegali — come il traffico di sostanze stupefacenti o la prostituzione — sono più facilmente individuabili dalle forze dell’ordine». Di conseguenza, conclude il professore, questi reati sono oggetto di una maggiore attività di controllo e intervento, «aumentando così la probabilità che chi li commette venga arrestato e incarcerato».

È chiaro quindi che i dati, i numeri e le statistiche sulle persone straniere detenute nelle carceri italiane raccontano una storia complessa, che non può essere ridotta a equazioni semplicistiche o letture affrettate. Dietro ogni cifra si nascondono dinamiche sociali, economiche e giuridiche che richiedono un’analisi approfondita e contestualizzata. Ignorare questi fattori significa rischiare di alimentare narrazioni distorte, che contribuiscono a rafforzare stereotipi e pregiudizi. Affrontare il tema con superficialità, limitandosi a statistiche decontestualizzate, non solo è inaccurato, ma anche irresponsabile e discriminante.

 

 

 

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