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Il 41bis e la voglia di forca

Si sarà mostrato severamente accigliato, il Ministro della giustizia, mentre dal palco di un talk-show politico di tarda estate, rispondeva alla notizia dell’azione di “recupero crediti” intentata da Giovanni Brusca nei confronti di certi suoi fiduciari, ai quali avrebbe affidato, durante la latitanza, parte delle sue ricchezze. La Procura di Palermo gli contesta il riciclaggio e l’estorsione. Non poco per un condannato per fatti di mafia, autore e mandante di reati efferati, dalla strage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone, allo scioglimento nell’acido del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Per commentare una notizia così clamorosa, il Ministro avrà pensato che servisse una dichiarazione altrettanto clamorosa e, corrugando la fronte, non avrà deluso le aspettative del suo pubblico politico-vacanziero: «abbiamo reso durissimo il carcere duro. E nel carcere duro ci stanno tutti i boss che le fiction e i Tg hanno reso famosi, tutti stanno al carcere duro e quegli ergastoli noi non li intiepidiremo mai e moriranno là». Un occhio al celodurismo leghista, uno alle polemiche del premier contro le fiction che fanno male all’immagine dell’Italia e poi giù contro gli ergastoli tiepidi: «moriranno là».
Forse non hanno spiegato all’accigliato Ministro che– nonostante le sue continue modifiche celoduriste – il 41bis continua a giustificarsi solo come misura di emergenza, legata alla sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, per impedire che si manifestino in direttive agli affiliati esterni: il cosiddetto “carcere duro” non è una pena speciale per autori di reati speciali.
E poi sull’ergastolo: forse al Ministro non hanno spiegato che – nonostante una giurisprudenza involutiva – la finalità rieducativa della pena iscritta nell’art. 27 della Costituzione riguarda tutti i detenuti, qualunque reato abbiano commesso, e dunque lui non può permettersi di prospettare a nessuno l’eventualità di morire in carcere, dovendo – al contrario – l’Amministrazione penitenziaria che da lui dipende operare in senso diametralmente opposto, non solo cercando di evitare lo stillicidio di morti volontarie e involontarie che pure accadono nelle carceri italiane, ma anche lavorando alle concrete possibilità di reinserimento di qualsiasi detenuto.
Infine, al Ministro avranno dimenticato di dire che Brusca non è un detenuto al 41bis, ma un collaboratore di giustizia, protetto dallo Stato. Per questo gode dei permessi premio e forse anche per questo si preoccupa del “recupero crediti” che gli viene contestato. Non che si debba rivedere in senso celodurista la legge sui pentiti, ma almeno si eviti di fare confusione e di fomentare nella pubblica opinione la voglia di forca: il passo successivo alla promessa di far morire qualcuno in carcere.
 
Stefano Anastasia da Terra News