Il business delle intercettazioni: ci costano 200mln di euro l`anno
- dicembre 01, 2014
- in emergenza, malagiustizia, malapolizia
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Un giro di affari da milioni di euro l`anno, una rete di società private e multinazionali che effettuano servizi di intelligence per conto delle Procure. Parliamo del business delle intercettazioni. Secondo i dati ufficiali messi a disposizione dal vice ministro della Giustizia Costa, nel 2013 sono stati spesi oltre duecento milioni di euro per le intercettazioni su un totale di 141mila utenze intercettate. Sono dati che confermano un altro triste primato per l`Italia: siamo l`unico Stato democratico che effettua il maggior numero di intercettazioni rispetto alle altre democrazie moderne.
I costi delle intercettazioni sono quadruplicati rispetto al passato da quando non sono più appannaggio delle forze dell`ordine, ma di società private.
Complessivamente, il mercato delle intercettazioni telefoniche, assorbe intorno ai cento milioni di euro. Il resto dei costi se ne va nell`altro grande capitolo della spesa: le intercettazioni ambientali.
Migliaia sono le microspie prese a noleggio dalle forze dell`ordine dalla miriade di società private che gravitano in questo settore, perché non in loro possesso.
A spartirsi la torta non sono solo i quattro operatori telefonici wind, tim, vodafone e tre, bensì una quantità di agenzie private specializzate nel settore, che operano su appalto delle Procure. Sono un centinaio di agenzie in tutta Italia e forniscono ai magistrati il servizio completo: dal “chiavaro” che riproduce fedelmente la chiave di un appartamento, di un auto o di un ufficio al tecnico che piazza la “cimice”, al noleggio della microspia, al registratore digitale che incide le conversazioni.
Le frontiere tra intercettazioni telefoniche e ambientali sono saltate: oggi quasi tutte le microspie hanno incorporata una scheda sim collegata a una linea telefonica.
Il sistema più usato dalle Procure per l`intercettazione è il sistema Mcr: una sorta di grande orecchio che consente la registrazione, l`analisi e la gestione di contenuti provenienti da qualsiasi fonte, che sia telefonica o telematica.
Tutte queste montagne di informazioni sensibili vengono gestite interamente da archivi informatici gestite dai privati: le centrali informatiche di queste società possono controllare visivamente l`intero sistema e intervenire su eventuali mal funzionamenti del sistema, correggendone l`errore. Quindi in buona sostanza le società private hanno accesso all`intero pacchetto dei dati intercettati.
Si apre quindi uno scenario che alimenta quell`area grigia del sistema informatico e telefonico legato alle intercettazioni: se le società di telefonia agiscono sempre sotto la richiesta formale degli inquirenti istituzionali, è pur vero che basta un “gancio” all`interno di esse per poter effettuare le intercettazioni al di fuori del controllo del magistrato, cioè illegalmente.
Parliamo di privati, e quindi può capitare che le stesse società che lavorano per le Procure, nello stesso tempo lavorano anche per le dittature sanguinarle.
In una inchiesta condotta dalla giornalista dell`Espresso Giovanna Locatelli, siamo venuti a conoscenza che nel dicembre del 2008 il debito maturato dallo Stato italiano nei confronti di tre società che lavorano nel settore delle intercettazioni era arrivato a 140 milioni di euro. Si trattavano di Research Control Systems, Area Spa e Sio Spa. Ditte lombarde che gestiscono nella Penisola oltre il 70 per cento del mercato delle intercettazioni telefoniche e ambientali.
Il debitore, lo Stato, era anche il loro unico cliente. È allora che Area spa si affaccia al mercato estero, cercando nuovi contratti di lavoro. Nel 2009 vince una gara d`appalto internazionale con la Siria di Assad, indetta dal gestore telefonico statale – e principale operatore – Syrian Telecommunication Establishment.
Il contratto stipulato riguardava le intercettazioni delle e-mail e del traffico su Internet nel Paese Mediorientale.
L`accordo vale 13 milioni di euro circa. Per il progetto, altamente invasivo e complesso, si utilizzarono hardware e software provenienti da altre tre società occidentali: la californiana Net App Inc., la francese Qosmos SA, e la tedesca Utimaco Safeware. Ognuna delle quali leader, a livello internazionale, nel settore della sorveglianza elettronica. Nel 2010 gli ingegneri informatici italiani erano al lavoro per la Siria e nel febbraio 2011 arrivarono a Damasco gli equipaggiamenti elettronici.
Il mese dopo iniziò la rivoluzione siriana con tanto di repressione e il 30 marzo ingegneri e tecnici della società tricolore si trovarono a Damasco per far funzionare il sofisticato macchinario. Qualcosa però andò storto grazie all`inchiesta giornalistica dell`agenzia americana “Bloomberg”: scoperchiò gli accordi e rivelò tutti i dettagli e i retroscena relativi al progetto. Compresa la presenza degli ingegneri italiani a Damasco durante la repressione di Bashar Al Assad contro i civili. A questo punto le compagnie Qosmos e Ultimaco fecero un passo indietro, dichiarando di abbandonare il progetto. Nell`ottobre 2011 anche il rapporto tra Area spa e la Siria saltò per gli stessi motivi. Area non è stata l`unica società italiana ad aver collaborato con i Paesi “caldi” del vicino Oriente. La società con sede a Milano, Hacking Team, era attiva arich`essa in Medio Oriente e Africa durante le rivoluzioni della “primavera araba” e vide in quella Regione un`importante fetta del suo mercato, come emerge dal bilancio dell`azienda chiuso il 31 dicembre 2010. Nel documento si legge: «Dopo la chiusura dell`esercizio sono avvenuti i seguenti elementi rilevanti: è stato completato l`inserimento di un commerciale dedicato per l`area Middle East e Africa nel mese di gennaio (2011), e al contempo sono state avviate le attività di ricerca di due sviluppatori e un addetto pre-sales entro il 2011». Questo non significa necessariamente che siano stati intrecciati rapporti con qualche dittatura: ma, se fosse, non è dato saperlo.
Il ministro Orlando per ora dovrà risolvere il problema del costo sulle intercettazioni. Dalla relazione sullo stato delle spese di giustizia trasmessa al Parlamento, si evince che nel 2013 il Ministero della Giustizia ha speso 237 milioni di euro per le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, accumulando un debito di circa 35 milioni rispetto ai 201.801.120 disponibili. Inoltre sempre secondo la relazione – nel primo quadrimestre del 2014 gli uffici giudiziari hanno sostenuto una spesa di circa 85 milioni di euro, a fronte di uno stanziamento di bilancio che per l`anno in corso è stato fissato in 189.801.120 euro, anche se si presume che alla fine la spesa arriverà circa 235 milioni. Per far fronte a questi problemi, il ministro Orlando nella suo atto di indirizzo politico-istituzionale per l`anno 2015 propone «sempre nell`ottica della razionalizzazione e trasparenza della spesa» di completare in tempi brevi «la procedura per l`indizione di una gara unica nazionale per i servizi tecnici in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali».
Ma il dibattito rimane aperto. Anche perché, come spiega ancora la “Relazione sullo stato delle spese di giustizia” trasmessa al Parlamento, nonostante il parziale sblocco dei pagamenti, il ministero della Giustizia nel solo 2013 è stato oggetto di ben 89 nuovi decreti ingiuntivi, «la maggior parte causati dal mancato pagamento delle spese connesse all`attività di noleggio di apparecchiature per intercettazioni telefoniche». Il Governo si trova di fronte a un campo minato tra la forte opposizione dell`Associazione nazionale magistrati e le lobby delle intercettazioni.
Damiano Aliprandi da Il Garantista