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Il «crime deal» italiano

All’inizio di dicembre 2008 il totale dei detenuti in Italia è quasi lo stesso di prima dell’indulto, cioè circa 59 mila, con una percentuale sempre in crescita degli stranieri soprattutto al nord mentre al sud prevale la criminalizzazione dei locali spesso considerati come affiliati alle mafie anche quando si tratta di semplici piccoli delinquenti, di manifestanti contro le discariche di rifiuti tossici o degli ultrà napoletani dell’accusa-bufala di assaltatori di treni e stazioni. I forcaioli dicono che l’indulto è stato una catastrofe perché la maggioranza dei beneficiari è stata re-incarcerata, ma nessuno dice che questo è il risultato prevedibilissimo dell’assenza quasi totale di assistenza a chi esce dal carcere che però è sempre preda facile per quegli agenti di polizia a caccia dei soliti noti per mostrare quanto sono produttivi. I maschi stranieri hanno la chance di finire in carcere cinque volte di più degli italiani, ma in realtà i più perseguitati sono gli algerini (27 volte), i tunisini e i nigeriani (18 volte), i marocchini (11 volte); se poi si fa il confronto fra gli italiani meno repressi (soprattutto i padani) e gli altri si scopre che gli stranieri sono incarcerati 16 volte più dei primi e i «terroni» da 4 a 8 volte. L’escalation della criminalizzazione degli stranieri è cominciata dopo la Turco-Napolitano ma ha avuto un continuo crescendo col governo Berlusconi del 2001-2005, una forte accelerazione dopo la Bossi-Fini e ora con la gestione Maroni e i sindaci-sceriffi (di destra e di sinistra). Come mostra la serie storica dei dati statistici dal 1990 a oggi, la cosiddetta criminalità di strada come quella grave non è affatto aumentata, anzi i reati gravi sono notevolmente diminuiti nonostante l’esasperazione dell’azione repressiva e la collaborazione attiva dei cittadini zelanti. Così in quasi vent’anni di ascesa della «tolleranza zero» a fronte di una diminuzione dei reati si è avuto un aumento del 127 per cento dei detenuti (400 per cento circa per gli stranieri e circa l’80 per cento per gli italiani: dopo la Bossi-Fini c’è stata una diminuzione degli italiani -tranne i «terroni» – e un forte aumento degli stranieri che ora rischiano di diventare la maggioranza dei detenuti, «obiettivo» già raggiunto al centro-nord). Fra gli aspetti più vigliacchi di questa persecuzione razzista si nota il continuo aumento degli arresti per immigrazione irregolare, per reati tipicamente da poveri (piccoli furti, ricettazione che in realtà è solo possesso di qualche merce di origine non certificata – dal cd a qualsiasi banale merce delle economie sommerse … come dire che buona parte di tutti gli italiani potrebbero essere imputati di ricettazione in un paese col 30 per cento di sommerso).Ricordiamo che il ministro dell’interno del governo Prodi, Giuliano Amato, aveva apertamente dichiarato che avrebbe seguito «l’esempio della tolleranza zero di Giuliani» e l’allora sindaco di Roma, Walter Veltroni, dopo l’assassinio di una donna da parte di uno squilibrato rumeno/rom aveva invocato l’espulsione di 200 mila rumeni provocando la protesta della stessa Commissione europea e del Parlamento di Strasburgo. La prima bozza del «pacchetto sicurezza» è stata pensata dai signori del centro-sinistra e il precedente risale al governo D’Alema (1999) e all’«apologia dell’ordine pubblico» invocata da Luciano Violante sin dal 1996 (su Micromega).E’ quindi del tutto logico che se il centro-sinistra ha «fatto dieci», la destra si senta in diritto e in dovere di «fare 100». Non solo perché la campagna elettorale è stata vinta dalla Lega a colpi di incitamenti all’accanimento razzista contro zingari, immigrati, terroni delinquenti e «barboni che pesano sulle finanze pubbliche». Ma anche perché il modello neoconservatore americano del crime deal (vedi J. Simon, Il governo della paura, Cortina, 2008) entusiasma il popolo delle ronde, i militanti della tolleranza zero anche «di sinistra», i sindaci-sceriffi di quasi tutte le giunte italiane, sondaggisti, giornalisti, assicurazioni, dirigenti di polizie pubbliche e private famelici di rapide carriere, e ancor di più imprenditori e commercianti che vendono sistemi di sicurezza di ogni genere (vedi Un mondo di controlli, «conflitti globali” 5/2007 e, prossima pubblicazione, Il Crime Deal europeo).Il decreto sicurezza fortemente voluto dal ministro Roberto Maroni e dai vari fascisti e razzisti (e non solo nella maggioranza) provocherà certamente conseguenze ben prevedibili. C’è infatti da aspettarsi non solo un nuovo forte aumento delle incarcerazioni di stranieri e anche di marginali italiani, ma anche una stretta autoritaria generalizzata (si pensi alla possibile applicazione discrezionale/arbitraria del divieto di manifestazione) e soprattutto un’ondata di violenze se non di veri e propri progrom. L’istituzionalizzare delle ronde o la legittimazione dell’agire libero dei militanti della tolleranza zero non troverà forse assai facilmente abbastanza coperture fra i dirigenti e gli agenti delle polizie sensibili alla causa autoritaria razzista? E’ questo il pericolo più grave da prevedere. E è rispetto a questo che sarebbe necessaria una forte mobilitazione antifascista e antirazzista a cominciare da gruppi militanti che in ogni città siano particolarmente vigilanti, in grado di dare protezione alle potenziali vittime, in grado di fare seria controinformazione ma anche azioni di contrasto efficace.E’ infine probabile che l’ulteriore squilibrio fra prevenzione sociale, prevenzione di polizia, repressione, penalità e reintegrazione sociale a favore della sola risposta repressivo-penale, accresca ancora di più la marginalizzazione estrema e le morti di esclusi per strada come nei luoghi di internamento (immigrati nei Cpt, carcerati, tossicodipendenti rigettati nelle strade da Sert che non funzionano perché il personale è stato totalmente precarizzato e sopravvive lavorando per le comunità private che «curano» solo chi ha i soldi). Da parte loro, le polizie locali, distratte dai loro compiti istituzionali e dirottate sempre più nella persecuzione dei nemici di turno, controlleranno sempre meno le costruzioni abusive, la tutela dell’ambiente e lo smaltimento dei rifiuti, le aree delle economie sommerse, a tutto beneficio delle ecomafie del nord e del sud e del rischio di aumento di infortuni sul lavoro e malattie professionali direttamente o indirettamente connessi con l’inquinamento e la produzione e commercializzazione di merci nocive. Allora, non è ormai sin troppo evidente che la resistenza antifascista e antirazzista non è solo una questione di difesa dei diritti fondamentali degli immigrati ma una questione di sopravvivenza di tutti (quelli che non hanno potere)?
Salvatore Palidda