Sembra una narrazione letteraria dall’esito tragico la vicenda di cui scrivo: riferita a suo tempo dalla Rete Diritti in Casa, un collettivo di Parma che si batte per il diritto all’alloggio, nonché da alcune testate online di sinistra, poi raccolta e rilanciata dall’agenzia Agi e dal quotidiano Avvenire; non già da altri media di rilievo nazionale.
IL PROTAGONISTA, Egidio Tiraborrelli, era nato nel 1937 a Casalbordino, in provincia di Chieti. Da bambino rimase gravemente ferito al capo a causa dell’esplosione di una mina ch’era destinata a distruggere un carro armato tedesco. Più tardi, a 16 anni, dové emigrare in Argentina via nave, con la madre, un fratello e una sorella, per raggiungere il padre e il fratello maggiore, che si erano stabiliti lì da alcuni anni.
Dopo decenni in giro per il mondo come operaio saldatore per la Snam e la Saipem, rientrò in Italia, finendo poi a Parma per farsi curare: aveva un tumore ai polmoni ed era reduce da un intervento al cuore. Avendo una pensione così modesta da meritare un assegno integrativo, dapprima è ospite di una famiglia marocchina, in un alloggio minuscolo, poi della Caritas, più tardi, nel 2015, entra in contatto con la Rete, che gli consente di parcheggiare stabilmente la sua roulotte nel cortile di uno degli edifici occupati, quello di via La Spezia.
In quell’ambiente egli s’integrò a tal punto da coltivare un piccolo orto, creato da lui stesso, i cui prodotti soleva offrire agli altre/i occupanti, con cui intratteneva relazioni di amicizia, di solidarietà, di scambio reciproco. Il che lo aiutava a sopportare con coraggio i tanti malanni che lo affliggevano, esito di una vita tanto intensa quanto dura e difficile. Pochi mesi prima del finale tragico della sua vicenda, aveva subito un’operazione all’aorta, anch’essa affrontata con forza d’animo, perfino con senso dell’ironia.
Ciò nonostante, il 18 dicembre del 2018 viene prelevato dal piccolo alloggio popolare, ove si era trasferito da tre mesi, e condotto nel carcere di Parma. Solo al momento dell’arresto apprende che nel 2017 il tribunale di Ancona lo aveva condannato in contumacia, con sentenza definitiva, per un delitto di solidarietà compiuto nel 2012: viaggiando in traghetto dalla Grecia all’Italia, aveva consentito – o almeno non impedito – a una persona «extracomunitaria» di nascondersi nel suo furgone, permettendole così di violare i sacri confini della patria, da cui sarà prontamente espulsa.
È QUEL REATO che il diritto penale del nemico e dei suoi presunti complici – si potrebbe dire – definisce «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina»: di fatto utile a criminalizzare ogni forma di aiuto verso chi tenti di raggiungere o raggiunga effettivamente il nostro Paese, oppure vi risieda «irregolarmente»: anche se si tratta di azioni guidate unicamente da spirito di solidarietà e altruismo. È un reato considerato particolarmente deplorevole, tanto da essere annoverato tra quelli ostativi: chi è condannato/a non può beneficiare né della sospensione dell’ordine di carcerazione, né di misure alternative alla detenzione.
PERCIÒ Egidio, pur essendo in età tanto avanzata e in uno stato di salute sempre più grave, resterà in prigione per quasi nove mesi, in condizioni alquanto difficili: per dirne una, il carcere di Parma era dotato di un unico respiratore a ossigeno, che i detenuti infermi erano costretti a usare a turno.
Oltre tutto, tra le conseguenze della condanna v’era la sospensione della pensione e l’obbligo della restituzione di quel che aveva percepito. Infine, la sua avvocata riuscirà a ottenere per lui la detenzione domiciliare, ma solo nella forma di ricoveri temporanei, quando necessari, nella struttura sanitaria del carcere. Nel corso di uno di questi, Egidio si aggrava: muore il 6 settembre 2019.
LA SUA VICENDA illustra in modo tragicamente esemplare almeno tre questioni importanti e assai attuali. Anzitutto il fatto che – come dicevamo un tempo – la giustizia sia tuttora giustizia di classe, tendente a mostrare il suo volto più severo, se non feroce, verso i più poveri e/o vulnerabili.
In secondo luogo, sembra predominare una concezione della pena carceraria quale crudele punizione, tale da poter essere inflitta anche a persone anziane, perfino gravemente malate; e ciò in palese violazione della Convenzione europea dei diritti umani, della nostra Costituzione, della stessa legislazione italiana.
L’art. 47 ter della legge sull’ordinamento penitenziario prevede, infatti, la detenzione domiciliare per chi, condannato a una pena carceraria, abbia compiuto settant’anni o sia in condizioni di salute particolarmente gravi.
Infine, al centro di questa storia angosciosa è il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che, come si è detto, essendo considerato ostativo, non contempla misure alternative alla detenzione, salvo che il condannato soffra di gravi problemi di salute. Un tale reato – lo sappiamo bene – consente ad autorità e politici di compiere le peggiori nefandezze, a cominciare dalla criminalizzazione delle Ong impegnate in operazioni umanitarie di ricerca e soccorso in mare; contribuendo così, e notevolmente, a ciò che più volte abbiamo definito tanatopolitica.
GRAZIE all’esistenza di un tale reato, perfino gli atti di solidarietà più ovvi e spontanei – come quelli dettati dal dovere morale di «dar da mangiare agli affamati» – spesso cadono sotto la scure della repressione, com’è accaduto più volte e continua ad accadere anche in Italia, soprattutto in aree di confine.
DI QUESTO e d’altro, si discuterà a Parma, il 25 gennaio 2020, dalle ore 16, presso la Casa Cantoniera Autogestita (via Mantova, 24), in un incontro in memoria di Egidio Tiraborrelli.
(Devo le informazioni sulla biografia di Egidio al fratello Amedeo e a Filippo Adorni, detto Ado, attivista della Rete Diritti in Casa.)
Annamaria Rivera
da il manifesto