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Il diritto penale dell’amico e destra eversiva

Dopo settimane di incontri e analisi sul d.d.l. Sicurezza possiamo dire che c’è un elemento di preoccupazione preminente: è in atto un tentativo di rivoluzionare/ridefinire il rapporto autorità – cittadino. Il progetto politico si attua con l’utilizzo strumentale della legislazione penale che molti osservatori hanno incasellato nel populismo, nel panpenalismo e nel diritto penale del nemico. A queste categorie va aggiunta quella del diritto penale ‘dell’amico’, reso evidente dalla volontà di porre le forze di Polizia al di sopra di tutto e tutti.

Nel provvedimento ci sono delle vere e proprie regalie che vengono fatte alla categoria: l’avvocato pagato (fino a 40 mila euro) e il permesso di girare armati nel tempo libero senza licenza. Tuttavia questi elementi, che appartengono ad una concezione lobbistica di bassa e poco degna politica, sono ben poca cosa rispetto allo stravolgimento sanzionatorio introdotto dalla riforma. Ben inteso: tutti sappiamo che le forze dell’ordine abbisognano in ogni ordinamento di una più intensa tutela in virtù della finalità del loro agire. Il dato non era però certo sfuggito al governo Mussolini prima che a quello Meloni.

Con il codice Rocco (in vigore da quasi un secolo) già allora il regime aveva normato rendendo le eventuali aggressioni / lesioni ad un pubblico ufficiale reato ben più grave rispetto alla stessa condotta tra cittadini. Basti pensare che la condotta di resistenza in concorso —solitamente contestata nell’ambito delle manifestazioni di protesta— ha una pena base che parte da tre e arriva fino a quindici anni di reclusione. In altre parole, non si sentiva certo l’esigenza di un intervento di inasprimento, anzi: il corso giuridico del ‘900 è andato in direzione ovviamente opposta rispetto al pregresso regime, improntato ad un severo autoritarismo connaturato al regime sicuritario.

L’opera del legislatore e della Corte costituzionale in tal senso è chiarissima. Nel 1994 veniva per esempio abolito il minimo pena di mesi sei per l’oltraggio a pubblico ufficiale. A prescindere dalla successiva complicata vicenda di questo reato, è qui di interesse rilevante quanto scrisse la Corte sulla sanzione dell’oltraggio: «non è consona alla tradizione liberale italiana né a quella europea. Questo unicum, generato dal codice penale del 1930, appare piuttosto come il prodotto della concezione autoritaria e sacrale dei rapporti tra pubblici ufficiali e cittadini tipica di quell’epoca storica e discendente dalla matrice ideologica allora dominante, concezione che è estranea alla coscienza democratica instaurata dalla Costituzione repubblicana, per la quale il rapporto tra amministrazione e società non è un rapporto di imperio, ma un rapporto strumentale alla cura degli interessi di quest’ultima».

Ed ecco che nel 2024 si vuole sovvertire l’impostazione che vede il rapporto cittadino – autorità paritario e frutto di un percorso di allontanamento dalla concezione autoritaria. Viene introdotta un’aggravante (non bilanciabile con le attenuanti) per gli atti di resistenza a pubblico ufficiale se destinataria è la Polizia (o le altre forze di sicurezza). Quindi, atti di violenza rivolti ad altri pubblici ufficiali —per esempio contro i giudici— saranno considerati meno gravi. L’aggravante specifica va letta con la nuova figura di lesione ad un agente in servizio. La norma prima riservata (recente riforma) agli stadi è ora estesa a tutti i contesti e chiunque causerà delle lesioni anche leggerissime (cosa che capita sovente nelle manifestazioni al termine delle quali molti agenti refertano lesioni anche di due/tre giorni) si vedrà indagato per un reato punito con una pena dai due ai cinque  anni di carcere. Rispetto alle lesioni lievissime ante riforma, il minimo pena non è stato raddoppiato e nemmeno triplicato, ma quadruplicato (e se le lesioni causate sono più gravi si va dagli otto ai dieci anni). Il diritto penale dell’amico invade altre parti del c.d. d.d.l. Sicurezza: se un inquilino diventa occupante abusivo (es. per morosità incolpevole) e si rifiuta di lasciare casa, il contenzioso —prima di natura squisitamente civilistica— vede il passaggio dal magistrato al manganello con la procedura autorizzata di sgombero della forza pubblica in 48 ore.

La parte più indegna del progetto sovversivo rispetto al rapporto cittadino autorità di sicurezza si realizza però in danno dei soggetti reclusi. Con l’introduzione del reato di rivolta carceraria attuabile anche solo con la resistenza pacifica si toglie ogni forma di possibile manifestazione di dissenso; in un contesto che vede un’emergenza opposta si lancia un messaggio chiaro: suicidatevi (già più di 80 i suicidi nel 2024).

La polizia penitenziaria ha oggi in Italia in corso 10 procedimenti per torture avvenute all’interno degli istituti di pena e la riforma che spezza il dissenso, anche minimo, interno agli istituti sembra fatta di proposito per ricompensare la categoria. Del resto, tutti ricordiamo la presenza dell’attuale sottosegretario alla giustizia Andrea Delmastro davanti al carcere di Santa Maria Capua Vetere dopo la mattanza dei detenuti per cui sono ora a processo gli agenti cui espresse solidarietà… un caso? No… è il diritto penale dell’amico.

Giuseppe Romano – Giuristi Democratici

 

 

 

 

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