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Il giornalismo che giustifica le violenze e torture di polizia e alimenta il razzismo

Perché l’Italia razzista di giornalacci e politica non chiede scusa e ha messo alla gogna gli amici di Ramy. Di fronte al video che inchioda i carabinieri alle loro responsabilità giornalacci e giornaloni nostrani non hanno fatto una piega. Il complesso di superiorità bianco impedisce di fare mea culpa, dopo mesi di latrati contro l’islamizzazione.

di Luca Casarini da l’Unità

Alla fine non chiedono mai scusa. Non stiamo parlando dei carabinieri, visto che il caso è quello dell’omicidio, per dolo eventuale, volontario, o non intenzionale, o per eccesso di zelo, fate voi, di Ramy Elgaml, 19 anni, di Corvetto, Milano, morto in una notte come tante a causa di un inseguimento folle e di uno speronamento da parte di una gazzella dei CC.

A non chiedere scusa sono i giornalacci e giornaloni, che dopo i moti di protesta dei giovani di Corvetto, che chiedevano “verità e giustizia”, hanno subito bollato come “strumentalizzazione violenta” quella presa di parola collettiva. Eh sì, perché come prima cosa, in un paese civile veramente, ci sarebbe adesso da scrivere titoli a nove colonne con la parola “SCUSATE”. Avevano ragione loro, che hanno rovesciato i cassonetti in mezzo alle strade del quartiere dove sono nati e cresciuti, figli di genitori migranti che dopo vent’anni sono più italiani di Briatore, che la residenza ce l’ha a Montecarlo.

Giornalacci e giornaloni, su questo, si esercitano in “convergenze parallele”. I giornalacci non chiederanno scusa ai giovani di Corvetto, perché della razzializzazione fanno il loro credo, non più nascosto né dissimulato: sono proprio convinti che noi “bianchi”, diciamo da Berghem de Hura a poco sotto Viterbo, dobbiamo difendere la nostra “superiorità”, culturale, morale, religiosa, dall’invasione islamica dei migranti: chissenefrega se il padre e la madre di Ramy sono qui da vent’anni, lavorano, pagano le tasse, e cercano di tirar su famiglia. Restano e resteranno sempre “stranieri”. E non stranieri come Musk, sudafricano bianco che ci insegna a vivere. Perché nel nostro mondo, chi è ricco o straricco, non è mai straniero. Stranieri perché neri o scuri di pelle, perché venuti dal sud, poveri, ad abitare le “nostre città”.

I giornaloni invece, sono più politically correct, o “fact cecking” come dicono i “progressisti”. Ma non chiederanno mai scusa ai ragazzi di Corvetto, perché alla fine “la via della violenza è sempre sbagliata”. Questo accade perché la razzializzazione è un fenomeno sistemico, e non è questione di razzisti o no, di buoni o cattivi. È dentro di noi, incistata nel nostro sistema sociale, e sbuca da tutte le parti. Se un gruppo di maschi cretini e ubriachi, molesta sessualmente a Capodanno delle ragazze bianche, non si insiste sul fatto che si tratta di maschi, ma di immigrati, e per giunta dal colore scuro della pelle. Mandano a fanculo la polizia e gli italiani con un video di trenta secondi, ma siccome non sono trapper da milioni di follower e di euro, non si invitano a Sanremo, ma si spiccano i mandati di cattura. E sono islamici. La “guerra di civiltà” è servita.

Questa narrazione continua, martellante, è un fenomeno globale: con la bufala degli abitanti di Springfield di origine haitiana che si mangiano i cani e i gatti dei vicini bianchi, si sono vinte delle elezioni negli Usa. E i giovani carabinieri, che decidono di lanciarsi all’inseguimento di uno scooter che fugge appena vede la gazzella – e non c’era stato nessuno Alt come racconta l’amico di Ramy che lo guidava – non li leggono i giornalacci e i giornaloni? Probabile più i giornalacci, ma non sono anch’essi cresciuti ed addestrati, formati, educati dentro questo sistema razzializzato? Se uno scooter con due giovani a bordo, arrivando dalla piazza di Corvetto, corre via veloce quando li vede, di sicuro saranno “maranza”, immigrati di seconda o terza generazione, e di sicuro vanno fermati ad ogni costo, perché pericolosi. Adesso che la verità, grazie al casino che hanno fatto i ragazzi di Corvetto, è saltata fuori, il sistema razzializzato alza l’asticella: se si fermavano non succedeva niente. Un’altra bugia, per sostituire quella della tragica fatalità ora inservibile.

Se sei un figlio di migranti, non è vero che non ti succede niente. O meglio, può darsi che te la sfanghi, ma è molto probabile che sarai preso a schiaffi, che passerai la notte in una cella, e forse anche peggio. Perché non ti sei fermato viene chiesto al ragazzo sopravvissuto: “non avevo la patente, ho avuto paura”. Alla fine, dal punto di vista “tecnico”, abbiamo un ragazzo morto di 19 anni e uno di 22 quasi morto e che sarà condannato al carcere ( con una pena pesante, magari per compensare qualche danno di immagine ai carabinieri), per una infrazione amministrativa. Come è formalmente un reato minore non fermarsi all’Alt, che peraltro non c’è nemmeno stato. Guidando un mezzo super riconoscibile e con una targa.

Senza nessuna segnalazione di pericolo ricevuta, anche se hanno tentato di montare la storia della collanina rubata, poi risultata di proprietà del conducente con tanto di scontrino. I carabinieri sono centomila in Italia, e certo non sono mica tutti così. Ma in questo paese il problema esiste, e non è dei carabinieri. È nostro, di tutti noi, della piega sempre peggiore che sta prendendo la faccenda, ad ogni livello, a cominciare dall’alto delle cariche dello stato, passando per i media, per finire all’ultima ruota del carro, come quei carabinieri appunto. Quelli che dopo aver capito che danno irreparabile avevano fatto, sono andati a minacciare Omar, il testimone, e gli hanno fatto cancellare il video dove si vedeva lo speronamento dell’auto che ha schiacciato lo scooter contro il palo del semaforo. E qui, oltre alla razzializzazione che è una delle cause sistemiche di queste ed altre tragedie, siano esse in mezzo alle nostre città o nelle periferie urbane, in mezzo al Mediterraneo o in un lager libico, c’è una combinazione fatale: la costruzione dell’immaginario della “guerra civile”.

Razzializzazione e creazione della guerra civile, insieme, creano un mix letale. Se la costruzione del “nemico esterno”, i migranti, ha una sua funzione di “distrazione di massa” dai problemi veri – tutti quelli di cui non ha parlato la nostra premier influencer durante lo show di inizio anno, per capirci – l’immaginario della guerra interna, civile, è il veicolo per passare dallo stato di diritto allo stato di polizia. Il nuovo decreto sicurezza, ddl 1660, è un buon esempio di questo superamento definitivo delle costituzioni repubblicane novecentesche, troppo ancorate alla cultura dei diritti collettivi e uguali per tutti. L’assunzione del “populismo penale”, con l’aumento dei reati, delle pene, del carcere, ne costituisce un tratto fondamentale. Per questo non passerà nessuna amnistia, come chiesto da papa Francesco per il Giubileo, nemmeno a fronte del mattatoio umano che sono diventate le patrie galere.

Descrivere le nostre città come luoghi della guerra civile, serve al potere costituito per legittimare lo stato di polizia, e tentare di governare la sempre più ampia massa di poveri, assoluti o relativi, che le abitano. La guerra infatti, sospende la costituzione: prevede leggi speciali, poteri speciali, e ogni circostanza, anche due ragazzi in scooter che non si fermano, diventa una circostanza speciale. La destra al potere sta soffiando sul fuoco della guerra civile anche in questo caso: il “diritto allo speronamento” potrebbe diventare presto il diritto a sparare.

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