Il governo dei tecnocrati e la legislazione razzista
- novembre 24, 2011
- in diritti civili, lotte sociali, migranti
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L’esternazione del Presidente Napolitano sulla cittadinanza ai figli dei migranti nati in Italia è caduta nel bel mezzo del limbo politico seguito al cambio di governo. Il coro di sì che l’ha accolta (centro-sinistra, terzo polo, parte del Pdl, anche se con i distinguo del caso) conferma, se ce ne fosse bisogno, come l’iniziativa politica sia saldamente nelle mani del Quirinale. Le barricate verbali della Lega esprimono, d’altra parte, l’estraneità dei padani al mainstream politico-economico europeo rappresentato dal governo Monti. Intendiamoci: le parole di Napolitano sono sensate e condivisibili. Se mai saranno seguite dai fatti, contribuiranno a sanare un abnorme deficit giuridico, una vera e propria arretratezza anti-storica. Sostituendo lo ius soli allo ius sanguinis, l’Italia si allineerebbe alle democrazie più avanzate. Qui il multiculturalismo non c’entra. C’entra invece il riconoscimento dell’inevitabilità di un allargamento della popolazione non tanto ai nuovi venuti (come sarebbe giusto), ma ai nuovi nati, indipendentemente dal colore della pelle o dalla provenienza dei genitori. Dietro le parole di Napolitano, c’è quello che demografi ed economisti illuminati sostengono da sempre. Dato il costante declino della popolazione italiana autoctona, solo l’allargamento della cittadinanza consentirebbe di mantenere una minima crescita demografica, che, come è noto, ha effetti sensibili, nel medio e lungo periodo, sulla crescita economica, sul Pil e quindi sul debito pubblico. È in questo senso che le parole di Napolitano si inseriscono in una visione strategica, mentre quelle dei leghisti rappresentano una chiusura anacronistica e ottusa. Detto questo, ci illuderemmo, se pensassimo che una nuova aria spira sulla penisola. La realtà dell’ “accoglienza” italiana di migranti e richiedenti asilo politico è a dir poco tragica. L’Italia riconosce oggi lo status di rifugiati a un decimo di quelli accolti in Germania e alla metà, per fare un esempio, degli ospitatati da un piccolo paese come il Belgio. Avevano e hanno perfettamente ragione gli osservatori tedeschi a giudicare grottesche le richieste d’aiuto di Maroni all’epoca della cosiddetta emergenza di Lampedusa, seguita all’inizio della guerra civile in Libia e ai bombardamenti della Nato. Sono ancora vivide nei nostri occhi le immagini degli stranieri stipati nei Cpt siciliani o pugliesi o accatastati sui moli di Lampedusa. O magari in fuga nei campi, inseguiti da poliziotti a cavallo. In questo campo, il governo Belusconi ha dato prova non solo di incompetenza e incapacità, ma di una disumanità senza precedenti. L’Italia è oggettivamente corresponsabile, fin dai tardi anni Novanta, con la sua politica dei respingimenti, degli annegamenti di massa nel Mediterraneo (da allora, circa 15.000 morti). Non solo: gli accordi stipulati prima con Ben Alì e Gheddafi, e poi con i nuovi regimi nordafricani, sono un modo di lavarsi le mani, di ignorare la realtà delle migrazioni – in cui le categorie di richiedenti asilo e migranti sono difficili da distinguere – e di chiudere gli occhi sul destino di decine di migliaia di persone, sparite in mare o nel deserto o rinviate a languire senza speranza nei luoghi di partenza. In tema di rispetto reale dei diritti umani i nomi di Amato, Pisanu o Maroni non hanno fatto e non fanno troppa differenza. Ma le esortazioni di Napolitano non possono nascondere la realtà culturale, sociale ed economica dei migranti già presenti sul territorio. Per almeno vent’anni, i loro diritti sono stati oscurati e negati dalle ignobili gazzarre sull’invasione e sull’equazione immigrazione uguale criminalità, a cui si sono prestati anche gli organi della stampa e alcuni intellettuali, e non solo i leghisti. Di fatto, sia la legge Napolitano-Turco, sia la Bossi-Fini hanno tracciato un vero solco tra immigrati buoni (i regolari) e cattivi (gli irregolari), come se questi ultimi non fossero le vittime di un apparato burocratico e di controllo capace solo di ostacolare le regolarizzazioni. Ma, in un’economia in larga parte sommersa come la nostra, in cui valgono sempre meno le garanzie sindacali minime, anche la condizione dei regolari è soggetta all’arbitrio di datori di lavoro e rappresentanti e agenti dello stato. Il relativo unanimismo che ha accolto il governo Monti e in cui si inseriscono le parole di Napolitano non deve far dimenticare che la condizione dei migranti in Italia è una delle peggiori d’Europa. La crisi economica e finanziaria ha apparentemente messo in un angolo la famigerata “emergenza immigrazione”. Ma ha gettato un velo anche sull’effettiva condizione dei migranti sul luogo di lavoro e in tema di diritti elementari. È anche in questo campo che i presunti tecnocrati oggi al governo dovranno essere incalzati.
Alessandro Dal Lago
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