Il manganello quotidiano
- ottobre 31, 2014
- in emergenza, G8 Genova, lotte sociali, malapolizia, riflessioni, violenze e soprusi
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Nonostante le cariche violente durante i cortei operai, studenteschi, in Italia faticano ad affermarsi i criteri di trasparenza già diffusi nel resto d’Europa. L’opposizione del Ministro Alfano, dei vertici della Polizia e dei sindacati di polizia è totale.
In Italia poliziotti e carabinieri impiegati nell’ordine pubblico non portano codici identificativi. Nelle cariche contro gli operai della Ast di Terni, cosi come per le violenze subite in tanti altri cortei oppure nella “macelleria messicana” alla scuola Diaz a Genova a conclusione del vertice del G8 nel luglio 2001, le possibilità di identificare gli agenti picchiatori sono pressoché inesistenti e non solo perché molti di loro alzarono i foulard sul naso. Chi, mentre viene picchiato, potrebbe memorizzare i tratti somatici di un agente che indossa un casco?
Chi avrebbe agito in quel modo, rischiando d’essere riconosciuto? (come nella foto che pubblichiamo a riguardo le cariche agli operai Ast) Certo, c’è sempre la possibilità di occultare l’etichetta al momento giusto, ma già quello sarebbe un reato e imporrebbe l’intervento della stessa catena di comando, pena l’accusa di complicità.
In Inghilterra, qualche anno fa, un agente fu “sorpreso” dalle telecamere mente colpiva una persona inerme: aveva i codici coperti, ma fu comunque identificato grazie alla collaborazione dei superiori.
Sono episodi ricorrenti. È il tema dell’uso sproporzionato della forza nella gestione dell’ordine pubblico, emerso in modo plateale nelle giornate del G8 del 2001 e ripetutosi più volte in questi anni, senza tuttavia diventare un tema di discussione pubblica, come invece dovrebbe essere, nell’interesse di chi protesta, di tutti i cittadini. Cariche indiscriminate, caccia per strada ai manifestanti, uso massiccio dei manganelli e lacrimogeni in Italia sono così frequenti da apparire una routine.
Neppure di fronte agli orrori di Genova e all’ignominia di cui si sono coperte le nostre forze dell’ordine in quel tragico luglio, c’è stato un serio esame critico dei fatti e delle responsabilità. E tanto meno un’autocritica dentro le forze dell’ordine.
Da tempo chiediamo insieme ai movimenti, al team di legali e giuristi democratici una semplice riforma di fronte ad evidenti abusi commessi in piazza.
Ma per il ministro dell’Interno Alfano, di fronte ad immagini scandalose, continua a chiudere a qualsiasi possibilità di introduzione dei codici identificativi per gli agenti in servizio di ordine pubblico. Dice che gli agenti resi riconoscibili sarebbero esposti al rischio d’essere presi di mira, di corteo in corteo, da gruppi di facinorosi e che ci sarebbe un numero abnorme di denunce. Basterebbe cambiare periodicamente i codici di ciascun agente per disinnescare simili obiezioni, che in realtà riflettono una scarsa propensione alla trasparenza.
In molti Paesi europei codici e numeri di matricola sono ben visibili sulle divise degli agenti in servizio di ordine pubblico: dalla Spagna alla Slovenia, dalla Grecia alla Repubblica Ceca, passando per la Svezia, la Polonia, l’Ungheria. Il ministro degli Interni francese, Manuel Valls, ha annunciato che la Francia si adeguerà al più presto.
E il Parlamento europeo ha votato una risoluzione nella quale si esortano gli stati membri a “garantire che il personale di polizia porti un codice identificativo”. È importante notare che questa richiesta, approvata su proposta del gruppo liberal-democratico,
Il ministro Alfano ha chiuso qualsiasi possibilità accontentando le richieste dei sindacati di polizia. La cultura dell’impunità, investe l’intera struttura della Polizia di Stato, Ministro e vertici compresi.