Il primo permesso premio dopo 24 anni da uomo ombra
- aprile 03, 2015
- in ergastolo, Lettere dal carcere
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Oggi non avevo voglia di vedere e di parlare con nessuno, ma non sono riuscito a rimanere solo con la mia solitudine. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com)
Prima parte
Che fareste se dopo vent’anni di carcere aveste solo undici ore per rivedere quelli che amate? Di queste undici ore Carmelo ci racconta, con un ritmo che toglie il respiro, nel moto ondoso delle parole. Ma ci racconta anche della notte prima, lui che nella sua branda gioca di continuo con la morte, la invoca fulminea perché lo salvi dalla sua condanna a morte a rallentatore di Uomo Ombra. Stanotte no, stanotte ha paura di morire prima delle sue undici ore da uomo libero, morire come Mosè un istante prima di toccare la terra promessa, hai visto mai un dispetto di Dio. Ma vive. È mattina. I cancelli che dovrà passare sono undici, come le ore eterne e sfuggenti che ha davanti, un film serrato che concentra ogni passione, ma senza lieto fine. Alle 22.00 varcherà a ritroso l’undicesimo cancello, e sarà di nuovo solo. “Io e l’Assassino dei Sogni”.
(Prefazione di Barbara Alberti a “Undici ore d’amore di un uomo ombra” C. Musumeci, Gabrielli Editori)
Da fuori l’Assassino dei Sogni fa ancora più paura. Sembra ancora più brutto. Ad un tratto il suo cancello enorme si apre. Sembra la bocca di un mostro. Il suo rumore metallico rimbomba nelle mie orecchie. Quella è la sua voce. Ancora un passo e sarà tutto finito. Sarò di nuovo un uomo ombra. Un’ombra fra tante. Faccio quel passo. Provo la sensazione di non esistere più. E mi faccio divorare dall’Assassino dei Sogni, lasciando alle mie spalle la libertà, l’amore e la felicità.
(Carmelo Musumeci “Undici ore d’amore di un uomo ombra” Gabrielli Editori)
Quattro anni dopo “Undici ore d’amore di un uomo Ombra”
Sono passati quattro lunghi anni dalle uniche undici ore che ho trascorso, in ventiquattro anni di carcere, nel mondo dei vivi.
E ricordo che mi erano stati concessi con un permesso di necessità per andarmi a laureare da uomo libero.
Dopo non sono più riuscito ad uscire perché con l’ergastolo ostativo non puoi usufruire di nessun permesso premio e di nessun beneficio penitenziario se non collabori con la giustizia.
E allora non ho potuto fare altro che darmi da fare per fare conoscere che in Italia, Patria del Diritto Romano e della Cristianità, esiste la “Pena di Morte Viva” (così chiamiamo l’ergastolo ostativo, che ti mura vivo senza la compassione di ucciderti).
Nonostante non sia più riuscito ad uscire, non mi sono mai pentito di essermi ripresentato quattro anni fa con le mie gambe davanti all’Assassino dei Sogni (il carcere come lo chiamo io) perché per una volta, una volta sola, ho potuto dimostrare di essere migliore di uno Stato che condanna una persona a essere cattiva e colpevole per sempre.
Adesso, dopo quattro lunghi anni, i ricordi di quelle “Undici ore d’amore” sono diventati sempre più piccoli, perché nella mia mente ho rivissuto quei ricordi tante di quelle volte che li ho consumati.
E purtroppo per un uomo ombra vivere è come bruciarsi senza calore.
Il primo permesso premio dopo 24 anni da uomo ombra
Incredibilmente, se non sei messo nelle celle di punizione, il carcere è il posto più difficile dove poter stare soli. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com)
Seconda parte
La paura dell’attesa
Sono due anni e mezzo che ho presentato la prima richiesta di permesso alla magistratura di sorveglianza.
E non ho mai ricevuto nessuna risposta.
In carcere si sta al mondo ma non si vive nessuna vita.
E quando aspetti una risposta accade spesso che quella che passa sembra la giornata più lunga.
Poi l’indomani però pensi la stessa cosa, perché il tempo in carcere non passa mai.
Forse perché dentro l’Assassino dei Sogni il tempo è tempo perso.
Tempo vuoto.
E senza amore.
La sera poi è ancora più lunga.
E la mattina non arriva mai.
Ti senti come un cadavere vivo chiuso fra quattro mura.
Davanti un blindato. Dietro una finestra piena di sbarre.
Nel mezzo il tuo cuore vivo.
E prigioniero in attesa di una risposta.
Negli ultimi tempi faccio fatica ad arrivare alla fine della giornata perché il mio magistrato di sorveglianza continua a non rispondermi.
Ed io non ce la faccio più ad aspettare di sapere se posso sperare di morire un giorno da uomo libero.
La mia unica consolazione è che se questa risposta ritarda così tanto può essere positiva, ma è poco, troppo poco, per poter fare sera e fare mattina.
Mentre aspetto questa maledetta o benedetta risposta non riesco a trovare nessuna via di uscita da questo tunnel di ansia.
E non riesco a trovare nessun conforto pensando che questa risposta potrebbe essere positiva, perché quando sei torturato t’interessa poco sapere che un giorno non lo sarai più.
L’ansia di questa risposta che non arriva mai mi tormenta dalle prime ore del mattino fino all’ultimo minuto della giornata.
Prima di presentare questa richiesta di permesso mi sentivo vivo e avevo tanta forza per tenermi in vita. Adesso invece quando mi sveglio al mattino mi chiedo come riuscirò ad affrontare un’altra giornata e arrivare a sera.
Non riesco più a trovare la forza di andare avanti.
Desidero solo che arrivi prima possibile questa maledetta o benedetta risposta.
E anche se fosse una condanna a morte sarei lo stesso felice, perché una non risposta è più crudele dell’ergastolo ostativo.
Sono stressato dall’attesa.
E ho perso quattordici chili di peso.
Nella mia vita ho conosciuto tutto quello che c’era d’aver paura, ma non conoscevo ancora la paura dell’attesa.
Questo mese sembra non finire mai, forse perché in carcere il tempo si dilata in un minuto qualsiasi, in un’ora qualsiasi, in un giorno qualsiasi di qualsiasi giorno. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com )
Terza parte
L’attesa è finita
Caro Carmelo credo che il miglior metodo per lottare e sopravvivere lo abbia trovato lei da se, scrivendo bellissime pagine. Seguiti a scrivere, a far conoscere la vita e i sogni, se ci sono ancora, di un ergastolano, far conoscere quanta umanità si può trovare in carcere e quanta cattiveria fuori.
(Margherita Hack)
I filosofi dicono che le cose belle accadono solo a chi sa aspettare.
E io credo sempre a quello che dicono i pensatori, ma a volte anche loro si sbagliano.
Finalmente mi arriva la risposta che tanto aspettavo.
Ed è negativa.
Dopo due anni e mezzo d’attesa anche la magistratura di sorveglianza di Padova mi conferma che uscirò dal carcere solo da morto.
E mi chiedo perché ci hanno messo tutto questo tempo a decidere.
Poi rifletto che i buoni sono proprio strani.
Ed io proprio non li capisco.
Probabilmente non li comprendo perché io sono cattivo.
Adesso dovrò riprendere l’abitudine di pensare di nuovo da uomo ombra.
E rileggo per l’ennesima volta questa lettera di Tiziana:
Una sola cosa sento di non potere condividere di ciò che mi scrivi, certamente non per spirito di contraddizione, né tanto meno per smorzare la verità di ciò che sei costretto a subire. È solo che quando parli di speranza e la equipari al “veleno” che avvelena pian pianino la tua vita, io non riesco a condividere con te questa convinzione. Capisco il senso e il motivo per cui parli così: cioè come se la speranza fosse il respiratore che costringe un corpo a restare in vita. Ma io credo che il veleno di cui parli sia la frustrazione della speranza. Allora, mentre la speranza abita la tua anima bellissima e di lei devi fidarti ed esserne fiero, la frustrazione della speranza non proviene da te, né dalla tua responsabilità, né dalle tue scelte. La speranza è la tua stessa vita, i tuoi affetti, quelli per i quali hai il coraggio di rappezzare ancora una volta il cuore rinunciando a gesti decisi nello sconforto, ma del tutto inefficaci. Ti chiedo di continuare a scrivere, di non fermarti nel far sapere, a noi che siamo qui ignari di tante cose, ciò che vivi e vivete. Il dono di scrivere che hai non è di tutti. Parla e racconta non solo per te, ma per tanti.
Tutte le volte che rileggo questa lettera scrollò la testa pensando che per realizzare i sogni bisogna prima sognarli, ma gli uomini ombra non possono sognare.
Possono solo sopravvivere.
Sopravvivere purtroppo non è come vivere.
E non è neppure come morire.
Poi per tutto il giorno il mio cuore mi sussurra di dimenticare il mio passato perché ormai per me tutto è finito.
E mi consiglia di vivere vivo solo le emozioni dei miei figli e dei miei nipotini perché io non ne avrò mai più.
Alla sera telefono alla mia compagna, che mi aspetta inutilmente da ventiquattro anni.
E le dico che l’attesa è finita.
Poi negli ultimi secondi di quei miseri dieci minuti di telefonata che ci concedono faccio in tempo a dirle che il suo amore è tutto quello che mi è rimasto di lei.
Quando aspetti una risposta che ti può salvare la vita e donare l’amore che ti è mancato per un quarto di secolo, stai disteso sulla branda a fissare il soffitto della tua cella tutto il giorno. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com )
Quarta parte
Dopo l’ultima risposta negativa della magistratura di sorveglianza per la prima volta in ventiquattro anni di carcere mi viene voglia di arrendermi, ma non lo fa il relatore della mia tesi di laurea in giurisprudenza, il prof. Carlo Fiorio, docente di Diritto Processuale Penale dell’Università di Perugia. E come mio difensore mi inoltra al Tribunale di Sorveglianza di Venezia la richiesta di “collaborazione impossibile”.
Da quando sono in carcere ho sempre amato la libertà più di ogni altra cosa al mondo, ma non ho mai barattato la mia libertà con quella di qualcun altro.
E non ho mai usato la giustizia per uscire dal ventre dell’Assassino dei Sogni.
Inaspettatamente il Tribunale di Sorveglianza di Venezia mi “Accerta l’impossibilità da parte di Musumeci Carmelo di un’utile collaborazione con la giustizia in ordine a tutti i delitti oggi in esecuzione”.
E da uomo ombra divento un uomo penombra, con la speranza di rientrare di nuovo dentro la famiglia e la società.
In questi giorni sto pensando che la pena dell’ergastolo è peggiore della morte perché questa dura di meno ed è più semplice.
La morte libera il cuore e l’anima, mentre il carcere a vita te li divora, fino a che non resta più traccia di un essere umano in te.
Credo che la pena dell’ergastolo sia un dolore eterno che non solo fa soffrire chi lo subisce ma umilia tutta l’umanità.
Dopo la condanna il mio cuore aveva subito smesso di vivere, ma non certo di farmi male.
E sinceramente in questi ventiquattro anni di carcere molte volte ho meditato di lasciarmi andare e di appendere il mio collo alle sbarre della finestra della mia cella, perché non vedevo altra via di fuga.
L’ho pensato soprattutto nei momenti di debolezza, quando mi sbattevano nelle celle di punizione e in isolamento. Quando i giorni trascorrevano lenti, giorno dopo giorno senza un libro da leggere e una penna e un foglio di carta per scrivere.
Pensandoci bene credo che se ho continuato a vivere l’ho fatto solo perché non volevo far morire il mio amore con me.
La vita di un ergastolano è sempre terribilmente troppo lunga, invece la morte è a portata di mano e in un attimo ti può dare la libertà, la serenità e la felicità.
Poi prepara il cappio.
E lo fa passare intorno alle sbarre della finestra.
Dopo non rimane altro che salire su uno sgabello.
Infilare il cappio in testa.
E farlo scivolare sul collo.
Poi viene la parte più semplice perché non rimane altro che dare un calcio allo sgabello.
Il carcere suscita spesso false speranze, forse per questo ho sempre pensato che non ce l’avrei mai fatta a morire un giorno da uomo libero.
Ed io ci ho pensato tante volte e togliermi la vita.
Molte volte ho persino preparato la fune con il cappio.
E alcune volte sono arrivato persino ad infilarmelo al collo.
Non sono mai riuscito però, per fortuna o per sfortuna, a seconda dei punti di vista, a dare il calcio a quel cazzo di sgabello.
E adesso sono felice di non averlo fatto, perché con la decisione del Tribunale di Sorveglianza sono ritornato a sperare che potrei un giorno uscire senza mettere in cella un altro al posto mio.
Quinta parte
Sia al di là del muro di cinta che dentro si sparge la voce che non ho più l’ergastolo ostativo e Alfredo mi scrive:
Allora… che dirti… ancora non mi pare di crederci. Nel senso che in molti momenti la mente mi rimanda l’immagine di te come ergastolano ostativo… devo essere io con uno sforzo cosciente a dirmi “Alfrè… ricorda… non è più ergastolano ostativo… anzi… potrebbe anche uscire tra breve… e comunque… soprattutto non è un ergastolano ostativo”. Carmelo il fatto che tu non sia più un ergastolano ostativo è già, di per se stesso, una vittoria… una vittoria epocale. Tu hai già vinto.
Non dimenticarlo mai. Hai vinto anche se domani, per assurdo, ti colpisse un fulmine (dio ce ne scampi) o se capitasse chissà che cosa. Tu in più di due decenni hai ribaltato tutto. Ti sei laureato, hai scritto libri, hai conosciuto tantissima gente, sei stato un punto di riferimento per tanti… e hai superato il muro che sembrava che dovesse durare a vita, l’ostatività. Tu per certi aspetti sei il simbolo degli ergastolani ostativi, e pensare che l’ostatività per te venisse meno, era qualcosa che sembrava utopico. Eppure ci sei riuscito. L’ostatività non è ancora morta in Italia, ma tu le hai inflitto una delle sue peggiori sconfitte. Una volta venuta meno per te, tutti potranno coltivare la speranza. E poi, come ti dicevo, è proprio anche una tua vittoria personale contro il sistema carcere, contro il modo in cui il sistema carcere ti aveva “immaginato”. Tu entrasti in carcere ergastolano ostativo ed in poco tempo in 41 bis all’Asinara… ovvero tu partivi dal girone più basso dell’inferno. Oggi ti cade l’ostatività. Oggi tu sei sul bordo del fiume e sorrisi a tutti quei direttori di carcere, quegli “educatori”, quei poliziotti penitenziari, quei cittadini, quei perbenisti che ti avevano sempre detto che tu non saresti mai uscito dal carcere, che la tua lotta era da illusi, che ti agitavi troppo. Ben,e tu hai vinto. Per certi aspetti avevi già vinto su un piano più profondo, anche se non ti avessero tolto l’ostatività. Ma con questo evento tu realizzi una vittoria anche da altri punti di vista. Hasta seimpre esperanza compagnero.
Il passaparola si diffonde anche fra le detenute.
E Johanna mi scrive:
Devo dirti che ho provato una felicità indescrivibile. Ti posso giurare che mi sono uscite le lacrime di felicità. Sono contenta. Te lo giuro, perché lo meriti. È questo sarà il primo passo per iniziare. Quando l’ho saputo sono andata dalla detenuta spagnola, lei sta leggendo il tuo libro, e ci siamo abbracciate.
Finalmente, dopo ventiquattro anni di carcere, mi arriva il primo permesso premio ed il magistrato di sorveglianza scrive “(…) Concede e Musumeci Carmelo, sopra generalizzato, il permesso a recarsi a Padova presso la Casa di Accoglienza “Piccoli Passi” sita in via Po n.261, accompagnato da un operatore volontario della struttura. Il detenuto uscirà dalla Casa di Reclusione di Padova alle ore 9.00 del 14 marzo 2015 e vi farà rientro alle ore 18.00 dello stesso giorno.
E penso che avevo imparato a fare il morto perché non mi aspettavo proprio più nulla dagli umani perché con il trascorrere degli anni la speranza mi si era assottigliata, ma ora dovrò anche rimparare a credere e ad avere fiducia.
Sesta parteArriva il giorno del permesso.
Il mio cuore si sveglia all’alba.
E mi accorgo subito che l’Assassino dei Sogni dorme ancora.
Il silenzio in carcere però è diverso da quello di fuori perché fa rumore lo stesso.
Guardo l’orologio.
Sono le quattro del mattino.
E penso che sia ancora troppo presto per alzarmi.
Sospiro.
Se fosse per me dormirei ancora un po’.
Il mio cuore però mi ordina di alzarmi.
Io faccio sempre quello che mi consiglia il mio cuore.
E mi alzo dalla branda.
Lancio uno sguardo fuori dalle sbarre della finestra.
E vedo che è ancora tutto buio.
Noto che la luce gialla del muro di cinta illumina tutto il piazzale.
E anche un lato del campo sportivo.
Poi apro la finestra.
Mi accorgo che l’aria è ghiacciata.
E la giornata non mi sembra molto bella.
Corruccio la fronte.
E mi auguro che fra qualche ora il tempo migliori.
Poi mi muovo svelto avanti e indietro per la cella per riscaldarmi.
Mi preparò un caffè.
E poi inizio a farmi la barba.
Vedendo il mio viso riflesso nel piccolo specchio mi viene voglia di scambiare due chiacchiere con lui:
Chi sei? Sono io! Io chi?Io! Come ti chiami? Io non mi chiamo, mi chiamano gli altri. Non fare lo spiritoso, dimmi il tuo nome. Sono la tua ombra, chi vuoi che sia? Io però non sono più un uomo ombra. Questo lo dici tu. Non è vero, lo hanno detto i giudici. Sciocchezze, perché da uomo ombra sei passato solo ad essere un uomo penombra. Ti sbagli questo è solo l’inizio. Non t’illudere il tuo fine pena rimane “mai” o, bene che vada, uscirai nel 9.999, come c’è scritto nel tuo certificato di detenzione. Intanto fra poche ore dopo ventiquattro anni uscirò per la prima volta in permesso premio. Divertiti pure, tanto questa sera saremo di nuovo insieme. Vai a quel paese. Non posso perché se ci vado io ci vai anche tu.
Ad un tratto sospiro.
Scrollo la testa.
E smetto di parlare da solo e ad alta voce come uno scemo.
Poi mi vesto.
Ed inizio a passeggiare avanti ed indietro per la cella, in attesa che mi chiamino per uscire.
È difficile amare un ergastolano, eppure la mia compagna ci sta riuscendo da 24 anni. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com )
Settima parte
Ormai mancano pochi minuti alle nove.
Mi accendo una sigaretta.
E tiro una profonda boccata.
Poi inizio a tossire.
E il mio cuore mi consiglia, adesso che ho la speranza di morire da uomo libero, di curare di più la salute.
E butto via la sigaretta.
Ad un tratto la guardia si avvicina al cancello della mia cella.
Lo apre e mi dice che posso uscire.
Per un attimo mi faccio forza per trovare la concentrazione.
E per qualche istante rimango a guardare la parete della mia cella.
Mi accorgo che la mia ombra è meno scura del solito, forse perché è felice anche lei che vado a prendere una boccata d’aria da uomo libero.
Faccio un paio di respiri profondi.
Poi esco dalla cella.
Scendo le scale.
A piano terra mi prende in consegna una guardia.
E dopo avere percorso un lungo corridoio e varcato una decina di cancelli, mi accompagna fuori dal carcere.
Varco l’ultima porta.
E alzo gli occhi in alto.
Mi sembra di non avere mai visto tanto cielo in una volta sola.
Provo un senso di vertigine.
Il cielo brilla di blu.
E mi accorgo che da dentro l’Assassino dei Sogni il cielo non mi è mai sembrato così immenso e bello.
Sembra che non finisce più.
Poi abbraccio con lo sguardo il cortile esterno.
E cerco con lo sguardo il mio angelo.
All’improvviso la vedo.
Ride di cuore.
E con lei c’è Veronica che mi punta i suoi occhi vispi.
Le bacio e le abbraccio tutte e due.
Poi mi prende in consegna la volontaria.
E mi fa salire nella sua macchina.
Dentro trovo un cagnone che mi fa le feste.
E mi guarda con occhi dolci e buoni.
E chissà perché penso che gli animali sono più umani delle persone.
Lo accarezzo.
Poi faccio fatica ad allacciarmi la cintura.
Forse perché non ci sono più abituato.
E partiamo.
Il mio angelo ci viene dietro con la sua macchina.
Lancio uno sguardo fuori dal finestrino.
E mi accorgo che le persone che vedo intorno mi sembrano tutte allegre e vive.
Arrivo alla Casa di Accoglienza “Piccoli Passi”.
È una struttura a due piani, circondata da un ampio cortile recintato.
Dopo qualche minuto arriva la mia famiglia.
Per prima vedo la mia compagna che mi aspetta da ventiquattro anni.
L’amore della mia vita.
E non riesco a staccarle gli occhi di dosso.
Vedo le sue lacrime senza vederle.
L’abbraccio.
E penso che in questi lunghi anni ho sempre avuto paura, tanta paura, di non riuscire mai più ad abbracciarla da uomo libero.
Poi sento nell’aria il profumo dei miei figli.
E capisco che ci sono anche loro.
Sono dietro la mia compagna.
Li guardo negli occhi.
Il loro ampio sorriso mi abbraccia ancor prima che lo faccia io.
E perdo il controllo dei miei pensieri.
Rimaniamo in silenzio per non rovinare quel momento, felici nella felicità.
A volte le parole rovinano tutto.
Poi abbraccio Alberto, il fidanzato di mia figlia.
Poco dopo arriva Mita, la figlia adottiva del mio cuore, insieme a suo marito Francesco.
I loro occhi s’illuminano e ci abbracciamo con affetto familiare.
Poi è tutto una festa.
E tutti ridiamo di cuore.
Mi hanno appena chiuso il cancello della mia cella. E sto pensando che quello che mi colpisce più di tutto dell’Assassino dei Sogni è il silenzio che cala quando ci chiudono nei nostri canili. (Diario di un ergastolano www.carmelomusumeci.com )
Ottava parte
Carmelo Musumeci www.carmelomusumeci.com