Il centro studi Mediobanca analizza la produzione di armi italiana e comunitaria e indica la via da seguire per intensificare il settore bellico
di Federico Giusti
È di questi giorni la presentazione del Rapporto di Mediobanca sulla difesa a cura del suo centro studi.
Le spese per la difesa raggiungono nel 2024 l’apice a livello globale con 2.443 miliardi di dollari nel 2023 (+6,8% rispetto al 2022), corrispondenti a 320 euro a persona
L’industria italiana della difesa si identifica da tempo in due aziende di proprietà dello Stato, Leonardo e Fincantieri, ma stanno nascendo piccole aziende in grado di fornire elevato apporto tecnologico alle principali case produttrici.
Il centro studi di Mediobanca quantifica la spesa pubblica in armamenti ed evidenzia una fitta rete di aziende parte delle quali legate alla ricerca e produzione di singoli apparati, di componenti di armamenti.
Il dato significativo, oltre l’aumento esponenziale della spesa pubblica in armi è data anche dalla presenza di gruppi stranieri all’interno dell’apparato produttivo italiano, ben 36 su 100 aziende sono di proprietà non italiana. Quasi il 60 per cento della produzione italiana di armi è quindi legata al settore pubblico, le aziende italiane del settore in mano estera arrivano al 25% mentre il 15% risulta in mano di famiglie proprietarie delle imprese.
In linea con il documento sulla Produttività di Mario Draghi Mediobanca punta sul settore militare evidenziando i ritardi Ue rispetto agli Usa anche se nel vecchio continente ritroviamo molte multinazionali tra le principali fornitrici di sistemi di arma. Mediobanca chiede investimenti pubblici comunitari per la difesa sul modello Usa dove lo stato investe dieci volte tanto il vecchio continente nella ricerca di tecnologie duali e no. C’è da dire che nell’anno in corso gli investimenti Ue, in particolari tedeschi, hanno superato in percentuale quelli Usa e la ricerca di strumenti finanziari ulteriori, indirizzando fondi comunitari alla spesa militare, è cresciuta esponenzialmente
La Ue sta provando a tenere testa agli Usa la cui quota nel mercato delle armi è pari a oltre il 90% dei ricavi globali, del resto le prime 5 grandi aziende sono statunitensi con l’Italia ferma invece a poco più del 4%.
Lo studio di Mediobanca si prefigge due obiettivi ambiziosi ossia promuovere, con soldi pubblici, la innovazione e gli investimenti in campo militare e unificare le aziende del vecchio continente aumentando il fatturato e cercando di centralizzare a livello comunitario i processi decisionali e gli indirizzi che poi dovranno essere recepiti dai paesi membri.
Non è casuale che si parli esplicitamente di favorire “la competitività globale e garantire la sicurezza a livello europeo” integrando le industrie di settore all’interno di programmi sovranazionali.
Belgio, Norvegia e Francia sono i paesi con maggiore finanziamento pubblico per il militare nel vecchio continente ma l’Italia da qualche anno sta dando un grande impulso alle attività di ricerca e di produzione in campo militare.
A conferma di quanto scritto riportiamo parte del comunicato stampa di Mediobanca
Le 100 Maggiori Aziende italiane della Difesa (TOP100), ognuna con fatturato maggiore di 19 milioni di euro e con una forza lavoro superiore alle 50 unità nel 2023, sono tipicamente dual use, ovvero venditrici di prodotti e servizi sia nel mercato civile che in quello della sicurezza. Per questa ragione, il loro fatturato aggregato, pari a 40,7 miliardi di euro nel 2023, non è attribuibile interamente alla Difesa, ma solo in una sua porzione, stimabile nel 49% del totale e pari a circa 20 miliardi (+6,6% sul 2022 e +14,7% sul 2021). Anche per la forza lavoro, che ammonta complessivamente a oltre181mila persone nel 2023, la quota riferita alla sola Difesa e basata in Italia si stima si attesti a oltre 54mila unità. Il valore aggiunto attribuibile all’industria della Difesa è pari a circa lo 0,3% del Pil italiano nel 2023. Sui 40,7 miliardi di euro di ricavi aggregati spiccano il comparto dell’aerospace/automotive, che determina il 49,0% del giro d’affari complessivo, e la cantieristica navale (23,3%). Insieme a Leonardo e Fincantieri, le aziende che superano il miliardo di euro di ricavi sono solo otto che concentrano tre-quarti del fatturato aggregato. Di primaria importanza è il contributo delle società a controllo statale italiano che si attesta al 59,3% dei ricavi aggregati. Rilevante la presenza di gruppi stranieri nella Difesa italiana: 36 delle 100 aziende hanno una proprietà estera che controlla il 25,1% del fatturato aggregato (di cui il 12,2% europeo e il 10,1% statunitense). Le aziende a controllo familiare italiano contano per il 15,6% del totale, sebbene siano più numerose (56) delle estere e quindi dimensionalmente più piccole.
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