Forse gli Usa volevano solo cancellare il panico dell’aeroporto di Kabul, la fuga ignominiosa, il tradimento delle donne afghane, di sicuro al momento sono i vincitori della guerra in Ucraina: le aziende nordamericane sostituiranno la Russia, sempre più schiacciata dal suo nazionalismo, nella fornitura di gas. Intanto per capire cosa ha cementato il nazionalismo di Putin, bisogna ricordare l’improvvisa conversione alle privatizzazioni che trent’anni fa favorirono la ricchezza di pochissimi e la miseria di molti.
di Franco Berardi Bifo
Chi ha già vinto
Allo scadere del primo mese dell’aggressione russa contro l’Ucraina, il presidente degli Stati Uniti è venuto in Europa da vincitore. Dopo diecimila morti o forse molti di più, la sola cosa chiara è che Biden ha vinto la guerra contro l’Unione europea. Il progetto North Stream, che la Germania aveva realizzato in collaborazione con la Russia, è cancellato, come a gran voce avevano preteso gli americani. Le aziende americane sostituiranno la Russia nella fornitura di gas, un ottimo business per loro. Ma non tanto per gli europei, visto che il gas che potranno fornire gli Stati Uniti è solo il 18 per cento del fabbisogno europeo.
Ma non basta. Gli stati europei si impegnano a investire enormi quantità di denaro nell’armamento. La Nato, che Macron aveva dichiarato cerebralmente morta, ora sarà super-armata. Priva di cervello magari, ma dotata di muscoli potenti. E la società europea dovrà pagare il conto del riarmo demente che Trump aveva preteso con toni perentori, e Biden ha ottenuto provocando la guerra tra Russia e Ucraina.
Ma non basta ancora. L’Unione europea nacque come progetto post-nazionale. Il rifiuto delle retoriche nazionaliste era essenziale nel processo di formazione dell’Europa unita. Ora tutto questo è cancellato dalla furia nazionalista che si è impadronita dei governi, dei media, e di una parte (forse non maggioritaria ma decisiva) della popolazione europea, intossicata dall’odio e dalla demenza euro-nazionalista. La nazione europea, il sogno di Giorgia Meloni e di tutti i fascisti, è finalmente sorta, grazie a Putin e Biden.
L’incendiario
Durante la visita in Polonia, avanguardia riconosciuta della democrazia europea, il presidente americano ha pronunciato frasi pericolose.
Per l’amor d’Iddio Putin se ne vada. Fa il bullo sperando di far dimenticare la catastrofe afghana dell’estate scorsa. Alternare momenti di sconsolata confusione mentale a momenti di rabbioso vaniloquio è un segno inequivocabile della demenza senile.
Per un mese ha soffiato sul fuoco ininterrottamente, e alla fine è riuscito a far divampare l’incendio. Ora milioni di ucraini sono in fuga, le città sono in fiamme, ma come auspicava Hillary Clinton in un’intervista ora Putin potrebbe trovarsi in un nuovo Afghanistan. Una trappola per l’Autocrate.
Una trappola che costa la vita a decine di migliaia di persone. Grazie Hillary.
Tra gennaio e febbraio Lavrov ha ripetuto molte volte che la Russia stava aspettando una risposta alle sue richieste. Per fermare Putin forse sarebbe bastata una dichiarazione di disponibilità a ridiscutere l’espansione della Nato. O forse no, ma occorreva tentare se non si aveva in mente un progetto di altro genere. Si trattava di aprire una fase di trattative, magari convocare una conferenza internazionale sulla sicurezza di Russia ed Europa, come Lavrov chiedeva. Ma Biden si è limitato a ripetere che i russi preparavano l’invasione, senza far niente per fermarla, senza rispondere alle richieste di Lavrov, mentre il povero Zelensky cercava di minimizzare, di gettare acqua sul fuoco sul quale Biden non smetteva invece di soffiare.
Perché? Forse il presidente voleva cancellare il panico dell’aeroporto di Kabul, la fuga ignominiosa, l’abbandono dei collaboratori americani, il tradimento delle donne afghane? Forse pensava che una bella guerra avrebbe potuto risollevare le sorti del partito democratico e le sue personali agli occhi degli americani? In tal caso ha fallito, perché secondo un sondaggio uscito nei giorni scorsi ieri il 55 per cento degli americani è contrario alla sua politica di guerra.
Chi è questo Chubais
La stampa occidentale racconta la favoletta di una guerra tra il globalismo liberale e democratico e il nazionalismo sovranista e autoritario.
Biden ha annunciato che questa lotta tra il bene e il male è destinata a durare per un lungo tempo. Più o meno le stesse cose che disse George Bush quando, agitando lo spettro delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, scatenò una guerra che ha devastato l’Iraq, ha ucciso un numero spaventoso di civili, e favorito la formazione dello Stato Islamico.
La Russia di Putin è un’autocrazia fondata sul nazionalismo aggressivo. Lo sappiamo da quando Putin risolse la questione cecena con massacri spaventosi che gli Stati Uniti si guardarono bene dal condannare.
I crociati russi e americani erano alleati contro gli islamisti.
Ma la Russia è anche un esempio della riforma neoliberale. Uno dei tanti esempi di distruzione della società nel nome della libertà d’impresa e del primato del profitto privato.
Ricordate Anatoli Chubais, l’economista neoliberale che qualche giorno fa ha fatto le valigie ed ha abbandonato la Russia? Insieme a Egon Gajdar fu lui che negli anni ’90, durante la presidenza Yeltsin, realizzò la svendita dell’intero patrimonio industriale del paese.
Dal 1998 al 2008 Chubais è stato a capo del monopolio statale dell’energia elettrica RAO UES. In seguito è stato a capo della Russian Nanotechnology Corporation (RUSNANO). Ha lavorato come inviato speciale del presidente della Federazione Russa per le relazioni con le organizzazioni internazionali. Un uomo della nomenklatura putiniana, finché gli affari andavano bene in patria.
Intervistato recentemente da El Pais mentre in fretta e in furia si allontanava dalla Russia in guerra, questo signore ha spiegato perché la sua riforma neoliberale ha finito per creare un’oligarchia economica essenzialmente parassitaria.
“Nel 1996 in Russia si dovevano tenere democratiche elezioni. C’era la possibilità che vincessero i comunisti di Ghennadi Zjuganov, che non avrebbero poi facilmente abbandonato il potere. Si doveva fare in fretta, occorreva privatizzare tutto prima che accadesse l’irreparabile. Così dovemmo trovare uomini capaci di gestire l’economia”.
Quegli uomini (Abramov e Chodorkovski, Berezovski, Usmanov, Prochorov e compagnia) erano stati funzionari dell’Unione sovietica, avevano obbedito agli ordini del regime negli anni di Brezhnev, e tutt’a un tratto, convertiti alla filosofia della privatizzazione, si trovarono a gestire enormi capitali. Li esportarono nelle banche occidentali, soprattutto londinesi, e la società russa sprofondò nella miseria e nell’alcolismo.
Chi vuole capire il senso di umiliazione che investì la popolazione russa negli anni ’90 legga Tempo di seconda mano, il libro di Svetlana Aleksievic. Quella umiliazione ha cementato il consenso per Putin, ha cementato il nazionalismo russo, ha generato il fascismo di massa che celebra insieme Stalin e lo Zarismo, incarnati nella figura di Putin.
Dunque la Russia è un paese che ha applicato la riforma neoliberale prima di diventare un aggressore nazionalista.
Quanto al mondo libero è bene ricordare cosa è il Battaglione Azov, avanguardia ucraina del nazismo risorto in Europa, e naturalmente nell’America di Trump, che si prepara a sbaragliare il povero Biden alle prossime elezioni. Ne parla CNN, una fonte cui nessuno può attribuire simpatie putiniane.
E adesso?
Se anche la guerra finisse domani dobbiamo attenderci uno tsunami economico e quindi sociale, e dobbiamo prevedere che la mobilitazione sociale nei paesi europei sarà probabilmente animata da movimenti nazionalisti. Ma è difficile che la guerra finisca domani. Pare che le potenze Nato intendano chiudere ogni strada al negoziato. Boris Johnson ha dichiarato che la Gran Bretagna non accetta nulla meno che un ritiro completo della Russia dal territorio ucraino.
Belgio, Olanda, Cecoslovacchia hanno espulso i diplomatici russi.
Putin ha affermato che se gli europei non tirano fuori dei rubli non avranno più il gas e il petrolio. Ma Biden si è impegnato a mandarci qualche tanica di benzina.
L’orizzonte della guerra tende ad allargarsi: in Medio Oriente si predispongono le condizioni per un attacco contro l’Iran.
In Italia, un paese in cui la democrazia funziona a pieno regime purché nessuno metta in dubbio che siamo pronti alla guerra santa, il papa viene censurato dai media, in un concerto di commovente patriottismo. Francesco ha detto una cosa saggia: che quel che sta accadendo è segno di pazzia. Lui parla in un linguaggio semplice, ma ha colto il punto: siamo di fronte a un collasso del cervello bianco, a una crisi psicotica armata.
Due questioni gigantesche si pongono a questo punto. La prima è quella che si pose Sandor Ferenczi all’indomani della prima guerra mondiale: è possibile curare una psicosi quando assume carattere endemico? La sua risposta fu: no, e infatti nei decenni successivi accadde quello che sappiamo. Ma la questione si ripropone ora. Il pacifismo più efficace consiste nella cura della psicosi depressiva e della sua evoluzione aggressiva. La seconda è immaginare l’impensabile, e soprattutto immaginare cosa sarà la vita quotidiana entro condizioni che non hanno più molto a che fare con quello che abbiamo conosciuto nei settantacinque anni che abbiamo alle spalle. Immaginare l’impensabile, appunto.
Da molto tempo parliamo della fine: fine della modernità, della democrazia, dell’Occidente, e anche la fine delle speranze umanistiche e progressive. Il capitalismo ha distrutto il pianeta, la società e ciò che era umano. Ora la fine è dovunque, e non esiste politica né tecnologia capace di restituire vita a ciò che è morto. Eppure proprio adesso dobbiamo parlare dell’inizio, e concentrare l’attenzione sulla vita che nonostante tutto nasce. Dobbiamo immaginare insieme a coloro che aprono gli occhi sulla terra come alieni su un pianeta sconosciuto. Perché questo ora siamo, alieni che iniziano un futuro che non siamo neppure capaci di immaginare.
da Comune-Info