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Imrali, l’isola carcere di Öcalan

Öcalan, leader del PKK, è detenuto da 23 anni a Imrali, piccola isola del mar di Marmara, in cui c’è solo il carcere. Un penitenziario isolato dalla terraferma, giunto a contenere 240 prigionieri ma oggi riservato a lui (e da qualche anno ad altri tre detenuti), senza contatti con avvocati e familiari. È la più clamorosa violazione dello stato di diritto a cavallo tra Asia ed Europa.

Abdullah Öcalan, l’ultimo leader dell’ultimo movimento di liberazione anticoloniale del ventunesimo secolo, vive in completo isolamento da 23 anni nel carcere-lager dell’isola di Imrali, una Guantanamo europea. Non vede da anni i suoi avvocati, non vede i suoi famigliari, non ha contatti con l’esterno. Nonostante le condizioni indescrivibili del suo isolamento, non ha mai smesso di sperare in una soluzione pacifica per il Medio Oriente. In tutto questo, l’Europa e l’Occidente hanno mantenuto un colpevole silenzio connivente. Il 12 febbraio a Milano e a Roma due manifestazioni, organizzate dal Comitato “Il momento è arrivato: libertà per Öcalan” e dalle organizzazioni kurde in Italia, ne hanno chiesto la scarcerazione. A sostegno della campagna documentiamo qui la situazione di Öcalan con una scheda sull’isola di Imrali e il suo carcere tratta dal libro Isole carcere. Geografia e storia, di Valerio Calzolaio, appena uscito per i tipi delle Edizioni Gruppo Abele (che ringraziamo per l’autorizzazione alla pubblicazione).

Imrali è un’isola turca di circa 2.500 ettari, collocata nella parte meridionale orientale del Mar di Marmara, che collega il Mediterraneo al Mar Nero: Gallipoli è a Est sui Dardanelli, Istanbul a Nord-Ovest sul Bosforo. All’interno del Mar di Marmara vi sono più di venti isole e un paio di arcipelaghi. Imrali è fra le isole più grandi, solitaria rispetto alle altre, abbastanza distante sia dalla costa meridionale che dalla penisola orientale. Il picco più alto è il Türk Tepesi (Collina Turca), di 217 metri d’altitudine. Ha una lunghezza, da Nord a Sud, di circa otto chilometri con una larghezza di tre, una superficie di circa 25 km² (metà dell’Asinara o di Ischia).

Imrali conosce la presenza umana da almeno un millennio. Nel 1308 fu conquistata dall’impero ottomano che si assicurò così il controllo di tutta l’area, tagliando i collegamento dei bizantini con Bursa. Il nome deriva appunto dal suo conquistatore, Emir Ali, uno dei più importanti ammiragli dell’impero. Fino alla guerra d’indipendenza turca (1919-1923) esistevano sull’isola tre villaggi greci, i cui abitanti vivevano soprattutto di viticoltura e di pesca. Poi è rimasta disabitata fino al 1935, quando è stato costruito un complesso carcerario, tipo colonia penale: ai prigionieri erano permessi la produzione e lo scambio di prodotti di agricoltura e pesca.

Attualmente sull’isola ci sono solo il carcere e una base militare e non ci sono abitanti all’infuori degli addetti alle due istituzioni. L’area marina circostante è zona ad accesso proibito ed è vietato perfino scattare fotografie. Nel 1999 c’erano nel penitenziario, 240 detenuti, che furono evacuati per far posto al solo Abdullah Apo Öcalan, capo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), appena catturato in Kenya. Da allora l’isola è divenuta un carcere-tortura per eccellenza. Fino al 2009, per i primi dieci anni, Öcalan è stato l’unico prigioniero, in una cella singola. Successivamente vi sono stati trasferiti altri cinque detenuti (due dei quali spostati nel 2016). A Öcalan è concessa ogni giorno un’ora di ricreazione con gli altri detenuti; in carcere legge, scrive libri e prepara memorie difensive da presentare in tribunale.

Apo ha 73 anni e dal 1977 è il leader della lotta per l’autonomia del Kurdistan, per il suo assetto istituzionale ispirato al confederalismo democratico, per l’emancipazione della donna e la distruzione del sistema patriarcale e capitalista, per uno sviluppo rispettoso del pianeta e della natura. A lui si ispira il movimento curdo contro tutte le oppressioni, dalla Siria alla Turchia, le cui vicende hanno colpito il mondo intero a cominciare dalla resistenza di Kobane e nel Rojava. Per questo Öcalan è oggi una delle (poche) figure di riferimento dei movimenti per “un altro mondo possibile”. Da sempre ricercato dalle autorità turche, Öcalan raggiunse nel 1999 l’Italia, dove chiese inutilmente asilo politico. Convinto a lasciare il Paese, venne catturato dai Servizi segreti turchi in Kenya, durante il trasferimento dalla sede della rappresentanza diplomatica greca all’aeroporto di Nairobi. Condannato a morte si vide commutare la pena nell’ergastolo a seguito della abolizione della pena capitale da parte del Parlamento di Ankara ed è, da allora, detenuto a Imrali. La sua vicenda giudiziaria costituisce una delle più clamorose violazioni dello Stato di diritto in un Paese che fa parte, politicamente se non geograficamente, del contesto europeo. Le ragioni stesse della sua detenzione sono fragili: con sentenza del 12 maggio 2005, la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha, infatti, stabilito che il processo in cui è stato condannato non si è svolto davanti a un tribunale indipendente e imparziale e che il suo diritto di difesa è stato violato. Öcalan è ora detenuto insieme ad altri tre prigionieri (Ömer Hayri Konar, Hamili Yıldırım e Veysi Aktaş), tutti in isolamento assoluto su un’isola per il resto disabitata, eccettuati i carcerieri e i militari. I detenuti di Imrali sono privati del diritto di incontrare avvocati e familiari (negli anni 2018-2019 Öcalan ha avuto, complessivamente, cinque incontri con gli avvocati e tre con i familiari, gli ultimi dei quali l’11 agosto 2019 e il 3 marzo 2020, dopo la notizia di un incendio sull’isola), del diritto di telefonare (in tutta la detenzione Öcalan ha potuto fare un’unica telefonata, il 27 aprile 2020, con il fratello convocato in Procura), di scrivere lettere e qualunque altro tipo di comunicazione.

Ciò ha provocato proteste in varie parti del mondo. Fuori dal Kurdistan si parla sempre meno dello status di Öcalan. Nel 2019 ben 3.000 persone hanno fatto uno sciopero della fame in vari luoghi del mondo per protestare contro Imrali e l’iniziativa ha portato nove di loro alla morte (death fast). Il 5 agosto 2020 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (Cpt) ha pubblicato un rapporto sulla situazione nella prigione. Il rapporto definisce “inaccettabili” il sistema e l’isolamento a Imrali. Nell’ottobre 2020 l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha adottato una risoluzione sulla repressione dell’opposizione in Turchia, che, fra l’altro, ha chiesto la fine dell’isolamento di Öcalan. La risposta del Governo turco è consistita in nuovi divieti e rifiuti e in un isolamento carcerario, se possibile, ancora maggiore. Nel 2020 nessuna delle 96 richieste di visita presentate dal difensore è stata accolta: 68 non hanno ricevuto risposta e 28 sono state respinte; su 50 richieste di visite dei familiari, 40 non hanno ricevuto risposta, nove sono state respinte, una sola è stata accettata. Tutti i prigionieri di Imrali sono tenuti in isolamento per la maggior parte del tempo (cioè 159 ore su 168 a settimana, comprese 24 ore al giorno nei fine settimana).

Il testo è tratto dal libro di Valerio Calzolaio Isole carcere. Geografia e storia, Edizioni Gruppo Abele, 2022

da Volere la Luna