Ingiusta detenzione, tutti gli alibi dello Stato per ridurre o non riconoscere un indennizzo
Avvalersi della facoltà di non rispondere è un diritto riconosciuto dalla legge ma può diventare un boomerang se poi, a processo finito e ad errore giudiziario accertato o ingiusta detenzione subita, si prova a chiedere un risarcimento allo Stato.
Perché? Perché lo Stato può dirti che appellandoti a quel tuo diritto hai contributo a far cadere nell’errore gli inquirenti. Sembra assurdo, eppure è una delle motivazioni a cui si ricorre per ridurre o negare il risarcimento a chi, ingiustamente detenuto, chiede un indennizzo per il danno patito.
L’associazione Errorigiudiziari.com, fondata dai giornalisti Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone che da oltre vent’anni raccolgono dati su casi di ingiusta detenzione ed errori giudiziari, ha messo insieme storie, testimonianze, provvedimenti svolgendo un’analisi delle decisioni più frequentemente adottate dalle Corti d’appello e dalla Cassazione.
E si scopre che una “colpa lieve” che non dà diritto a un pieno risarcimento può essere l’essersi avvalso della facoltà di non rispondere al momento dell’interrogatorio, l’avere frequentazioni poco raccomandabili oppure il fatto di non possedere un memoria di ferro per ricordare, con minuziosa precisione, date e orari che interessano alla tesi accusatoria. Della serie, non basta dire che si è innocenti. Perché si potrebbe essere accusati di «non essere pienamente collaborativi» e quindi avere diritto a un risarcimento decurtato. Ma come si può collaborare se non si conosce quel dato fatto, se non si è commesso quel tale reato? Ah, saperlo!
Anche essere già stato in carcere in passato o avere precedenti penali, oppure avere una personalità ritenuta «negativa» può essere una colpa lieve che contribuisce a far ridurre la percentuale dell’indennizzo o a non averlo proprio. Addirittura, bisogna stare attenti all’avvocato che si sceglie come difensore appena si viene arrestati, perché al momento di richiedere un indennizzo per ingiusta detenzione si potrebbe vedere l’importo del proprio indennizzo tagliato del 25% perché secondo lo Stato, che comunque non avrebbe dovuto arrestarti, ti sei fatto difendere da un avvocato poco preparato. Sembra assurdo ma è la realtà.
Ed è una realtà che si confronta con grandi numeri. Basti pensare che, facendo una media dei casi dal 1992 al 2020, nel nostro Paese si stimano 1.015 vittime di malagiustizia all’anno (più di cento solo a Napoli) e si spendono in media due milioni e mezzo di euro in risarcimenti ogni anno. E dire che circa il 70% delle richieste di risarcimento non viene accolto, il che vuol idre che le dimensioni del fenomeno sono ben più ampie.
Ci sarebbero circa 20mila casi di ingiusta detenzione non dichiarati negli ultimi anni, perché spesso chi subisce un arresto o un processo ingiusto poi non ha la forza economica o psicologica per ingaggiare una nuova battaglia giudiziaria per il risarcimento.
Dunque, a fronte dei dati ufficiali sottoposti all’attenzione ministeriale secondo cui ammonterebbero a circa 30 mila le vittime di ingiusta detenzione negli ultimi trent’anni, ci sono dei dati reali che danno al fenomeno una proporzione ben più ampia. Inoltre, secondo i dati diffusi da Errorigiudiziari.com, su 544 cause contro lo Stato per responsabilità civile dei magistrati presentate tra il 2020 e il 2021, solo 129 sono andate a sentenza finora e di queste solo 8 si sono concluse con una condanna.
Viviana Lanza