Io sono cresciuta così … la polizia è quella che mi aiuta, mi salva nei momenti di bisogno. È una salvezza”. Titti Giorgione ha 54 anni. Da due mesi è immobile per le ferite riportate durante gli scontri tra No Tav e forze dell’ordine a Chianocco, in provincia di Torino.
Eppure, parlandole, non capisci se a farle più male siano le fratture oppure il pensiero, come racconta lei, “di essere stata picchiata dalla polizia e dai carabinieri”. Titti è uno di quegli “strani” manifestanti che suscitavano confusione nei cronisti nei giorni delle protesta in Val di Susa.
C’erano tanti ragazzi, magari vestiti di nero, con il viso coperto, ma si incontrava anche gente che non ti aspetteresti di vedere mentre blocca un’autostrada e fronteggia le forze dell’ordine: impiegati, casalinghe, anziani, bambini. Titti era tra loro, una nonna – perché ha un nipotino piccolo – che dopo il lavoro molla baracca e burattini per correre sull’autostrada. E prendere botte, stando a quello che racconta nella denuncia che ha presentato.
Un fascicolo contro ignoti, ma Titti continua a ripetere “di non aver-cela mai avuta con la polizia” e spera che adesso gli investigatori la aiutino a individuare i responsabili: “Sarà dura, perché erano tutti con il casco”. Ma Giorgione lancia un appello: “Spero che chiunque abbia girato immagini quella sera, possa inviarcele. Forse si vede il momento in cui mi hanno aggredito”.
È la sera del 29 febbraio. In Val di Susa la tensione è altissima. Sulle prime pagine dei giornali non si parla d’altro. La protesta è concentrata lassù, allo svincolo autostradale di Chianocco. Da ore centinaia di persone lo bloccano. Tra loro c’è Titti: “Ero appena tornata dal lavoro, sono ausiliaria in una clinica”, racconta. Poi ripete: “Guardi che io non sono una persona violenta, sono soltanto una donna legata alla mia valle. Non voglio che ci facciano passare per black bloc o quelle cose lì”. Ma che cosa successe esattamente? “Erano le cinque del pomeriggio quando sono arrivati polizia e carabinieri. Noi eravamo sull’autostrada. Le forze dell’ordine all’inizio ci sono venute vicino, ci hanno intimato di andare via. Visto che non ci muovevamo, ci hanno spostato di peso, quindi hanno cominciato a prendere le nostre generalità”, racconta Titti. “TUTTO ERA abbastanza tranquillo”, aggiunge, come dire che in fondo questo lo aveva messo in conto.
Ma certo non aveva previsto ciò che, racconta lei, è avvenuto dopo: “Alle nove di sera tutto è cambiato. C’era buio, molti giornalisti erano andati via. All’improvviso le forze dell’ordine hanno spento i riflettori ed è cominciato un inferno. Hanno preso a spingerci, fortissimo, roba da soffocare. Sono arrivate le manganellate, dappertutto, sulla testa, le spalle e il torace. Intanto con gli idranti ci sparavano addosso dell’acqua … secondo me c’era dentro qualcosa di urticante, perché faceva un male terribile”. Poi Titti Giorgione non ricorda più nulla: “Devo essere svenuta. Mi sono risvegliata a terra, in mezzo al fumo dei lacrimogeni. Davanti a me c’era un poliziotto che mi urlava … ‘ lei non può stare qui, lei non può stare qui’, ma io appena ho provato ad alzarmi ho visto che il piede andava da un’altra parte, era come girato … le ossa erano staccate, restava appeso soltanto per la pelle. Alla fine per fortuna sono arrivati alcuni dei nostri, cioè manifestanti, a soccorrermi”. Giorgione viene trasportata all’ospedale di Su-sa. Il referto parla di “frattura trimalleolare con lussazione”.
Prognosi di 45 giorni. Ma oggi, dopo due mesi, Titti riesce appena ad alzarsi, “impossibile appoggiare il peso sul piede. Niente lavoro, niente passeggiate con il nipotino”. I medici le dicono che la frattura potrebbe essere stata provocata dalla caduta. Giorgione, però, non ci sta e cerca testimonianze. E ne trova una: “È stato Alberto a dirmi quello che era successo mentre ero svenuta”. Che sarebbe Alberto Perino, il bancario che in pochi mesi è diventato uno dei capi della protesta. È lui che riferisce: “Titti è stata colpita”, forse anche quando stava a terra. Aggiunge Perino: “Io ho cercato di soccorrerla, ma hanno picchiato anche me e mi hanno rotto il gomito”. Ma il fascicolo sulle botte alla nonna No Tav difficilmente approderà a qualcosa se non si troveranno delle immagini. Come per le altre venti denunce sulle violenze che sarebbero state compiute dalle forze dell’ordine il 3 luglio scorso. La Procura di Torino sta indagando, come sui 24 manifestanti arrestati, ma gli agenti – coperti dal casco – non hanno ancora un nome.
da il fatto quotidiano
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