Non si fermano le manifestazioni di protesta in Iran in seguito all’uccisione di Mahsa Amini mentre era in stato di fermo, il 16 settembre scorso. Secondo i dati forniti da PMOI/MEK, People’s Mojahedin Organization of Iran, il principale gruppo di opposizione iraniano le proteste sono estese a oltre 154 città in tutte le 31 province. Oltre 250 persone sono state uccise dalle forze di sicurezza dei mullah. Fonti riferiscono anche di oltre 10.000 manifestanti arrestati
di Gianni Sartori
Qualche fonte interna – non sappiamo se in buona fede o meno – aveva già azzardato cifre da capogiro (oltre 250 !), ma comunque ormai il numero delle vittime della repressione in Iran (quelle accertate almeno) si sta avvicinando sicuramente al centinaio. Già alla fine di settembre Iran Human Rights (IHR), organizzazione per la difesa dei diritti umani con sede a Oslo, ne indicava 83. E tra le vittime, fatalmente, anche parecchi minorenni.
Si contano invece a migliaia le persone arrestate.
La rivolta contro la teocrazia islamica, innescata dall’assassinio di Jina Masha Amini, era iniziata proprio dalla sua città natale, Saqqez, nel Kurdistan orientale (Rojhilat).
Probabilmente nelle accuse rivolte dal regime ai rivoltosi (di essere strumentalizzati da “forze straniere”) esiste anche un fondo di verità. E’ apparso chiaro da subito che la destra nostalgica dello scià stava cercando di cavalcare le proteste.
Nonostante queste – femministe, ecologiste, in difesa delle minoranze etniche – siano del tutto antitetiche alla visione del mondo di coloro che possiamo definire, oltre che reazionari e seguaci del peggior patriarcato, semplicemente dei “fascisti”.
Invece il regime sembra preoccuparsi piuttosto del ruolo delle organizzazioni curde e dei gruppi della sinistra che, sostiene, dalle loro basi nel Nord Iraq (il Kurdistan del Sud) avrebbero organizzato il primo sciopero generale in Rojhilat e ora anche il secondo. Per questo ormai da dieci giorni i Guardiani della Rivoluzione (la loro, beninteso) martellano con droni e missili sia le basi delle organizzazioni curde dell’Iran esiliate in Iraq, sia alcuni villaggi.
Già il 28 settembre una settantina di missili iraniani avevano colpito le province di Erbil (Hewlêr) e di Sulaymaniyah. Con particolare ferocia nei confronti di un campo profughi del distretto di Koyê dove è stata centrata anche una scuola elementare. Una quindicina le vittime accertate (tra loro esponenti del PDK-I e del PAK) e una sessantina i feriti. Questi in larga maggioranza civili, bambini compresi.
Un nuovo sciopero generale (il secondo dall’inizio delle proteste per la morte di Jina Mahsa Amini) ha interessato il Rojhilat nella giornata di sabato 1 ottobre. Così come a quello del 22 settembre (nonostante le minacce del regime verso i commercianti che avesse chiuso le loro botteghe) vi hanno aderito tantissimi cittadini e quasi tutti i sindacati.
Gran parte della popolazione è scesa in strada nelle città curde dell’Iran: Urmia, Oshnaviyeh, Naghadeh, Bukan, Mahabad, Piranshahr, Rabat, Sardasht, Saqqez, Diwandarreh, Marivan, Sanandaj, Kamiyaran, Ravansar, Shahu, Ilam, Paveh, Dehgolan e Dezaj Margawar.
Le forze di sicurezza hanno sparato contro la folla sia a Dehgolan che a Saqqez.
Significativa la partecipazione degli studenti curdi, già in lotta da giorni, dall’Università del Kurdistan a Sanandaj all’Università Razi di Kermanshah…
Tra le ragioni della protesta del 1 ottobre, la condanna per gli attacchi iraniani con droni e missili contro gli oppositori rifugiati nel nord dell’Iraq. Il 29 settembre il Centro di cooperazione dei partiti del Kurdistan iraniano aveva rivolto un appello al popolo curdo per ripetere appunto lo sciopero generale, stavolta condannando anche le operazioni del CGRI (il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica) contro i campi profughi. Operazioni militari che sono costate la vita di otto esponenti del Partito democratico del Kurdistan d’Iran (PDKI) e di altri otto del Partito del Kurdistan Libero (PAK). Ma soprattutto provocando numerose vittime civili, tra cui qualche bambino. Mentre i feriti si contavano a decine.
In molti però ritengono che per avere efficacia effettiva lo sciopero generale dovrebbe interessare l’intero Iran, soprattutto le zone maggiormente industrializzate. Invece attualmente a scioperare nel resto del Paese sono soprattutto studenti e insegnanti.
Tra gli intellettuali arrestati in questi giorni, la giornalista Elaheh Mohammadi (firma del quotidiano Hammihan) e la poetessa Mona Borzooi, entrambe accusate di aver sostenuto la protesta. Con l’aggravante, per Borzooi, di aver scritto una poesia in memoria di Jina Mahsa Amini.
Invece Mohammad era stata incarcerata dopo aver partecipato ai funerali della giovane curda uccisa in una caserma della polizia.