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Israele spara sui manifestanti siriani, la Turchia uccide due giornalisti

Le forze armate turche e israeliane continuano ad attaccare il paese, da nord a sud, ma al-Jolani tace. Il 19 dicembre i giornalisti curdi Nazim Dastan e Cihan Bilgin sono stati uccisi in un attacco di droni vicino KobaneDelegazione Usa arriva a Damasco e toglie la taglia da 10 milioni di dollari sulla testa del leader di Hts

di Tiziano Saccucci da il manifesto

Mentre a Damasco la società civile chiede lo spazio che le spetta nel futuro del paese e manifesta per una Siria democratica, le manovre degli stati confinanti non si fermano. A sud c’è Israele, a nord la Turchia.

LE IMMAGINI che giungevano ieri dal villaggio di Maariyya non potevano essere più eloquenti: dopo l’occupazione di una base militare siriana da parte dell’esercito israeliano che ha assunto il controllo stabile di quel che resta del Golan (e promette di non mollarlo), la popolazione è scesa in strada per protestare.

La risposta sono stati gli spari: un manifestante è stato ferito. «Stiamo festeggiando la caduta del regime e non ci faremo sfruttare – hanno detto i manifestanti – Vogliamo che gli occupanti lascino la nostra terra. La terra siriana è una». Dovrebbe esserlo, eppure le potenze regionali puntano a ritagliarsene un pezzo.

A nord è la Turchia ad avanzare, anche silenziando la stampa. Il 19 dicembre, i giornalisti curdi Nazim Dastan e Cihan Bilgin sono stati uccisi in un attacco di droni vicino Kobane, nel nord-est, colpiti sulla via del ritorno dopo aver realizzato un reportage sugli scontri alla diga di Tishreen. L’autista, Aziz Hec Botan, è rimasto gravemente ferito. «Condanniamo l’uccisione di questi due giornalisti che hanno ostacolato la propaganda del governo con i loro resoconti sugli eventi nelle regioni di Qereqazaq e Tishreen – ha scritto il partito della sinistra turco-curda Dem – Invitiamo tutti i segmenti della società sensibili a questi crimini contro l’umanità ad alzare la voce».

giornalisti curdi uccisi

NAZIM DASTAN era una figura di spicco nel panorama della stampa curda. Ha iniziato a documentare il conflitto in Siria nel 2014, arrivando a Kobane durante l’assedio dell’Isis. Nei primi giorni filmò un incontro tra soldati turchi e miliziani dello Stato islamico in una postazione turca nei pressi di Suruç, a pochi chilometri dalla città assediata. Le immagini fecero il giro del mondo e sollevarono per la prima volta al di fuori della regione interrogativi sul rapporto tra Isis e forze armate turche.

Dal 2014 ha documentato tutte le campagne delle Forze siriane democratiche (Sdf) contro l’Isis, scattando tra le altre l’iconica fotografia della rimozione dell’ultima bandiera del califfato su Baghuz da parte di una combattente dell’Unità di Protezione delle Donne Ypj.

Nel 2016 è stato arrestato in Turchia mentre documentava le atrocità commesse dall’esercito nell’assedio di Shirnax, nella guerra esplosa nelle aree curde in Turchia in seguito al collasso del processo di pace tra stato turco e Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Rilasciato dopo cinque mesi, è tornato in Rojava, dove è stato ferito mentre copriva la liberazione di Tabqa nel 2017.

Dastan e Cihan Bilgin, giornalista dell’agenzia Anha dal 2017, hanno raccontato insieme gli attacchi dell’Esercito nazionale siriano (il filo-turco e jihadista Sna) a Tell Rifaat e Shebah. A Manbij, pochi giorni fa, erano sopravvissuti al bombardamento che ha distrutto la sede del consiglio civile locale, da cui erano in diretta fino a pochi minuti prima.

Non è la prima volta quest’anno che giornalisti curdi vengono uccisi da droni turchi. A giugno il giornalista ezida Murad Mîrza Ibrahim è stato ucciso a Shengal. Il 23 agosto le giornaliste Gulîstan Tara e Hêro Bahadîn sono state uccise a Sulaymaniyyah nella Regione del Kurdistan in Iraq.

MENTRE GLI SCONTRI tra Sdf e Sna continuano senza sosta, il comandante delle Sdf Mazloum Abdi ha annunciato che, in caso di cessate il fuoco permanente, tutti i volontari curdi non siriani delle Forze democratiche verrebbero smobilitati. «Poiché ci sono nuovi sviluppi in Siria, è tempo che i combattenti che ci hanno aiutato nella nostra guerra tornino nelle loro regioni a testa alta», ha affermato Abdi, dopo aver specificato che in seguito la caduta del califfato nel 2019 solo una piccola parte di questi è rimasta nei ranghi delle Sdf.

Da Damasco ancora nessuna dichiarazione sugli eventi in corso nel nord-est. A impegnare al-Jolani ci sono gli incontri diplomatici. Ieri è arrivata una delegazione Usa di alto livello che, dopo aver incontrato anche rappresentanti della società civile, in un meeting con la leadership di Hay’at Tahrir al Sham ha cancellato la taglia da 10 milioni di dollari che pesava sulla testa di al-Jolani.

 

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