Israele utilizza il riconoscimento facciale per aumentare la repressione
Le autorità israeliane stanno utilizzando un sistema sperimentale di riconoscimento facciale, conosciuto come “Red Wolf“, al fine di tracciare i palestinesi e intaccare in maniera ancora più “scientifica” e invasiva la loro libertà di movimento.
di Stefano Baudino
Lo certifica il nuovo rapporto di Amnesty International, intitolato “Apartheid automatizzato”, che inquadra tale sistema come una componente di un impianto sempre più ampio di sorveglianza con cui il governo israeliano riesce a rafforzare il suo controllo sui palestinesi.
Lo studio, realizzato grazie all’utilizzo di una serie di prove raccolte sul campo nel 2022, all’esame di risorse accessibili pubblicamente e alle testimonianze di abitanti palestinesi e personale militare in servizio e in congedo, si riferisce in particolare alle sole città dei territori palestinesi occupati che vedono al loro interno insediamenti israeliani, ovvero Hebron e Gerusalemme Est.
Nella zona H2 di Hebron, pienamente controllata dalle autorità israeliane, i palestinesi sono sottoposti a durissime limitazioni nei movimenti. Pullulano i posti di blocco e determinate strade, in cui i coloni israeliani dettano legge, sono loro inaccessibili. L’inedito riconoscimento facciale “Red wolf”, utilizzato proprio nei vari checkpoint, secondo il report sarebbe collegato ad altri due sistemi di sorveglianza dell’esercito israeliano: il “Wolf pack“, archivio contenente qualsiasi informazione disponibile sui palestinesi nei territori occupati (dove risiedono, chi sono i loro familiari, se siano o meno ricercati) e il “Blue wolf“, applicazione accessibile alle forze israeliane che rimanda ai dati del “Wolf pack”.
Quando è attivo, il “Red wolf” scansiona il volto di ogni palestinese che transita presso un posto di blocco, ovviamente all’insaputa e senza il consenso della persona in questione, il cui volto viene comparato ai dati biometrici già presenti in archivio. Così, se ad esempio il sistema certifica che il soggetto è ricercato o che nei suoi confronti esista un divieto d’ingresso, questi non potrà procedere nel percorso.
Stando a quanto dichiarato all’organizzazione “Breaking the Silence” da un comandante militare israeliano applicato a Hebron, il quale ha riferito che l’esercito insiste molto sull’ottimizzazione degli algoritmi per il riconoscimento facciale, “Red wolf” sarebbe in grado di riconoscere i volti dei palestinesi addirittura senza l’intervento umano. Secondo altre testimonianze da parte dei soldati, inoltre, l’applicazione “Blue wolf” quantificherebbe l’esatto numero dei palestinesi registrati: sulla base di tale “classifica”, i comandanti premierebbero i battaglioni che hanno totalizzato il punteggio più alto. La competizione interna ai membri dell’esercito originata dal meccanismo di questo “gioco” costituirebbe dunque un incentivo a tenere sotto osservazione il maggior numero possibile di palestinesi.
A Gerusalemme Est, il sistema di riconoscimento facciale è stato aggiornato nel 2017, facendo così ottenere una capacità di sorveglianza senza precedenti. Nella città vecchia, conosciuta come Mabat 2000, gli israeliani hanno il controllo di migliaia di telecamere a circuito chiuso. Amnesty le ha mappate tutte: ce ne sarebbero addirittura una o due ogni cinque metri. I ricercatori di Amnesty hanno identificato i venditori di varie apparecchiature installate in quest’area: l’azienda cinese Hikvision produce telecamere a circuito chiuso ad alta risoluzione che vengono montate su infrastrutture militari in zone abitate; la TKH Security, società dei Paesi Bassi, produce invece telecamere installate in luoghi pubblici e presso strutture di polizia.
L’impatto di questo controllo certosino sui movimenti dei palestinesi è incredibilmente significativo. Una residente, Neda, lo spiega così: «Vengo osservata tutto il tempo. Ogni volta che sono in strada ho brutte sensazioni: quando vedo una telecamera, mi prende l’ansia. È come se venissi sempre trattata come un bersaglio». Enormi sono poi le conseguenze sul diritto alla libertà di espressione e riunione: «Chi manifesta sa che, anche se non verrà arrestato sul posto, il suo volto sarà catturato dalle telecamere e potrà essere arrestato in seguito», commenta un giornalista palestinese.
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