“Tutte le volte che da Cosenza doveva passare il duce o un gerarca o un ministro o un cretino qualsiasi con addosso la camicia più nera del solito, tuo nonno se lo venivano a prendere due giorni prima e me lo riportavano qualche giorno dopo. Non ti dico in che condizioni tornava”.
Mia nonna Rosa non era una di quelle che rimpiangevano “i treni in orario” e “la porta che la potevi lasciare aperta perché nessun ladro entrava”. Durante il ventennio fascista, a causa delle scelte politiche del marito, non le era rimasto nulla che le potessero rubare. E i figli forse non avevano mai preso un treno: dalla guerra tornarono in tre, a piedi, uno dei quali sopravvissuto ai campi di prigionia in Grecia.
All’epoca il regime adottava metodologie di polizia preventiva, le stesse che in questo Paese sono state applicate dal secondo dopoguerra in poi, soprattutto dalla fine degli anni sessanta. Non era preventiva forse la strategia della tensione? Non erano precauzionali le bombe che i servizi segreti di Stato piazzavano o lasciavano piazzare, qua e là, dentro stazioni e piazze? All’inizio degli anni settanta, non erano cautelativi i blitz polizieschi nelle case di studenti, operai e attivisti dei collettivi politici? Molte di quelle persone reagirono stracciando le rispettive carte d’identità e scelsero di fuggire sì, ma “in avanti”.
In quegli anni c’era piena sintonia tra DC e PCI sulle strategie controrivoluzionarie da mettere in pratica. L’attuale ministro dell’Interno Minniti proviene da quella scuola. Pur di fiaccare in anticipo le proteste di ieri a Roma contro il vertice romano dei capi di Stato per i 60 anni dalla firma dei trattati UE, ha utilizzato centinaia di fermi preventivi, fogli di via e sofisticati algoritmi che danno la caccia a potenziali “individui socialmente pericolosi” sulla base di semplici pregiudizi. Il problema non è di natura giuridica. In Italia è consentito questo e altro. Inutile dunque meravigliarsi. La questione, come si diceva un tempo, è politica. Lui stesso, un paio di settimane fa, sbandierava il diritto assoluto di esprimere delle opinioni, a proposito della presenza di Salvini a Napoli, contestata da un’intera città, e non solo. È proprio Minniti a sostenere d’essere un paladino della democrazia. Difficile comunque credere che un uomo abituato a nuotare nella palude dei servizi segreti, dica ciò che realmente pensa. Del resto sono in tanti, come lui, anche a sinistra, in Italia e nel resto d’Europa, a ritenere che i temi della convivenza civile e della giustizia debbano essere affrontati in senso penale, e non in chiave sociale.
Resta allora da capire come mai la strategia preventiva non si attui anche, per formulare qualche esempio, in campi come le calamità naturali, la lotta alle mafie, la salute dei minori, le povertà. Inverosimile che organi di controllo si presentino nei condomini e negli edifici pubblici a richiedere un certificato che attesti la stabilità di tali immobili in caso di eventi sismici, oppure che un attimo dopo le meravigliose operazioni di polizia contro i clan criminali, si provveda a garantire un’alternativa di lavoro e dignità alle migliaia di familiari e sodali che in virtù delle attività illecite gestite dai medesimi gruppi, trovano i mezzi di sostentamento. E ancora: ve l’immaginate la polizia municipale che entra nelle scuole e sequestra, dalle macchinette erogatrici, gli alimenti preparati con ingredienti cancerogeni? O addirittura che lo Stato accrediti un reddito sganciato dal lavoro a tutti i cittadini appena diventano maggiorenni e prevenga così disperazione, clientelismi, sfruttamento, emigrazioni forzate?
Queste sì che sarebbero “misure preventive”! Ma farebbero un piacere a milioni di persone oggi prive di cittadinanza, salute, sicurezza. E un dispiacere ai potenti che ieri a Roma celebravano la forma di dominio di cui sono custodi, protetti da plotoni di uomini in divisa che a un certo punto, nella difficoltà di gestire una manifestazione senza incidenti, hanno inscenato una carica contro il nulla.
Claudio Dionesalvi