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La caccia aperta agli antifà

Teoremi, inchieste giudiziarie, processi e arresti. Da Dresda a Budapest, passando per la Francia: è la nuova dimensione della repressione contro gli attivisti accusati di «perseguitare» i neonazi

di Mario Di Vito da il manifesto

L’8 febbraio il tribunale di Dresda dovrà decidere se riaprire o meno il caso di Lina Engel. Una settimana dopo comincerà invece il processo contro Sarah S. A metà novembre, su un treno regionale all’altezza di Weimar, è stato fermato Johan Guntermann, ricercato dal 2021. Nanuk è in prigione a Berlino dalla fine di ottobre. In Francia, Rexhino “Gino” Abazaj è detenuto a Fresnes e attende di conoscere il suo destino. Maja T. è prigioniera a Budapest dallo scorso giugno. Ilaria Salis siede al parlamento europeo e su di lei pende una richiesta di autorizzazione a procedere su mandato dell’Ungheria. Altre otto persone sono ricercate in Germania e stanno cercando di aprire una trattativa con le autorità: si consegneranno solo se saranno processate in patria e non nel paese di Orbán.

È UN MOMENTO difficile per gli Antifa europei, realtà molto più composita e fluida, non centralizzata come invece teorizzano le inchieste. La stretta giudiziaria è stata forte nei loro confronti, molto più di quanto accada ai neonazisti. In Germania, paese che porta avanti l’inchiesta più grande, «Antifa Ost» a Dresda, i dati parlerebbero chiaro (sono 23.493 i crimini attribuiti all’estremismo di destra nel 2022 contro i 6.976 dell’estrema sinistra, dati dell’Ufficio federale della polizia criminale), ma dal processo contro Lina Engel – condannata a 5 anni e 3 mesi nel maggio del 2023 per sei «atti di violenza» contro altrettanti neonazi – sembra essere tornato lo spettro della banda Baader-Meinhof. La metafora è pesante anche se un po’ telefonata, più o meno come quando in Italia si evoca lo spettro degli «Anni di piombo» (che peraltro è il titolo di un film ambientato in Germania).

I GIORNALI TEDESCHI, comunque, ne parlano spesso di questo molto presunto ritorno ai tempi della Rote Armee Fraktion, riprendendo un teorema spinto soprattutto dagli esponenti di Alternative für Deutschland, con molte sponde anche tra i democristiani della Cdu. Dal 2019 esiste un corpo speciale, il Soko Linx, con l’esclusivo compito di indagare sui gruppi di sinistra, continuamente sospettati di tessere trame sovversive. E pensare che il vero problema sarebbe altrove: nel dicembre 2022 un’inchiesta della procura di Francoforte portò all’arresto di venticinque persone coinvolte a vario titolo nella preparazione di un golpe: i Reichsbürger, i cittadini del Reich che non riconoscono l’esistenza della Repubblica federale. Tra loro c’erano molti ex appartenenti al comando Ksk, un’unità di militari e agenti specializzati nel combattimento e nell’uso delle armi. Al vertice della piramide golpista c’era il principe Heinrich Reuss XIII, con l’appoggio dell’ex deputata dell’Afd (e giudice a Berlino) Birgit Malsack-Winkemann. Il piano era di rovesciare l’ordinamento democratico e far rinascere il vecchio Deutsches Reich, estinto nel 1945. Come per tutti i colpi di stato falliti, le risate si sono sprecate. E poi tutto è finito: i Reichsbürger sono per i media ormai poco più che folklore e praticamente non se ne parla più.

DEGLI ANTIFA, al contrario, si parla ancora molto. Quando è stato preso Guntermann, i giornali e le televisioni lo hanno raccontato come il capo di un’associazione a delinquere dedita alla caccia illegale di nazisti, tra risse, agguati e manifestazioni violente: la Hammerbande, la banda del martello. Per lui il procuratore generale dell’Alta Sassonia aveva messo una ricompensa da 10mila euro a chiunque fosse in grado di fornire informazioni e i neonazisti, a loro volta, avevano messo una taglia da 5mila euro direttamente sulla sua testa. L’altra «personalità di rilievo» degli Antifa, è proprio Lina Engel, il cui processo è stato fortemente indiziario (molte delle immagini delle azioni riprese dalle telecamere di sorveglianza sono poco chiare) e con una schiera di testimoni la cui credibilità è quantomeno opinabile: dai militanti di Knockout 51, gruppo criminale attivo a Eisnach dove tentò pure di creare un «quartiere nazista», a Johannes Domhover, «Jojo», antifa pentito, che ha cominciato a collaborare con la polizia dopo essere stato accusato dai suoi ex compagni di molestie sessuali. È stato lui a tirare in ballo Nanuk, attualmente detenuto nel carcere Moabit di Berlino, accusato di lesioni e di far parte della banda in qualità di «allenatore per i combattimenti». La prova provata è che avrebbe organizzato almeno «un allenamento di arti marziali» per il suo collettivo.

POI C’È HANNA S., arrestata a maggio in Alta Sassonia. È una delle persone accusate di far parte del gruppo responsabile di alcune aggressioni avvenute a Budapest nel febbraio del 2023, durante il cosiddetto Giorno dell’onore, la ricorrenza annuale in cui i neonazisti europei commemorano i soldati delle Ss caduti durante la Seconda guerra mondiale. Per lei la procura federale aveva ipotizzato i reati di associazione a delinquere, lesioni personali pericolose e tentato omicidio. Il tribunale di Monaco, però, ha fatto cadere tutto tranne l’ultimo reato, del quale prima o poi si discuterà in sede di processo. Quando ancora era ricercata, le autorità investigative tedesche arrivarono a pedinare anche i suoi genitori. «A volte siamo seguiti durante tutta la giornata. A volte a piedi, a volte in bicicletta o in macchina – hanno raccontato a settembre in un’intervista rilasciata a Carina Book della rivista Analyse & Kritik -. Al giorno d’oggi con il monitoraggio telefonico non si sente alcun crepitio sulla linea, che sarebbe evidente, ma presumiamo che anche le nostre telefonate siano monitorate». È successo anche ad altri genitori degli Antifa latitanti. «Una mamma è stata fermata due volte in autostrada – si legge sempre nell’intervista -. Le è stato detto di smettere di giocare e di dire dove si trova suo figlio. Non si sono nemmeno presi la briga di comportarsi come se fosse un blocco generale del traffico».

IN CARCERE a Budapest invece è detenuta Maja T., l’attivista queer pure accusata delle aggressioni del Giorno dell’onore. La sua estradizione, avvenuta nottetempo nel giro di poche ore senza nemmeno che un tribunale potesse esprimersi a proposito, ha sollevato molti dubbi sull’imparzialità della polizia tedesca. Da lì continua a scrivere lettere dove descrive una situazione che già aveva portato alla luce Ilaria Salis quando era nella sua stessa condizione: celle sovraffollate e sporche, topi, insetti, cimici, cibo avariato, medicine scadute. Aspettando un processo che può finire con una condanna a vent’anni.

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